Ve lo ricordate Fantastica Avventura? Se la memoria non mi inganna, avevamo da poco varcato lo scintillante ingresso del nuovo millennio quando Mediaset proponeva questo ciclo di teen movies pseudo-fantasy che, tra pubblicità, previsioni del tempo e qualche telegiornale flash, riuscivano a coprire il palinsesto dell’intera domenica pomeriggio. Nel calderone trash di Fantastica Avventura c’era un po’ di tutto – e funzionava, soprattutto in quello strategico orario post pranzo in cui l’accoppiata magica “il divano sotto di me e l’intrattenimento televisivo più basico davanti a me” era tutto quello che desideravi per superare con meno rogne possibili quel che restava del fine settimana (sì, il male di vivere da domenica tarda colpisce anche a 10 anni scarsi).
Cercavo il promo per un degno amarcord ed è uscito fuori questo del 1990, quando io neanche ero nata.
Una domenica come tante, per Fantastica Avventura è andato in onda un film che si è rivelato essere una mosca bianca fra draghi corazzati e Biancanevi elfiche, e il caso ha voluto che io lo registrassi in VHS e che continuassi a guardarlo, perché mi piaceva davvero tanto: si trattava della versione televisiva di Alice nel paese delle meraviglie del 1999, diretta da Nick Willing, con Tina Majorino nella parte di Alice, e un cast che comprendeva, fra gli altri, Gene Wilder, Ben Kingsley, Miranda Richardson e Robbie Coltrane (sì, ancora una volta mezzo cast di Harry Potter).

È un film che ha il diritto di essere tirato fuori dalla tana del coniglio bianco in cui è ingiustamente caduto. Soprattutto dopo che Alice è passata per le manacce, la crisi di mezza età e la computer grafica di Voi Sapete Chi (no, non Voldemort – da fedele Potterhead Grifondoro non temo di pronunciare il suo nome). Perché ormai, grazie a questo signore e all’imbarazzante e ripetitiva performance del suo attore prediletto (lui no che non lo nomino, ma per approfondire cliccate qua), è svanito anche quel briciolo di pallida idea Disney che avevamo di Alice nel paese delle meraviglie.
Perciò, ora tenetevi forte e state bene attenti a raccogliere la mascella da terra, perché sto per usare questo film come arma impropria per demolire le vostre certezze burton-disneyane. Tutte.

UNA BAMBINA VERA
C’era una volta (Oxford, 1800) un simpatico professore di matematica di nome Charles Lutwidge Dodgson, aka Lewis Carroll, talmente geniale da trovarsi terribilmente male (si dice? Boh, comunque rafforza il concetto), nella seria società vittoriana inglese, in cui se volevi scrivere dovevi per forza imbastire una storiella pedagogica e moraleggiante di bambini tutti buoni o tutti cattivi, nessuna via di mezzo. C’era un motivo molto semplice per questa tendenza, e si chiamava protestantesimo: siccome ci si doveva salvare l’anima con la personale lettura delle sacre scritture, era il caso che i bambini cominciassero a leggere prima possibile, e a capire che dovevano (attenzione, parola chiave fondamentale!) COMPORTARSI BENE.

Ebbene, come ha fatto Lewis Carroll a scrivere quello che diventò il primo, sovversivo, vero classico della letteratura per l’infanzia? Ha incontrato una bambina che non era né tutta buona né tutta cattiva, perché era una bambina vera: la piccola Alice Liddell.
PICCOLA, MORA E VESTITA DI GIALLO
Eccola qui. Molto più simile a un Bambino Sperduto che alla bambolina bionda col vestitino azzurro della Disney, per non parlare di quella specie di Bella Addormentata nel bosco burtoniano. Alice era una bambina piccola, molto più piccola delle due immagini con cui l’abbiamo conosciuta sullo schermo. Aveva i capelli scuri e parecchio corti, e portava vestiti dai colori chiari. Nel film del 1999 Tina Majorino – sebbene un pochino al limite di età anche lei – è castana, ha un vestito giallo e soprattutto ha delle espressioni normali: ride, piange, si preoccupa, si rasserena come farebbe qualunque bambina normale.
Per esempio.
TUTTA LA FACCENDA È UN INCUBO
Che Alice si fosse sognata ogni cosa è chiaro un po’ a tutti da sempre. Quello che forse non sapevate è che non si tratta di un bel sogno, ma di un incubo terrificante e straniante: nel Paese delle Meraviglie Alice soffre, nessuno la capisce e lei non capisce nessuno. Ok, questo l’abbiamo già visto sia nel cartone che nel film di Tim Burton, mi direte. E invece no, perché c’è una differenza di fondo: non ci sono isterismi. Le incomprensioni tra Alice e tutti i personaggi sono essenzialmente… inglesi. Non trovo un termine più adatto: non urla o strepiti, ma tutti scambi di battute misurati e pacati. Tina Majorino in questo è un concentrato di delicatezza ed educazione, lontana anni luce dal concentrato di sonno e apatia che è Mia Comesichiamalei.

UN FUNERALE ALL’INFANZIA
Esatto. Solo che Tim Burton deve essersi fermato al “funerale” e poi beh, ha fatto quel che ha fatto. Con questo libro, Lewis Carroll dice alla piccola Alice Liddell e a tutti i bambini lettori una cosa tremenda: crescere è inevitabile (poi arriverà un certo James Matthew Berry e dirà il contrario, poi ancora arriverà il solito Walt Disney e farà un casino bestiale travisando tutta la tragedia di Peter Pan). Bisogna far morire il proprio sé bambino come in una performance di teatro, dove tutto si sublima e si esaurisce nello stesso momento. Non si vede nel cartone, non si vede nel film di Tim Burton, c’è invece in Alice nel paese delle meraviglie del 1999: la Alice che riemerge dal Paese delle Meraviglie non è la stessa che vi è entrata.
Nell’adattamento con Tina Majorino questo cambiamento è rappresentato proprio dalla metafora dell’esibizione finale: Alice ha superato una prova, una sorta di iniziazione (e tutta la migliore letteratura per l’infanzia è figlia dei riti iniziatici), e riesce a cantare davanti agli ospiti una canzone – tra l’altro, scelta da lei, diversa da quella prevista dai genitori.
Tornando al funerale, non ho detto “riemergere dal Paese delle Meraviglie” a caso: lo sapevate che il primo titolo di Alice era Alice Underground? Sottoterra. Sepolta. Morta.
ALICE LOTTA CONTRO ALICE
Aaah, i bei ricordi di quando vi sono spuntati i ridicoli baffi adolescenziali, o vi è cresciuto il seno tutto a un tratto, o vi è cambiata la voce, o vi siete riempiti di brufoli (e per la dignità di tutti è meglio se chiudiamo qua questo imbarazzante elenco). Vi ricordate quanto vi sentivate brutti e goffi e vi vergognavate? (Io sì). Stessa cosa nel libro e, chiaramente, in questo film: la povera Alice-Tina soffre come un cane a ogni cambio di statura – ancora una volta, senza strillare o fissare intontita il vuoto, ma mettendo in scena una lotta interiore incredibile manifestata solo con le espressioni silenziose del viso. I mutamenti del corpo sono angoscianti per Alice che li sta vivendo, non si riconosce, tutto cambia da un momento all’altro senza che lei lo abbia deciso.
UN CATALOGO DI PERSONAGGI INCREDIBILI…
…che fanno il verso a qualsiasi adulto inteso come autorità, soprattutto in ambito educativo-didattico. Quei maledetti di Tim Burton e Walt Disney hanno fatto sparire nel nulla chicche come la Duchessa, il Cavaliere Bianco degli scacchi, il Topo, il Ghiro e soprattutto il loro intero repertorio di storie e filastrocche. Fatta questa doverosa premessa, è ora di andare sempre più giù come Alice nella tana del coniglio bianco e arrivare alle dolenti note.
Per fortuna loro ci sono sempre.
DOVE LE FILASTROCCHE SI SONO SALVATE
Le filastrocche sono la componente fondamentale di Alice. Toglierle dalla storia è come preparare il tè senza scaldare l’acqua. Quasi tutti i personaggi che Alice incontra le insegnano o le fanno ripetere una filastrocca o una storiella in rima – esattamente quello che avveniva alle bambine con le loro istitutrici. Dopotutto c’è un motivo se Alice è una delle sfide linguistiche più grosse: tutti questi inserti sono giochi di parole pressoché intraducibili (e vi dirò un’altra cosa: il tanto sbandierato “ASSURDO” è tutto qua: nella lingua). Nel film del 1999 le filastrocche e canzoncine ci sono quasi tutte, a costo di farlo risultare lungo (e in effetti lo è) e lento. Soprattutto c’è la Caucus Race, il convegno che diventa una corsa scompigliata dove ognuno fa quel che vuole, distante dalla Maratonda del cartone come la Terra dalla Luna.
Ci siamo persi qualche pezzo, tipo quand’è che il topo è diventato un gabbiano e gli uccelli dei pesci?
UNA TRISTE SCOMPARSA: IL CICIARAMPA
Avete presente quella scena terrificante della Deliranza? Avete presente la canzoncina intonata dallo Stregatto nel cartone? Entrambe sono un’ignobile storpiatura di quello che secondo me è il piccolo capolavoro all’interno di Alice nel Paese delle Meraviglie: The Jabberwocky. Una poesia epica che parla della sconfitta di un mostro, tutta scritta con parole INVENTATE. Inventate! Una delle traduzioni (o invenzioni, perché provatelo a tradurre voi il Jabberwocky) migliori in italiano è quella intitolata Il Ciciarampa, e sapete un’altra cosa? Il Cappellaio con il Ciciarampa NON. C’ENTRA. UN. EMERITO. TUBO.
Beccatevi il Sir dei Sir che recita il Jabberwocky e ignorate il quadretto sullo sfondo.
Ahimé, devo ammettere con immensa tristezza che Il Ciciarampa non compare da nessuna parte, neanche nel mio adorato Alice nel Paese delle Meraviglie del 1999. Né la poesia né chi la spiega ad Alice: quella gran capoccia di Humpty Dumpty.
Consigli per gli acquisti per capire di chi si tratta: SÌ libro di Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, NO DVD del Gatto con gli Stivali di Shrek!