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Best Animated Feature 2016: Anomalisa VS Inside Out

Momento momento momento: dite quello che volete, ma in Anomalisa ci sono DUE PUPAZZI CHE SCOPANO. E per giunta in stop motion.

Perfetto, ora che ho catturato la vostra attenzione possiamo passare all’esame dei due maggiori candidati all’Oscar per la categoria animazione, Anomalisa, per l’appunto, e Inside Out; comunque sì, i due pupazzi protagonisti di Anomalisa scopano per davvero (ripeterlo è sempre divertente), ma non è l’unica cosa che conta.

Partiamo dall’ultima fatica di Charlie Kaufman: Michael Stone nella vita fa il motivatore, tipico lavoro che solo gli americani potevano inventarsi, ma non riesce granché a motivare se stesso. A Cincinnati per una conferenza su quanto dovrebbero essere entusiasti quelli del customer service del loro lavoro, inizia la serata deprimendosi nella sua stanza d’albergo, quindi ricontatta senza successo una vecchia fiamma di una decina d’anni prima, infine incontra due amiche che si trovano nel suo stesso hotel proprio per assistere alla sua conferenza; con una di queste, Lisa, scatta un’inspiegabile attrazione. Inspiegabile perché Lisa non è niente di speciale: scialba, goffa, bruttina, un lato del viso sfregiato (e qui ci viene lasciato intendere che potrebbe avere alle spalle il classico padre/marito/amante violento). Eppure, è l’unica persona la cui voce alle orecchie di Michael suona come reale, come una voce di donna – mentre tutte le altre, moglie ed ex amante comprese, sembrano maschili e identiche. L’incanto dura fino al giorno dopo, quando Michael torna ad essere investito in pieno dalla sua crisi esistenziale.

Tutt’altra musica per Inside Out: qui la crisi non è di mezza età, bensì adolescenziale. L’undicenne Riley vive una vita spensierata finché non è costretta a trasferirsi a causa del lavoro del padre. I suoi turbamenti ci vengono mostrati dall’interno: Gioia, Rabbia, Paura, Disgusto e Tristezza governano la sua mente e cercano di rimetterla in carreggiata, con avventure psichiche e psichedeliche strabilianti.

In troppi si sono sperticati in lodi per il film della Pixar, e in altrettanti lo hanno bastonato: l’errore di entrambe le parti è stato credere che Inside Out puntasse ad essere un manuale di psicologia for dummies, e non soltanto, si fa per dire, un gran bel film. I motivi? Banalmente, la grafica, che in questo caso non è solo estremamente ben fatta, ma spesso coincide con la narrazione, rafforzandola. Prendiamo l’amico immaginario, incrocio di mille animali diversi, o il fantastico viaggio nel pensiero astratto – forse la parte migliore di tutto il film. E ancora, le emozioni prendono vita: ecco quindi che Tristezza è blu e flaccida, Gioia un’odiosa campanellino, Rabbia un ometto rosso e tarchiato e così via. “Manca il libero arbitrio” è stata la critica più sentita: ora, ma davvero pensavate che la Disney-Pixar avesse in mente di condensare un trattato di filosofia in un’ora e mezza di film?

Bisogna invece riconoscere al creatore di Riley & co. una discreta originalità – proprio quella che manca in Anomalisa: opera senza dubbio interessante, ma in cui per tutto il film si ha la sensazione che se invece che con dei pupazzi fosse stato girato con degli attori in carne ed ossa nessuno se lo sarebbe filato, cosa che invece proprio non si può dire per Inside Out. Insomma, Kaufman ci regala un esercizio di stile minore, mentre Pete Docter sembrerebbe aver fatto il colpaccio.

Come minimo, adesso l’Oscar lo vince Shaun.

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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