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Può 007 interpretare un frate francescano? Così Annaud aprì il Ravenna Nightmare film festival

Credo di avere una vita molto positiva perchè sono un terribile pessimista. Per me, quindi, quando qualcosa va male, non c’è niente di soprendente, quando qualcosa va bene, è un miracolo!

Jean Jacques Annaud durante la conferenza stampa

Arrivano le nove di sera a Ravenna e la sala del palazzo dei congressi è straripante! A breve, verrà proiettato L’ultimo Lupo (Totem Wolf), al momento l’ultimo film realizzato da Jean Jacques Annaud. Ma prima il critico Alessandro De Simone mostrerà delle clip e discuterà con il regista di alcuni aspetti della sua carriera e del suo Cinema.

Come ovvio, si parlerà del lato oscuro della sua visione. D’altronde questa è la forte costante del Ravenna nigthmare film festival (prima festival di genere, ora esteso anche al Cinema indipendente): il lato oscuro dei film.

Passano alcune clip tratte da suoi film: vediamo estratti da La Guerra del fuoco, Il nome della rosa, L’orso, Il Nemico alle porte. Momenti che afferrano i lati più inquietanti dell’Uomo e dell’esistenza stessa (che sia nella preistoria, nel medioevo o presso la Stalingrado assediata dai nazisti) e li mettono all’interno di una silenziosa, ma titanica ed immensa natura.

Durante questo incontro, chi ha avuto la fortuna di esserci torna con la mente ad alcune ore prima. Alla conferenza stampa pomeridiana.

Nel nostro immaginario un evento del genere è sempre qualcosa di molto formale in cui uno stretto tessuto di serietà ogni tanto trova il modo di venire strappato da qualche momento più leggero. Ma Annaud è riuscito a capovolgere questo schema: momenti fugaci di rigore macchiavano un’incontro decisamente divertente e appassionante.

Annaud è una persona davvero molto particolare. Instancabile, solare, incredibilemente disponibile e ricco di storie da raccontare con delizia e umorismo. E alla conferenza stampa non si è smentito.

Aneddoti su aneddoti si susseguivano e noi della stampa vedevamo passare un’ora e mezza come fossero pochi minuti.

LAVORARE CON ATTORI ANIMALI. STORIA DI UN’ESPRESSIONE

“Due Fratelli”

No, non stiamo alludendo ad attori poco capaci di recitare. Perché Annaud non è solo il regista de Il nome della rosa. Il suo nome è legato anche a successi come “L’orso” e a storie come “Due Fratelli” e “L’ultimo Lupo“. Tutti film che vedono animali come protagonisti

Vedete, lavorare con un animale è quasi come lavorare con un bambino. L’unica cosa che li differenzia è che, solitamente, un bambino non può ucciderti, mentre invece ho lavorato con animali che potevano benissimo farlo (anche se le star di Hollywood possono ucciderti persino più velocemente).

Parlando seriamente comunque, quando tu sai cosa l’animale debba esprimere ti devi comportare come fai con gli attori. Mettili nel giusto contesto, mettili nel giusto set, mettili nei giusti… panni. Quando vuoi una storia d’amore credibile tra due persone, le metti in un luogo confortevole, così che si possano sentire ispirate.

Ma come puoi ispirare qualcosa di specifico ad un animale? Annaud ci parla di quando riuscì a confondere due tigri.

Spesso posizionare qualcosa sul set può essere d’aiuto per aiutare l’attore a trovare la via giusta per la scena. Funziona così anche con gli animali. Vi farò un esempio.

Ho fatto un film in Cambogia, chiamato “Due Fratelli”, con due tigri. Nella storia le due tigri dovevano essere sorprese, perché vedevano dei cacciatori armati.

Così domandai all’addestratore come potessi ottenere “un punto interrogativo” da parte delle tigri. Uno sguardo che fosse intenso. Lui, facendo una battuta, mi disse: “Beh sa, con qualcosa che non hanno mai visto, come un elefante in lontananza che fa UUUUH!”

(Pausa ad effetto, n.d.r.) Così gli ho chiesto: “Ce l’hai mica un elefante?”

Da un lato, ad un chilometro di distanza, avevo la tenda, in cui stava l’elefante, dall’altro il rifugio con le tigri. Piazzai tre telecamere, di cui una, con un teleobiettivo, su una gru.

Una volta pronti dissi, col mio walkie-talkie: “Bene, fate barrire l’elfante!”

Così le tende si aprirono e l’elefante fece “UUUUUUH!” (imita un’espressione perplessa e attonita, n.d.r.)

Le due tigri avevano un’espressione così meravigliosa! Ed è nel film. Non gli ho chiesto di farne un’altra.

Il regista ci racconta anche di quando per lo stesso film arrivò a fare un casting per un topo che fosse convincentemente furioso.

Insomma, per Annaud la fase dei provini è a dir poco cruciale.

Che tu stia facendo il provino di una Star o di un ratto devi sempre fare attenzione alla personalità! Questa è la magia e il rischio del Casting.

E a proposito di rischi del casting…

IL NOME DELLA ROSA: LA VOLVO USATA DI UMBERTO ECO E IL DIFFICILE CASTING DI SEAN CONNERY

Sean Connery e Christian Slater ne “Il nome della rosa”

Non poteva non spuntare come argomento durante una conferenza stampa italiana. E Annaud ha saputo accontentarci.

Ha parlato della sua fortissima amicizia con lo scrittore Umberto Eco, una delle più care, fino alla fine. Ha raccontato dello scetticismo dell’autore verso il suo stesso libro. Un racconto molto complesso, quindi impegnativo. Tale era la sua convinzione che il libro non avrebbe avuto un futuro che…

Vendette i diritti e con quei soldi potè permettersi metà dei soldi necessari ad acquistare una volvo arancione di seconda mano.

Salvo venire presto smentito

Qualche giorno dopo che il libro era stato pubblicato, ero con Umberto nella sua casa in campagna.

Ad un certo punto il telefono suona e sua moglie Renate va a rispondere. Era l’editore tedesco del libro, questo è quello che sento rispondere: “9.000? No, 90.000? Cosa intendi? 900.000? Ma questo è impossibile!” Quello era il numero di copie vendute in Germania nei soli due giorni del fine settimana.

Umberto allora mi disse in francese, lo parlava molto bene: “Ma ti rendi conto se tutte le persone che hanno letto in soli due giorni questo libro venissero tutte a vedere il film?”

“Umberto” gli risposi, “se ottenessi solo un pubblico di 900.000 persone in Germania non mi lascerebbero più fare un altro film!”

Tuttavia la preoccupazione di Annaud riguardo quel che avrebbe dovuto fare andava crescendo:

Quando ho visto il libro vendere vendere e vendere capii di avere un problema. Perchè preferisco realizzare un film da un soggetto sconosciuto piuttosto che da un capolavoro internazionale. Ci sarebbe troppa pressione! Vi ricorderete, infatti, che quando il film uscì in Italia ottenni un solo giudizio mediocre dalla critica. Gli altri erano disastrosi!

È molto pericoloso procedere col libro famoso, perché la gente che lo ha letto dirà – “Ah-Ah, ma il film non è come il libro!” – E certo che non è come il libro!

A questo aggiungiamo un altro ricordo di Eco rievocato da Annaud, durante il dibattito serale con il critico De Simone.

Ricordo che mi disse questo:

Sai, credo che in futuro molta gente intelligente, magari dalle università, ti dirà che il libro e il film sono diversi. Digli che di recente uno scultore ti ha chiesto se può realizzare una statua chiamata “Il nome della rosa”… e digli che, purtroppo, la scultura non è come il libro!

La conferenza continua e si finisce per raccontare della scelta di un attore. Dal pubblico ci si chiede: “Ma le è mai capitato di avere già in mente un attore per un personaggio mentre lo scriveva?

La risposta è no. Non ho mai pensato ad un attore mentre scrivevo perché, mentre lo faccio, spesso ho bisogno di cambiarlo il personaggio.

Il grande pericolo è che quando pensi ad un attore pensi ad un film in cui lo hai visto o quello per cui è più famoso. E questo non è un bene per l’attore, perché finirai per chiedergli sempre le stesse cose. Molto meglio scrivere il personaggio nella sua interezza e poi, una volta fatto, dirsi “Ok! Chi può interpretarlo questo?”

Il cinema Hollywoodiano è pieno di storie in cui il regista scrive una parte per l’attore famoso. Poi lui prende possesso del copione. “La pagina tre la cambiamo, quella la buttiamo e così via.” Così lui diventa quello che ha diretto il film! E molto spesso, neanche per le giuste ragioni. Perdi il tuo potere come regista se sei bloccato a dipendere dall’attore famoso.

Ed ecco che il pensiero torna al Nome della rosa e al casting di Sean Connery nel ruolo di protagonista…

Per “Il nome della rosa” l’agente di Connery mi chiamava ogni tre settimane!

Era uno dei più grandi agenti di Los Angeles e io gli dicevo: “Mike, questo è un film ambientato nel 14° secolo, il personaggio è complicato. Lui è già Gulglielmo da Baskerville e in più Sherlock Holmes! Non voglio aggiungere 007 a tutto questo!”

Ho resistito per un anno. Poi un giorno (stavo lavorando a Monaco in quel periodo) il produttore mi dice:

“Oh, Sean Connery sta venendo per incontrarti!”.

Stavo lavorando nel mio ufficio, la porta si apre e entra quest’uomo gigantesco. Aveva la mia sceneggiatura sottobraccio.

Dice: “Adesso ascolta ragazzo!” (Il ragazzo ero io).

Apre lo script e comincia a leggere. E la stavo sentendo! La melodia di quello che avevo scritto dal libro di Umberto!

Questo per dire perché una scelta che sembrava impossibile era la scelta giusta. Perché lui ha voluto essere lì, lui ha voluto essere differente. Ci ha messo il cuore, perché era diverso da quello che aveva fatto fino a quel punto. E avevo fatto un grande errore a dire di no. Ma poi ho accettato.

Annaud, poi, ci racconta anche il momento in cui Eco venne a sapere della scelta

Ricordo che ero a Milano, siamo andati in un grazioso ristorante a mangiare. Una volta usciti mi fa: “A proposito, hai trovato qualcuno per Guglielmo da Baskerville?”…

(ammutolisce, n.d.r.) “Ehm, sì”, risposi.

“Oh! E chi è?”

“Sean Connery”, risposi.

Ricordo bene che reagì dicendo (gridando scandalizzato in italiano, n.d.r.): “Ah! Ma non è possibile!”.

Sua moglie era dietro di lui: “Renate! Renate! Ma lo sai cos’è successo? Ha scelto Sean Connery! Ma per la miseria non è possibile!”. Dramma all’italiana!

“Ma rifiuterai, vero?” mi chiese dopo.

“No, Umberto, è andato bene, non posso dirgli di no: è il mio lavoro!”

Il tempo passa, e, finalmente, arriva il momento dei preparativi per l’inizio delle riprese

Umberto veniva sul mio set ogni 15 giorni, più o meno, mentre lo stavamo costruendo.

Tre giorni dopo aver cominciato a girare, Umberto torna sul set! Vuole salutare Sean Connery.

Lo porto alla roulotte, la porta si chiude e passano venti minuti. A quel punto la porta si riapre. Non saprei trovare qualcosa per farvi capire quanto fosse bianco in volto! Mi dice:

“Sì, è molto competente… Nel football!”

Una volta terminato e visto il film, però, lo scrittore avrà modo di ricredersi sulla bizzarra scelta dell’amico

Lui vide il film completo prima di me. Mi chiamò e io volli raggiungerlo subito per parlarne. Mi abbracciò fortemente e mi disse:

“La cosa di cui avevo più paura, ovvero Sean Connery, è dove tu hai avuto più successo!”

IL DESIDERIO DI RACCONTARE: RICORDO DI FELLINI

“Intervista”

Rimini si prepara a festeggiare il centenario della nascita del regista Federico Fellini. Viene, quindi, abbastanza naturale dal pubblico domandare ad Annaud del suo rapporto con il grande maestro italiano. Il regista si dimostra assolutamente lieto di parlare del nostro Cinema.

Sono sempre stato un grande amante del Cinema Italiano. Anche quando andavo alla scuola di Cinema non mi piacevano i film americani! Mi piacevano quelli giapponesi, russi e italiani. Negli anni ’60-’70 ogni mese c’era un grande film italiano che potevamo vedere in Francia! La gente ama Ettore Scola, Monicelli, Dino Risi, naturalmente Fellini, Antonioni, Visconti, Zeffirelli. Tutte queste persone hanno avuto una grandissima influenza su di me. E nella mia vita ho avuto anche la grandissima fortuna di poterglielo dire!

Parlando poi nello specifico del regista riminese…

Ho avuto l’occasione di conoscerlo di persona e mi sento molto fortunato. Tra i miei film preferiti ci sono “La Strada”, “Le notti di Cabiria”, “Otto e mezzo”. Ad oggi il mio preferito suo rimane sempre “Amarcord”. Adoro incredibilmente quel film.

Quando stavo facendo “Il nome della rosa” “presi” il suo direttore della fotografia, Tonino Delli Colli, e il suo assistente. Quest’ultimo lo avevo voluto perché ho sempre amato il modo in cui venivano scelti gli attori per i film di Fellini. Per “Il nome della rosa” lavorò anche Dante Ferretti (che in seguito avrebbe lavorato per lui come scenografo).

Fellini veniva spesso sul set e un giorno disse qualcosa che colpì molto Annaud

“Ti invidio, perché tu puoi fare quel che vuoi. Io sono famoso, ma tutti vogliono vedere me e non i miei film. Sono molto felice per te, che hai questo grande set e tutte queste persone che lavorano per te!”

Io ero un regista molto giovane e sentire queste parole da quest’uomo per cui avevo così tanta ammirazione mi spezzava il cuore! Sono fiero di averlo aiutato a trovare i finanziamenti per uno dei suoi ultimi film.

Ero, infatti, riuscito a convincere il mio produttore ad occuparsi del suo “Intervista“.

Ma non è solo in vita che il nostro Fellini ha dovuto subire questa ridicola diffidenza verso il suo lavoro. A questo proposito, Annaud ha un aneddoto:

Recentemente ho avuto una cena molto fastidiosa con un famoso distributore italiano. [Mentre stavamo a tavola, n.d.r.] Un mio amico disse: “Ci piacerebbe avere tutti i capolavori di Fellini in DVD.” E il distributore rispose: “Oh no no! Non c’è interesse, nessuno li guarderebbe!” Così il mio amico (che tra l’altro si era anche occupato di “Intervista”) ha realizzato la collection disponibile in Francia, ahimè non in Italia.

“Voglio una donna!” grida Annaud a noi della stampa a conclusione di questo piccolo spiraglio dedicato a Fellini.

VIAGGIARE PER NON FINIRE IN GABBIA: RICORDO DI MINNELLI

Guardando i suoi film si può notare una notevole varietà di temi trattati, dal pubblico gli si chiede cosa lo porti ad affrontare sempre un copione con una diversa ambientazione, diversi personaggi e diversi argomenti. La risposta parte da un ricordo di gioventù.

Credo che ci sia stato un grande strappo nei primi anni della mia vita. Finiti i miei studi, ero stato mandato dall’università in Camerun. Avevo vent’anni e non avevo alcun interesse per l’Africa. Poi me ne innamorai.

Questo mi aprì il cuore ad altre culture, ad altri modi di pensare. E questo amore dura ancora oggi. Sono certamente ancora affezionato a Parigi, ma adoro vivere in altre nazioni, calare me stesso in scenari ancora da conoscere.

“Sette anni in Tibet”

Non so se lo sia effettivamente, ma in cuor mio sento di essere diventato anche una persona migliore facendo questo. Di recente ho vissuto quattro anni in Cina. Uno dei miei ultimi film l’ho girato nel Montréal. Quel periodo l’ho vissuto tra Montréal e Los Angeles. Mi piace cambiare prospettiva, capire gli altri, calarmi nei diversi punti di vista dell’umanità.

Non sono mai stato un monaco, non credo in Dio, non sono mai stato una ragazzina che si innamora di un giovane cinese. Di certo non sono neanche un orso… Identificarsi e imparare sempre qualcosa di nuovo trovo che sia un dono prezioso.

Purtroppo un autore può cadere nella trappola e fare sempre la stessa cosa, finendo per odiare le sue opere e persino il suo stesso lavoro. Di questo incubo, Annaud ci parla attraverso un altro grande incontro della sua vita. Quello con Vincente Minnelli.

“Gigi” di Vincente Minnelli

Quando ero studente alla scuola di Cinema, ogni sera mi trovavo alla Cineteca. Un giorno viene Minnelli, ovviamente mi piacevano molto i suoi musical. Lui guardò tutti noi ragazzi e ci disse: “Non so davvero perché mi trovi qui in questo tempio della Cinematografia, sono solo un pessimo regista! Odio il mio lavoro, odio i ballerini, i cantanti. Non fate come me, non riducetevi a fare sempre lo stesso film.”

Ascoltandolo mi dicevo: “…Cosa? Ma quest’uomo è un genio che fa dei musical magnifici, come può dire questo?” Lo diceva perché era intrappolato a fare sempre la stessa cosa.

COS’È CAMBIATO NEL CORSO DEL TEMPO E CHE COS’È PER ANNAUD IL CINEMA?

“La guerra del fuoco”

Annaud non è mai cambiato. I suoi film sono sempre stati realizzati partendo da qualcosa che sentiva fortemente di voler fare. Ma qualcosa in realtà deve essere corretto: stiamo parlando dell’aspetto del lavoro finito. Bisogna tenere sempre conto del pubblico.

C’è stato un grande cambiamento nel modo in cui la gente fruisce il film. In primo luogo ricordate che anche se un film verrà proiettato nelle sale avrà più spettatori per televisione. Per questo devi adattare il tuo stile alla televisione. Ma ad oggi tu devi tenere conto anche del cellulare: molti film vengono visti così.

È un cambiamento urgente. Ricordo un giorno in cui c’era uno dei miei film in televisione e non riuscivo a capirci assolutamente nulla! Era troppo piccolo. Il film era “La guerra del fuoco”. “Mio Dio, dovrei cambiarlo!” mi sono detto.

Quando girai “La guerra del fuoco” [nel 1981] non c’era futuro per il Cinema. C’era la sala, punto e basta. Poi finiva nella Cineteca. Non esistevano nemmeno le videocassette. “La guerra del fuoco” è stato uno dei primi film a venire distribuito in home video e non lo sapevo!

La trasformazione è colossale! E ora, ovunque, la gente guarda i miei film sui loro iPhone. Quindi non puoi più girare allo stesso modo: devi fare più primi piani, devi essere più diretto nei dialoghi. Devi stare attento anche nei totali, perché non si vede niente, devi concedere immagini più strette. Per forza.

Non giudico l’evoluzione della società, sono solo un piccolo uomo! Mi devo adattare alla società in cui vivo. La società corre sempre più velocemente. È un fatto della vita. È meglio? Beh, tutti noi siamo attaccati al modo di fare con cui abbiamo cominciato. Dobbiamo prender parte al gioco.

E poi adoro affrontare le sfide che i cambiamenti della vita mi pongono davanti!

Il nemico alle porte

Ma allora cos’è costante nel mestiere e nella visione del nostro Annaud?

Credo che la cosa più importante sia l’emozione che arriva al pubblico attraverso i vari strumenti del Cinema. E temo che le parole non facciano il film.

Il Cinema è nato muto e successivamente è nato muto con musica. La musica vi dà l’emozione, quello che vedete vi dà l’essenziale. Nel mio modo di vedere, il visivo viene prima. Poi c’è la colonna sonora, che include la musica, e i livelli del parlato.

È importante la storia tra i due [personggi], per questo il livello [sonoro] del dialogo è probabilmente più importante di quello che viene detto.

La grande differenza tra la Televisione standard e il Cinema è che nella Televisione quello che devi sapere ti viene comunicato attraverso delle teste parlanti  Il Cinema ti porta in una dimensione emozionale.

Ho sempre avuto l’impressione, filmando scene di dialogo, di fare una sorta di show radiofonico. Siate molto cauti quando cominciate a pensare che il dialogo regga tutto lo spettacolo. Potrete anche raggiungere il vostro scopo, ma non sarà Cinema. Sarà Radio in cui puoi vedere la gente che parla.

CONSIGLI PER GIOVANI CINEASTI

Il leggendario spot “1984“, realizzato da Ridley Scott

Anche per Annaud, come per Minnelli ai tempi, è venuto il momento di porre la sua esperienza a disposizione delle nuove leve (o aspiranti tali). Cos’ha significato per lui scegliere questo mestiere?

Ho frequentato due importanti scuole di Cinema in Francia e poi ho cominciato la mia carriera con delle pubblicità, in un tempo in cui la pubblicità era robaccia. In quel periodo in Europa eravamo tre o quattro registi ad approcciarci al mercato pubblicitario, ricordo Ridley Scott, Alan Paker.

Vi dico questo perché venti anni fa mi stavo chiedendo se avessi oggi il coraggio di rifare tutto di nuovo. E venti anni fa, nonostante avessi una carriera di successo, la risposta era no. Appena uscito dai miei studi ho lavorato ogni giorno diciassette ore al giorno. Ed è così ancora oggi.

Il livello di competizione è tale che tu devi lavorare così tanto tempo, prendere molti colpi per sopravvivere. Credo sia una questione di determinazione, ma devi anche provare ad essere all’altezza del migliore, a combattere. Perché ci sono così tante persone che vogliono essere attori, registi e diversi tipi di cineasti. È estenuante, ma è meraviglioso!

E arriviamo ad una piccola, ma essenziale dritta in merito ai progetti che un cineasta vorrebbe affrontare, ma che non trovano il consenso di chi lo circonda:

Vi voglio dare anche un mio consiglio personale. Ho passato la mia vita a discutere per ogni film abbia mai fatto.

Che fosse per i finanziamenti o altro,  [finivano per dire frasi del tipo]: “Chi sarebbe mai interessato alla storia di un orso?” “Chi sarebbe mai interessato a dei monaci?” “Chi sarebbe mai interessato ad un primitivo che si aggira con una pelle d’orso per una terra desolata?”.

Seguite il vostro istinto, lottate per esso! La gente spesso ci crede e si piega alla pressione dei produttori. Non cedete!

Diversi giovani registi vogliono fare il campione di incasso. Ma se questo genere di film non va, rimarrà bloccato per sempre. Se avete qualcosa in cui credete davvero, allora persisterà nel futuro, anche se fallisce [al botteghino].

Il mio primo film. Pam! Nessuno l’ha visto! Però ha vinto l’Oscar…

IN CONCLUSIONE

Il futuro non è solo il Cinema, questo lo hanno capito tutti.

Questo dice Annaud all’inizio della conferenza stampa. Vedendo come molti suoi colleghi, che si parli di Woody Allen, Steven Soderbergh o di Steven Spielberg si muovano (o tornino) alla televisione, cercando un audience più giovane, è chiaro che ormai il futuro di qualsiasi regista è inevitabilmente legato a condurre delle carriere parallele su vari mezzi.

Nonostante l’ultimo lavoro di Annaud, L’ultimo Lupo, sia ormai di quattro anni fa, il nostro è un regista sempre a lavoro. Non va dimenticato che Annaud è regista di La verità sul caso Harry Quebert, miniserie gialla in dieci episodi (uscita in Italia quest’anno tramite SKY) basata sull’omonimo libro di Joël Dicker.

Lavorando per la televisione il tempo a disposizione è chiaramente minore. “Ho avuto 80 ore a disposizione per realizzarne nove di girato. È stato difficile, ma è stato anche interessante imparare a lavorare in velocità“.

La verità sul caso Harry Quebert

Ma il Cinema? A questo daremo una risposta criptica… Al suo arrivo, dopo aver visitato il Palazzo dei congressi, Annaud si è precipitato in albergo per lavorare ad una nuova sceneggiatura da inviare ad Hollywood. Quindi qualcosa c’è (come c’è sempre).

Siamo forse all’inizio di un’altra battaglia che porterà al ritorno di Annaud al Cinema? Chissà.

Voglio lasciarvi con una domanda.

In un periodo storico-artistico come questo, in cui tutti possiamo girare qualcosa grazie alle nuove tecnologie sempre più alla portata di tutti, ma dove la macchina produttiva rende ancora più problematico un esordio sulla scena mondiale, sarà possibile vedere nascere un altro folle esordiente sempre a lavoro solo su soggetti che ama? Un altro piccolo uomo, che pone il suo sguardo sul mondo che lo circonda, per starne al passo, ma senza piegarsi? Chissà.

Vedremo che cosa il futuro avrà voglia di riservarci.

PS: Ringrazio il buon Francesco Gamberini per avermi suggerito come chiudere questo articolo…

Marco Moroni

Nato nel maggio del 1995 a Terni, città dell'acciaio e di san Valentino. Dovete sapere che vicino alla mia città si erge, spettrale, un complesso di capannoni abbandonati. Quando eravamo bambini ci veniva detto che quelli erano luoghi meravigliosi, in cui venivano realizzati film come "La vita è bella" o "Pinocchio". Questo fatto ci emozionava e ci faceva sognare una Hollywood vicino casa nostra. Come il castello transilvano di Dracula, tutti cercano di ignorare quei ruderi ma, ciononostante, tutti sanno benissimo cosa siano e non passa giorno senza che si continui a sognare quel Cinema che nasceva a casa nostra. Chiedendomi cosa mi faccia amare tanto la settima arte, e perché mi emozioni così tanto al solo pensiero, potrei rispondermi in molti modi, ma sono sicuro che quel sogno di tanti anni fa abbia un ruolo più che essenziale.
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