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Oscar so… depressing?

NdR: questo articolo è stato scritto a quattro mani dai nostri valorosi Edoardo Ferrarese e Arianna Borgoglio

Tu sei buono
e ti tirano le pietre,

Sei cattivo
e ti tirano le pietre

Non sei ricco
e ti tirano le pietre

Così faceva un (molesto) motivetto anni Sessanta, ma ad oggi, in odore di Academy, sarebbe più appropriato dire che, se sei sfigato, al limite ti tirano gli Oscar, quelle benedette statuette dorate tanto ambite, che soltanto il bel Leo DiCaprio non riesce a vincere manco a morire.

Leo Oscar

A pochi giorni dall’inizio dei prestigiosi Academy Awards, concedeteci una tanto breve quanto acida riflessione su quella che sembra essere la tendenza dominante degli ultimi anni, ovvero l’assegnare l'”omino in gold” solo ed esclusivamente a film strappalacrime o socialmente impegnati, storie di menomati, disabili e malati terminali più o meno inventati, drammi di guerra o casalinghi che siano, e via discorrendo (o dovremmo dire deprimendo…).

Sì, lo so che vi sembreranno affermazioni un po’ forti ma niente paura, non siamo né un branco di nazisti sostenitori dell’eugenetica, né dei mostri senza cuore, ne abbiamo soltanto pieni gli zebedei di assistere, ormai annualmente, alla sagra dell’ipocrisia e della banalità.

Per carità, non ci sogneremmo mai di affermare che film come, per esempio, 12 anni schiavo di Steve McQueen, vincitore del premio Oscar come miglior film nel 2014, non abbia meritato la vittoria, né che Eddie Redmayne non sia stato abbastanza intenso da aggiudicarsi l’Oscar come miglior attore protagonista per la sua interpretazione di Stephen Hawking ne La teoria del tutto (James Marsh, 2014), ma diciamocela tutta: l’Academy of Motion Picture Arts and Science ha assegnato i premi alle storie, alla drammaticità delle trame scelte, senza considerare altri fattori pregnanti come, in primis, la bravura interpretativa degli attori candidati.

E volete che quest’anno a fare incetta di premi non sia proprio The Danish Girl (Tom Hooper, 2015), dove il buon Eddie Redmayne (lo adoriamo, davvero, ma… di nuovo?! Eh no, un po’ per uno in braccio alla mamma, come ci dicevano da piccoli…) interpreta il primo transessuale della storia, con tanto di storia d’amore travagliata, trionfo dei buoni sentimenti e tutti gli annessi e connessi?

Non siete ancora convinti? Allora passiamo la palla a Edoardo, e beccatevi questa carrellata di film che sono la prova inconfutabile delle nostre audaci affermazioni: ai posteri l’ardua sentenza…

Visto che prendiamo in esame le quattro categorie che premiano i singoli (migliori attori, protagonisti e non), partiamo dal 2010 (che a cominciare prima veniva lunga, e vi rompevate le balle prima voi di me). Cercate di vedere la cosa come un esempio, un campione di analisi che potrebbe applicarsi agli Oscar precedenti (in realtà è che avevo poca voglia di sbattermi, true story). Comunque, cominciamo il viaggio in questa folle teoria? Dai, già che siete arrivati fin qua.

Dicevo, Oscar 2010. Iniziamo subito con l’antitesi della teoria (così potrete già prendermi a pernacchie): a vincerlo per il miglior attore protagonista è Jeff Bridges per Crazy Heart (Scott Cooper, 2009), dove fa la parte di un cantante country alcolizzato (dai che un pochino di aiuto c’era, l’alcolismo fa sempre presa). Quello che però stupisce è che in lizza c’era Colin Firth con A Single Man (Tom Ford, 2009), e l’attore inglese recitava la parte di un omosessuale, che aveva anche appena perso il suo compagno. Academy cosa ti è successo? Non solo, la miglior attrice protagonista è Sandra Bullock per la storia sul football The Blind Side (John Lee Hancock, 2009) (anche se nel film adottava un giocatore afroamericano), e non, a sorpresa, Gabourey Sidibe per Precious (Lee Daniels, 2009), il concentrato di tutto quello che stiamo cercando di criticare in questo articolo: l’adolescente Precious, obesa e semianalfabeta, viene violentata dal padre e partorisce un figlio down (in omaggio c’è pure la madre che la picchia, fanno due chili di tristezza a palate, contanti o carta?). Però in compenso è proprio la madre, interpretata da Mo’Nique, ad aggiudicarsi la statuetta come miglior attrice non protagonista (vedete che la teoria inizia a prendere piede). Ah, l’omologo vincitore maschile era invece un certo Christoph Waltz, per un certo film che si chiama Bastardi senza gloria (Inglourious Basterds, Quentin Tarantino, 2009). Nemmeno se il figlio down di Precious avesse avuto un figlio autistico avrebbe potuto batterlo.

Precious Oscar

Nel 2011 Colin Firth però si prende la rivincita, grazie a Il discorso del re (The King’s Speech, Tom Hooper, 2010). Avere la balbuzie paga, vero Colin? Anche gli squilibri mentali vanno forte, lo dimostra Natalie Portman con Il cigno nero (Black Swan, Darren Aronofsky, 2010), ma io gliel’avrei dato solo per la scena lesbo con Mila Kunis (e ne avrei dato anche uno a Mila Kunis. Di Oscar. Cosa avete capito?). Che dite, calo il poker? Perché nel 2011 candidato c’era anche The Fighter (David O. Russel, 2010). Non fraintendetemi, a me il film è piaciuto, e ho adorato Christian Bale. Però ha vinto l’Oscar facendo un drogato di crack (e dimagrendo moltissimo per il ruolo), mentre la sua omologa vincitrice, cioè Melissa Leo, era proprio sua madre nel film (madre di un figlio drogato e di altre settordici figlie). Grande anno il 2011.

Bale Oscar

Il 2012 non vale, perché se fai un film muto in bianco e nero a 84 anni dall’introduzione del sonoro è ovvio che vinci. Comunque bravo Jean Dujardin. Ora vai a rubare le scarpe a Clooney, su. E se c’è Meryl Streep candidata, che fa Margaret Tatcher, vuoi non darle l’Oscar? Poi la gente si arrabbia. Anche qui l’Academy mi smentisce, perché Glenn Close interpretava la parte di una donna costretta a vestirsi e comportarsi da uomo per lavorare in Albert Nobbs (Rodrigo García, 2011). Io non sapevo manco dell’esistenza del film, magari è per questo che non ha vinto. Ai posteri l’ardua sentenza, che fa figo mettere una citazione colta ogni tanto (sì lo so, Arianna l’aveva già usata, non rompete le balle). Ma aspettate, se Christopher Plummer interpreta un padre che a 75 anni dichiara di essere omosessuale in Beginners (Mike Mills, 2010), secondo voi cosa succede? Bravi, avete vinto un altro giro sulla giostra. E non sto nemmeno a dirvi che se Octavia Spencer è una domestica di colore nel Mississippi del 1963, con un marito violento e cinque figli in The Help (Tate Taylor, 2011) non vincerà mai l’Oscar come miglior attrice non protagonista, perché tanto sapete che sto mentendo.

Octavia Oscar

Nel 2013 invece Daniel Day-Lewis doveva fare tripletta di statuette per Lincoln (Steven Spielberg, 2012), quindi non c’erano Bradley Cooper e Joaquin Phoenix disturbati mentali che tenessero. Però allora una psicotica Jennifer Lawrence era perfetta ne Il lato positivo – Silver Linings Playbook (Silver Linings Playbook, David O. Russel, 2012), perché, cara Jessica Chastain, se cerchi di catturare Osama Bin Laden per 157 minuti e non impazzisci neanche una volta o dichiari di essere lesbica, non sei nessuno (come minimo qualcuno mi querela dopo questo articolo). Beh, Anne Hathaway era ne Les Misérables (Tom Hooper, 2012), che già dal titolo vi dice tutto, non devo aggiungere nulla. Mi sto dimenticando qualcuno? Ah già, di nuovo quell’attore poco bravo che si chiama Christoph Waltz, vincitore del secondo Oscar per Django Unchained (Quentin Tarantino, 2012). Insindacabile, non scherziamo.

Lawrence Oscar

Lunga eh? Ve l’ho detto che se partivo prima vi finivano le balle sotto i talloni. Dai che manca poco, poi potete tornare a vedere i pornazzi (o la lesbicata tra la Portman e la Kunis, merita, fidatevi). Ah, care donne, anche voi guardate i porno, non prendiamoci in giro dai (che mi manca solo l’accusa di sessismo per urlare bingo).

Quindi eccoci al 2014. L’anno del grande scisma nelle sfighe della vita (Academy parlando). Meglio beccarsi l’AIDS nel 1985, o essere uno schiavo afroamericano nelle piantagioni di cotone della Louisiana di fine ‘800? Beh la partita è finita 2-1 per l’AIDS (ma c’era anche un transessuale di mezzo, per giunta anoressico, non si poteva mica non darglielo). Infatti le due statuette maschili le vincono Matthew McConaughey (non potevi chiamarti Rossi di cognome, no eh?) e Jared Leto (ora donne starete sbavando, lo so, è inutile che fate no con la testa) per Dallas Buyers Club (Jean-Marc Vallée, 2013). Qui prendo posizione, mi spiace. Leto l’ha vinto soprattutto per essere dimagrito, perché la prova attoriale di Michael Fassbender in 12 anni schiavo (12 Years a Slave, Steve McQueen, 2013) era qualcosa di magistrale. Ok ho finito, chiedo venia. Proprio per 12 anni schiavo è Lupita Nyong’o a vincere la statuetta come miglior attrice non protagonista. Ora, senza nulla togliere alla sua interpretazione, la mia domanda provocatoria è: se Lupita non fosse stata frustata, picchiata e stuprata durante quei 18 minuti in cui è presente nel film, avrebbe comunque vinto l’Oscar? (Razzismo, tombola!). Poi Cate Blanchett con Blue Jasmine (Woody Allen, 2013). Brava bravissima, tanto non avevi minoranze o casi umani a rincorrerti, tranquilla.

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Il 2015, finalmente, non ne potevo più. Academy, oops, you did it again? (Citare Britney Spears fa ancora più figo, altro che Manzoni). Eddie Redmayne si porta a casa la statuetta per La teoria del tutto (The Theory of Everything, James Marsh, 2014). Sapete chi è Stephen Hawking vero? Allora non devo neanche spiegarvi perché ha vinto. Stessa cosa Julianne Moore con Still Alice (Richard Glatzer, Wash Westmoreland, 2014). Interpreti una linguista di successo dalla vita perfetta, ma a cinquant’anni ti viene diagnosticata una forma presenile di Alzhemier? L’Oscar è già impacchettato in cassa, omaggio della casa. Gli omologhi non protagonisti invece se li sono portati a casa J. K. Simmons per Whiplash (Damien Chazelle, 2014), meritatissimo (anche se mi è spiaciuto molto per Edward Norton) e Patricia Arquette per Boyhood (Richard Linklater, 2014), che almeno un Oscar sto film doveva vincerlo e quello che faceva meno danni era questo.

Eddie-Redmayne-in-The-Theory-of-Everything_ Oscar

Bene, se siete pazzi quanto noi e siete arrivati fin qui, non avete vinto niente. Ritentate, sarete più fortunati. Comunque, scherzi a parte, la nostra è una teoria provocatoria (ma con un fondo di verità). Provate ad andarvi a cercare i vincitori precedenti così da smentirci (o forse confermare le nostre idee, attenti). La domanda però è questa: è più facile vincere l’Oscar se il personaggio interpretato ha un “aiuto”, indipendente dalla prova attoriale, che crea già di base empatia?

A voi le conclusioni (io torno a vedere i pornazzi).

Edoardo Ferrarese

Folgorato sul Viale del Tramonto da Charles Foster Kane. Bene, ora che vi ho fatto vedere quanto ne so di cinema e vi starò già sulle balle, passiamo alle cagate: classe 1992, fagocito libri da quando sono nato. Con i film il feeling è più recente, ma non posso farne a meno, un po' come con la birra. Scrivere è l'unica cosa che so e amo fare. (Beh, poteva andare peggio. Poteva piovere).
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