Serie TV

22.11.63 (1×01) – The rabbit hole (Season premiere)

Ovvero: Come Ho Imparato A Preoccuparmi Sempre Quando Traspongono Libri Di King

Immaginate un libro sui viaggi nel tempo.

Immaginatevi che sia anche un romanzo storico: perché il nostro protagonista deve adattarsi a vivere nei primi anni Sessanta e salvare Kennedy – quel Kennedy – dal fucile di Lee Harvey Oswald (o chi per lui), cambiando in meglio le sorti della storia americana.

Immaginate che a scriverlo sia non un imbrattacarte qualsiasi, ma il Re: sua maestà Stephen King.

Immaginate poi una serie che lo traspone, e voi che gridate al miracolo e girovagate per le strade tirando coriandoli agli ignari che ancora non lo sanno!

Ebbene il libro c’è: fantastico, incredibile, denso di colpi di scena e con un approfondimento psicologico degno della miglior penna; la serie no.

(Avviso: ci sarà qualche spoilerino, ma poca pochissima roba)

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Da quello che abbiamo potuto vedere da questo lungo pilot (80 minuti circa) questa serie, che pur partiva coi presupposti migliori vista la co-produzione di J.J. Abrams e dello stesso King (produttore esecutivo), fa quello che molte pellicole hanno fatto con le opere del Maestro: le banalizza.

Il personaggio di Jake Epping, a.k.a. James Amberson, è interpretato da un James Franco bravo – per la carità – ma che non riesce proprio a trattenere la sua innegabile coolness (maledetta sincerità). Spesso infatti il buon Franco pare un po’ fuori posto nel ruolo del professore di letteratura un po’ spiantato, che deve sopportare morte del padre e divorzio (alzi la mano chi tra voi signorine divorzierebbe da James Franco) nel giro di breve tempo.

Rispetto al romanzo, in questo pilot si sono già viste enormi differenze, alcune (poche) comprensibili, altre completamente a caso (quasi tutte). Quando vedo adattamenti del genere mi chiedo sempre: perché cambiare a tutti i costi quando non ce n’è bisogno?

Esempio: nel libro quando Epping attraversa il passaggio spazio temporale (il rabbit hole del titolo) si ritrova nel 1958 e poco dopo va a visitare Derry, la pseudo-città al centro delle vicende di It (fatevi un favore e leggete quel capolavoro). Il tutto è un’evidente citazione/omaggio/riallacciamento a quel maestoso affresco che era il romanzo sul pagliaccio assassino. Nella serie no: si trova nel 1960 (a caso) e va nel Kentucky (di nuovo a caso).

Ma perché?

Non si sa.

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Ora: non voglio essere troppo critico di fronte a un adattamento di 8 puntate e che ha tutto il tempo di risollevarsi; dico solo che solitamente bisognerebbe puntare tantissimo sul pilot, perché è su quello che si basa la gente quando decide di guardare o non guardare il resto della serie. Se non avessi letto il libro e non sapessi quanto può essere bello, io onestamente mi fermerei qui, perché ci sono tutti gli ingredienti per il paciugo.

Ci sono anche cose buone però: la regia di Macdonald non è malaccio, ci sono due o tre momenti thrilling che ti tengono incollato allo schermo e la performance di Chris Cooper (American Beauty, Il patriota, Jarhead) nei panni di Al Templeton è ottima come sempre; quindi non stiamo parlando di spazzatura, ma di una serie con un soggetto a prova di bomba, prodotta da due giganti e che per ora si è dimostrata piuttosto piattina e banalotta.

Spero che gli episodi successivi possano smentirmi in pieno e di ritrovarmi a parlare con voi di quella serie partita male, ma diventata un motore rombante che fila a tutto gas, perché fino ad ora ci siamo trovati di fronte solo a un Phantom semi-scassato.

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Federico Asborno

L'Asborno nasce nel 1991; le sue occupazioni principali sono scrivere, leggere, divorare film, serie, distrarsi e soprattutto parlare di sé in terza persona. La sua vera passione è un'altra però, ed è dare la sua opinione, soprattutto quando non è richiesta. Se stai leggendo accresci il suo ego, sappilo.
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