Film

Il coltello nell’acqua, o la prima volta di Roman Polansky

Se doveste scegliere tre aggettivi per descrivere Roman Polansky, cosa direste? La mia opinione: claustrofobico, irriverente, incalzante. Tre marchi di fabbrica che si incontrano lungo tutta la sua lunghissima filmografia, sia che stiate sghignazzando con Carnage, tremando con Rosemary’s Baby o sospirando con Il pianista. O che stiate facendo i sofisticati e abbiate recuperato la sua primissima opera, Il coltello nell’acqua. Non siete ancora così chic? Non temete: eccovi la soluzione per fare i brillanti e pavoneggiarvi nelle vostre cene eleganti.

Roman Polansky gira Il coltello nell’acqua quando non ha ancora trent’anni, nel lontano 1962, e in un colpo solo riesce a raggiungere la fama mondiale, conquistarsi una copertina del Time e portare la Polonia nella rosa dei candidati all’Oscar come miglior film straniero per la prima volta nella storia – glielo soffierà all’ultimo Fellini con . La trama è essenziale, perfetta anche per un palcoscenico teatrale, ed è un gustosissimo assaggio di tutto ciò che Polansky ama e che farà amare ai suoi spettatori: una coppia squisitamente borghese si appresta a trascorrere un weekend in barca a vela, quand’ecco che sulla strada incontra un altrettanto tipico autostoppista spiantato. I due all’inizio non ne vogliono sapere, poi tentennano, infine accettano di dargli un passaggio, e non solo. Ripetutamente punzecchiato dall’ospite, lo zelante marito decide di portarselo appresso per tutto il weekend. Seguono naturalmente tensioni, complicità, tradimenti, forse delitti.

Polansky dà il meglio quando dirige pochi attori, maneggiandoli come creta: e Il coltello nell’acqua non fa eccezione. L’atmosfera da scanzonata si fa mano a mano più pesante, in modo quasi impercettibile, ma inarrestabile; come una goccia d’acqua che nel corso dei secoli finisce per scavare la roccia. L’ambientazione fa da quarto, fondamentale personaggio: una barca minuscola, studiata per opprimere gli animi e acuire la tensione. Il bianco e nero, magistrale e contrastato, rende Il coltello nell’acqua un thriller insolito per l’epoca in cui fu girato, e che riuscì a destare parecchio scalpore a causa di qualche scena piuttosto discinta. I due uomini sono una metafora dei rapporti umani, la donna, come da classici, l’oggetto del contendere; l’arma, più che la lama, è data dalla dialettica raffinata e senza respiro. 

Recuperare questo film equivale a scovare il temino delle elementari di Philip Roth, e scoprire che già all’epoca era una specie di divinità della penna. Ecco, Il coltello nell’acqua è così: il compito a casa di Roman Polansky, che si rivela essere un’ora e mezza di puro cinema. Trovatelo, gustatevelo, amatelo.

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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