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Meglio e peggio del 2017 al cinema: fuochi d’artificio e putridume maleodorante

Benvenuti a tutti gli amanti dei listoni di fine/inizio anno, belli pronti con taccuino e matitina per segnarsi i titoli più interessanti dell’anno, sperando che l’augusto pirla che sta dall’altro lato della scrivania vi sappia segnalare qualche film che vi è sfuggito, oppure vi convinca a guardare qualcuno dei film che fino a quel momento avevate ingiustamente scartato. Lo so, vi conosco, sono uno di voi, comprendo i vostri handicap e il vostro bisogno fisiologico di scoprire nuovi film da guardare, soprattutto perché – io lo so, io lo so… – intorno a voi la gente si stupisce ancora (perché non li ha mai visti) per film come Blow, A Beautiful Mind o Se7en (“Oh, ma ‘sto film è incredibile zio!”, “Accidenti, che scoperta, lo vidi in tv nel 2000, tra uno spot della PlayStation 1 e un altro della Omnitel con l’allora esordiente Megan Gale”).

Venendo a noi possiamo dire che, al contrario del magro 2016, il 2017 è stato un anno denso di succose uscite, film per i quali smaniavamo da tempo: è stato l’anno della definitiva consacrazione di alcuni registi che da troppo tempo venivano definiti “emergenti” (che poi a me ‘sta parola fa sempre venire in mente degli stronzi, ma vabbè…). È stato l’anno dei cinecomics (te pareva), del revival anni Ottanta (grazie Stranger Things), di Stephen King, di Netflix che comincia a produrre film di ampia portata (alcuni buoni, altri pattume), di Weinstein e degli altri magnaccia dalla lesta manaccia che tanto ci hanno fatto inorridire, discutere, fare i buonisti, bruciare sul rogo i santini di quell’enorme attore di Kevin Spacey eccetera eccetera, come se non fosse stato il segreto di Pulcinella che più Pulcinella manco a Posillipo basso (basso Posillipo, cit.)

Ho provato a dividere il meglio e il peggio del 2017 in alcuni macro-generi assolutamente aleatori e perfettamente discutibili. Lo so, vi faranno schifo, ma dovevo paragrafare. Ok? A me sta bene, quindi starà bene anche a voi.


I fuochi d’artificio

Film d’autore:

Cominciamo dall’etichetta più ignobile del mondo. Che vuol dire film d’autore? Che gli altri film non hanno dietro qualcuno che li realizza. No, ovviamente, solo che si suppone che dietro a i film di questo tipo ci sia la riconoscibile mano di un regista che ha uno stile ben definito, delle tematiche, dei personaggi canonici, degli attori feticcio magari, ma soprattutto una poetica, una contiguità di visione se vogliamo dirla come piacerebbe tanto al vostro professore di Estetica, posto che ne abbiate uno.

Andando in ordine alfabetico cominciamo da Arrival, film che – all’inizio di questo 2017 – rivoluziona la fantascienza anni Duemila, firmato da quel genietto tutto made in Canadà di Denis Villeneuve, che piazza la sua personale doppietta col sequel di Blade Runner, ovvero quel capolavoro di Blade Runner 2049, tanto bello che ovviamente al botteghino è stato un floppone miserevole (pubblico cane, per te solo le lame). Da quell’altro genietto di Edgar Wright, papà di Shaun of the Dead e Scott Pilgrim vs the World, arriva invece uno degli action più spiritosi che si siano mai visti sul grande schermo, ovvero quella follia visiva di Baby Driver.

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Uno dei registi più esaltati e apprezzati di questi anni, ovvero il Christopher Nolan di Memento, la trilogia del Cavaliere Oscuro, Inception, The Prestige e Interstellar porta in scena il suo primo war-movie, Dunkirk, che ha soprattutto il merito di rivoluzionare il genere sotto il profilo estetico e narrativo. Una Seconda Guerra Mondiale raccontata come ce la racconta Nolan nessuno ce l’aveva mai presentata, nemmeno Spielberg durante i primi venti minuti (e basta) di Salvate il soldato Ryan.

Di tutt’altro segno è il ben più intimista Paterson, firmato dal grande Jim Jarmusch e interpretato dall’emergente (anche lui) Adam Driver, alias Kylo Ren nella nuova trilogia di Star Wars.

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Cinecomics:

Immancabili come la candidatura di Berlusconi, anche quest’anno abbiamo avuto la nostra bella dose di cinecomics, che ci hanno seppellito sotto la solita massa di supereroi sbrilluccicosi, patinati e distruttori di pianeti. Però – sì, amici nerd, c’é un però, so che lo stavate aspettando – questo 2017 ha riservato un paio di piacevolissime sorprese anche a chi tra noi non è fan del genere. La prima di queste viene dal mondo degli X-Men, uno di quelli che personalmente ho sempre prediletto all’interno del multi/macroverso dei supereroi: diretto da James Mangold e anticipato da uno straziante trailer con in sottofondo Hurt di Johnny Cash, ecco a voi Logan signori, uno dei capitoli migliori della saga e (forse) l’ultimo che vede la partecipazione di Hugh Jackman nei panni di Wolverine.

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Per quanto riguarda invece il giga-mega-ultra-iper-multi-cosmo della MCU, quest’anno mamma Marvel ha sfornato il secondo capitolo di uno dei cinecomics giustamente più apprezzati dal pubblico: lo scoppiettante, ironico, originalissimo Guardiani della galassia Vol. II che, forse, riesce anche a fare meglio del primo capitolo diretto sempre dallo stesso James Gunn.


Thriller/horror:

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Nel bene e nel male c’è tanto Stephen King in questo 2017, e in quale altro genere potevamo includere le opere del Re se non il thriller/horror? Cominciamo col dire che Netflix ha fatto un ottimo lavoro, trasponendo sul grande (in realtà piccolo) schermo uno dei romanzi più controversi di King, ovvero Il gioco di Gerald. Diretto dal sempre emergente Mike Flanagan (Oculus, Somnia) e interpretato magistralmente da Carla Gugino e Bruce Greenwood il film mescola abilmente thrilling e orrore, portando a casa il miglior risultato tra i lungometraggi targati Netflix. Sempre per quanto riguarda King non possiamo non citare It, l’horror che ha fatto più incassi nella storia del cinema e che porta per la prima volta al cinema le vicende di Pennywise e del gruppo dei Perdenti. Un film che ha diviso, ma che io mi sento di mettere tra i migliori risultati del 2017 per quello che il film vuole essere, per saperne di più vi invitiamo a leggere la nostra recensione.

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Un altro grande ritorno, dopo il discusso The Visit, è quello di M. Night Shyamalan, che porta sullo schermo Split, una favola psycho-thriller interpretata magistralmente da James McAvoy. Nonostante le aspre critiche al finale, che non hanno tenuto conto di QUELLA COSA, Split è certamente una delle pellicole più interessanti di questo 2017, impreziosita anche dalla performance di Anya Taylor-Joy (The VVitch).

Un altro tipo di thriller, con connotati decisamente più politici, è Scappa – Get Out, di Jordan Peele, film campione di incassi anche considerando lo scarsissimo budget iniziale.

Ma, se volete la mia opinione, la palma di horror migliore dell’anno se la accaparra il magistrale The Devil’s Candy, diretto da Sean Byrne. Un horror metal, crudo, ruvido, sporco, dalla fotografia abbacinante e – pur con un plot visto e rivisto – capace di incollare lo spettatore allo schermo grazie a una potenza visiva rarissima al giorno d’oggi. Un film da non perdersi assolutamente.

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Animazione: 

Rispetto allo sfolgorante 2016, il 2017 dei film di animazione è stata decisamente più povero, anche se illuminato da due opere che di certo hanno riempito il cuoricino palpitante di tutti noi. Il primo viene dall’Estremo Oriente, realizzata dall’erede non dichiarato di Hayao Miyazaki, ovvero Makoto Shinkai, che ci regala una perla come Your Name., film di animazione capace – forse più di ogni altro – di spaccare l’anima in due. Una storia fantasy, romantica, delicata, sottile, che indaga la lontananza e il desiderio, insieme ai mille risvolti dell’amore e della memoria. Un capolavoro, senza troppi giri di parole.

Altro piccolo gioiello è uscito di recente dalla Pixar: è Coco ovviamente, primo lungometraggio Pixar ad avere ambientazione messicana, in particolare quella – seppur già vista in The Book of Life – del Dia de Los Muertos. Coco parla di morte, di memoria, ma anche di vita, di sogni e desideri, in pieno stile Disney, ma rinnovandosi, riuscendo a portare un po’ più in là l’asticella.

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Azione/fantasy:

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Lo so. I film di cui vi parlerò non hanno assolutamente nulla in comune, ma abbiate pietà del mio povero cuore, sono solo un peccatore come voi.

Impossibile non citare il secondo, roboante capitolo della trilogia di John Wick. John Wick 2 è come un assolo di Jimy Hendrix a 800 decibel mentre si stanno mangiando peperoncini a crudo in sella a una Ducati sparata ai 300 all’ora. Adrenalinico sarebbe riduttivo, esagitato insufficiente: Keanu Reeves per due ore spara, accoltella, salta, lotta, scappa, distrugge, ma lo fa coadiuvato da una regia ironica al massimo e un aspetto funereo che si sposa alla grande col personaggio. Divertentissimo.

E poi c’è Star Wars – Episodio VIII – Gli ultimi Jedi. So che molti di voi mi toglieranno il saluto per averlo incluso, ma era il film che – insieme a It – più attendevo da questo 2017 e devo dire che non mi ha affatto deluso, come già detto nella recensione dedicatagli.

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Commedia/musical:

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Impossibile non citare il film che ha sbancato l’edizione 2017 di Oscar, Golden Globe, Nobel, Pulitzer, medaglia Filtz, premio Strega e San Remo: a questo La La Land manca giusto il Festivalbar e poi ha vinto tutto. Ormai Ryan Gosling ed Emma Stone che volteggiano, gorgheggiano e limonano sono entrati nell’immaginario comune, al contrario invece di un filmone come Sing Street. Se siete amanti della new wave e degli anni Ottanta abbandonate qualsiasi attività stiate svolgendo e ritagliatevi un paio d’ore per godere di questo gioiellino passato ingiustamente sotto silenzio. Poi passate a ringraziarmi però.

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Finalmente un po’ di cinema italiano, che irrompe prepotente con gli ultimi due capitoli di  Smetto quando voglio, splendida trilogia firmata da Sidney Sibilia. Masterclass e Ad Honorem surclassano il già ottimo primo capitolo, stracciando le mutande a tutti quanti. Se stiamo cercando opere italiane da esportare che non siano la solita commedia becera o il solito drammone d’essai (tre puttane in un casolare romagnolo che parlano del fallimento del socialismo fumando Gauloises senza filtro) questa trilogia è perfetta.

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Il putridume maleodorante

(Sul putrido voliamo veloce, che non fa piacere a nessuno)


Speranze fallite – Quelli che potevano essere, ma non sono stati

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I film tratti da videogiochi, si sa, si trasformano spesso in polpette di ignominia, ma con Assassin’s Creed abbiamo raggiunto un nuovo livello: quello dello schifo noioso. Du palle di film, con ‘sti assassini che non assassinano, un Fassbender più espressivo col cappuccio in faccia piuttosto che senza e, in sostanza, una regia putridissima.

Altro Fassbender, altra delusione: L’uomo di neve, essendo tratto da un autorone come Jø Nesbo ed essendo stato preceduto da un trailer figherrimo, aveva infiammato i cuori di tutti gli amanti del thriller, ma anche in questo caso assistiamo a un film pessimo che si trascina, noiosissimo, fino a un finale becero e inconcludente che non soddisfa nessuno.

E poi, tra le altre speranze fallite, possiamo citare Pirati dei Caraibi: La vendetta di Salazar, inutilissimo prosieguo di una saga che ormai non ha più polso da almeno un paio di capitoli; Death Note, ignobile prodotto Netflix che sputa in faccia a un manga/anime di altissimo livello e Justice League, ennesima riconferma di come affidare a Zack Snyder un budget di 300 milioni di dollari e pretendere un bel film sia come ordinare caviale in piazza San Marco e pretendere pure di non pagare un conto salato.

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Disastri annunciati – Quelli che non avevano senso di essere, ma sono stati

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Mentre ai film precedentemente elencati era ancora possibile dare una possibilità viene da chiedersi come fosse possibile sperare in qualcosa di buono, anche solo del sano divertimento (volontario) eh, da questi.

Baywatch faceva vomitare anche negli anni Novanta, quando le serie tv avevano ancora licenza di provocare deiezioni involontarie. C’era il decollete di Pamela Anderson e ci si faceva andare bene tutto, anche il faccione di pietra di David Hasselhoff. Adesso invece c’è The Rock. In ogni dove c’è The Rock. Tra un po’ lo troveremo anche nelle repliche de Il bello delle donne, a farsi consolare da Virna Lisi. E poi Zack Efron. Ho detto tutto. Alexandra Daddario invece merita. Brava la ragazza. Futuro del cinema.

E poi cosa attendersi poi da 50 sgommature… eehm, sfumature di nero, sequel di 50 sfumature di grigio? Guizzi di regia? Insospettate e insospettabili virtù recitative? Una sceneggiatura? Quantomeno scene calienti? No, signori, solo noia e insensatezza.

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C’è poi tutta la sezione tamarraggine gratuita, che vede per prima classificata la saga tamarra per eccellenza, ovvero l’infinito Fast & Furious, giunto ormai al suo ottavo capitolo. Si stuferanno prima o poi? Quelli che lo guardano intendo.

Vengono poi USS Indianapolis (per descriverlo bastano le parole Nicolas Cage) e l’orrido, squallido, malfatto, inutilissimo, sputtanatorio, ennesimo remake de La mummia, finito per fortuna in un flop così grande che speriamo dissuada i produttori nel ritentare esperimenti come questo. Ah, volevano realizzare un Dark Universe coi mostri Universal. Capito? Quando dico che la Marvel fa male…


Le ignominie – Quelli che non dovevamo permettere che ci fossero

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E infine le ignominie, i film più brutti e odiosi dell’anno. Cominciamo forte con La torre nera, orrenda e inutilissima trasposizione del magnum opus di Stephen King, interpretato (a caso) da Idris Elba e Matthew McConaughey probabilmente pagati a peso d’oro per mettere la faccia in un immondezzaio del genere. Non funziona niente. Non l’azione, non la fedeltà al romanzo (sette, a dire la verità, in un film da un’ora e mezzo, ma vabbé), non la regia. Non si salva nulla. Macerie di un autore che non doveva permettere si facesse questo della sua opera.

Non poteva mancare tra le file del putrido l’ultimo “lavoro” di Michael Bay, re e imperatore di tutto ciò che esplode a caso. Quando c’è Michael Bay sapete già che – 90 su 100 – si parla di quell’ignobile saga di Transformers, e dunque eccoci con l’ultimo (si spera) capitolo, ovvero L’ultimo cavaliere.

Last, but not least un dittico di film italiani: non poteva mancare il classico cinepanettone, realizzato quest’anno con il fondamentale apporto di un genio del cinema come Paolo Ruffini che, adottando un abilissimo procedimento di taglia e cuci dai più chiamato “Montaggio”, mette insieme spezzoni a cazzo di vecchi cinepanettoni, credendo, in cuor suo, di regalarci il meglio di un genere che a suo avviso non morirà mai. Ecco, se nell’iperuranio il concetto di cinema stesse in un luogo prefissato state pur certi che Super vacanze di Natale sta agli antipodi.

Chicca finale un film italiano poco conosciuto, che forse aveva ispirato qualche valoroso spettatore, tradito però dal putridume cui gli è toccato assistere: siore e siori eccovi The Broken Key, per avere più notizie in merito non vi resta che leggere la nostra recensione.

Se invece volete restare sempre informati su questo 2018 di cinema e serie tv non vi resta che continuare a leggere affezionatamente il vostro MacGuffin.

Perché il MacGuffin siete voi.

Che poi non è affatto vero: il MacGuffin siamo noi e voi non siete nessuno, ma dire cose buone fa tanto politically correct. Spero che dalla Direzione non stiano leggendo.

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Federico Asborno

L'Asborno nasce nel 1991; le sue occupazioni principali sono scrivere, leggere, divorare film, serie, distrarsi e soprattutto parlare di sé in terza persona. La sua vera passione è un'altra però, ed è dare la sua opinione, soprattutto quando non è richiesta. Se stai leggendo accresci il suo ego, sappilo.
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