
Slevin: gangster e intrighi à la Hitchcock
Lucky Number Slevin, quando la classe è gangster.
Mettete Josh Hartnett, Bruce Willis, Ben Kingsley e Morgan Freeman nella stessa stanza. Mettete che due sono gangster, che uno è un killer e l’altro non si capisce bene da dove sia uscito (ma passa tutto l’inizio del film vestito solo di un asciugamano). Mettete un passato sanguinoso, una storia complessa, un colpo di scena dopo l’altro… e avrete Slevin – Patto Criminale. Messa così, effettivamente, la spiegazione è contorta e poco convincente, anche se a me erano bastati tutti quegli attori (e Hartnett in asciugamano, non dimentichiamolo) per convincermi. Per cui è forse il caso di fare un passo indietro e cercare di dipanare la splendida matassa che è Slevin.
Paul McGuigan dirige nel 2006 un gangster movie dal sapore tarantiniano che consiglio assolutamente per la sua capacità di svicolare tra i generi, grazie a dialoghi e personaggi fuori dal comune. Tutto ruota attorno a Slevin Kelevra (Hartnett), un ragazzo qualsiasi che dopo una serie di inconvenienti si ritrova ospite dell’amico Nick Fisher, a New York. Ma Nick non si trova e Slevin conosce Lindsey (Lucy Liu), la vicina di casa bella e curiosa che vuole investigarne la sparizione misteriosa. L’assenza di Nick, però, apre una serie di reazioni a catena inaspettate per Slevin.
Prima Elvis e Tonto, due energumeni al soldo del Boss (Morgan Freeman) in cerca di Nick, trovano Slevin, gli spaccano il naso e lo trascinano alla presenza del capo. Fisher deve un sacco di soldi al Boss, e in sua mancanza, è il povero Slevin a doversi fare carico del debito. Potrà estinguerlo solo se sarà disposto ad uccidere il figlio gay del gangster rivale, Shlomo (Ben Kingsley). Tornato a casa, insanguinato e pieno di domande, Slevin viene rapito anche dai tirapiedi dello stesso Shlomo che gli riferisce praticamente la stessa cosa: Fisher è nella merda fino al collo, e senza di lui tocca a Slevin tirare fuori il malloppo dovuto.
Peccato che le complicazioni non finiscano qui, perché se questo fatto surreale – che, come dice Il Rabbino, pare arrivare direttamente da un film di Hitchcock – sembra il motore dell’intera vicenda, in realtà le fila sono da ricercare molto più indietro. Indietro fino alla fine degli anni ’70, quando Il Boss e Il Rabbino governavano la città. All’epoca corrompere poliziotti, truccare le corse di cavalli chiamando killer spietati a fare il lavoro più sporco (l’impassibile Goodkat, AKA Bruce Willis) era all’ordine del giorno. Ma adesso tutto sta per tornare dal passato più forte che mai.
Nick Fisher: Che cos’è la mossa Kansas City?
Mr. Goodkat: La mossa Kansas City è quando guardano a destra e tu vai a sinistra.
Nick Fisher: Non l’ho mai sentita!
Mr. Goodkat: Eehh… Non è che se ne parli tanto. Alla fine colpisce chi non vuol sentire. Questa in particolare è in preparazione da più di 20 anni.
Nick Fisher: Vent’anni eh!?
Mr. Goodkat: Non è una cosa da poco. Richiede una grande programmazione. Coinvolge un bel po’ di persone. Persone collegate solo da un evento insignificante. Una soffiata nella notte, in un ambiente che non dimentica. Anche se tutti ne avrebbero voglia. Inizia con un cavallo.
Quella che Paul McGuigan mette in piedi con Slevin è una “mossa Kansas City” precisa come un orologio, dove ogni personaggio si muove all’interno di un meccanismo più grande, con lo scopo di costruire la visione d’insieme che ci appare solo alla fine. Tutti i pezzi, che scopriamo durante il film con una serie di flashback, prendono allora il loro posto e ci mostrano l’inaspettata realtà delle cose, ben diversa da quella che ci eravamo immaginata. Slevin non è sprovveduto come sembra, Goodkat in fondo ha un cuore, Shlomo e il Boss sono solo due marionette e via dicendo in un crescendo di colpi di scena. Alla struttura registica magistrale, aggiungerei anche una nota di merito per lo stile: ogni ambiente è curato nel dettaglio, in una festa per gli occhi che farà felice tutti gli appassionati di interior design.
Carta da parati a chilometri e mobilio in stile vintage, insieme alla sceneggiatura da gangster movie, ci portano indietro agli anni ’60/70’, quando Intrigo internazionale segnava l’inizio dell’epoca del noir da Maestro.
Che meraviglia.