
24 City di Jia Zhangke: finzione e realtà del passato
In 24 City, disponibile fino al 13 dicembre sulla piattaforma Mubi, il regista cinese Jia Zhangke (la cui ultima pellicola I figli del fiume giallo è stata presentata a Cannes nel 2018) mette in scena ancora una volta il tema della memoria e del suo sfaldarsi e sgretolarsi nel presente, di come il progresso stesso sia capace di lasciarla dissolvere, facendo a pezzi tutti i ricordi.
24 City, similmente in concorso al Festival di Cannes del 2008, è un docufilm che ibrida il docufilm stesso, attraverso interviste, citazioni, poesie e l’impressione che quella che si ha davanti sia la finzione perfetta di una storia dolorosamente reale.
Il 24 City che da nome alla pellicola è infatti un complesso residenziale che, nella città di Chengdu nella provincia si Sichuan, andrà a sostituire la fabbrica 420. Tre generazioni hanno incrociato la fabbrica, che il regista cristallizza in otto personaggi che narreranno le loro vicende di lavoratori in dei monologhi intervista.
We had a last dinner together… at Hekouwei Restaurant. We’d been there for many banquets but that night many of us couldn’t eat, they couldn’t eat, they just cried. They cried openly, everyone pulled at Director Cao, pumped Director Yang’s hands, they were saying “ln all these years, I’ve never come late for work”. Director Cao agreed that they hadn’t.
Immagino gli sbuffi di qualcuno; vi sembrerà noioso. Vi assicuro che 24 City sono i 112 minuti più preziosi che spenderete in una serata. Lo sguardo di Jia riesce a condensare perfettamente il senso di perdita, mancanza e impotenza di chi incontra la travolgente ondata rivoluzionaria e inarrestabile conosciuta come ventunesimo secolo. Ma non un senso di impotenza qualsiasi, ma quello di chi prova a ricordare. Per questo scuoto la testa quando lo immaginate noioso: 24 City è molto triste e tremendamente bello.
Jia ha intervistato veri lavoratori della fabbrica per sostituirli nella pellicola da attori, ricostruendo un passato che sembra non solo inafferrabile ma già annullato e digerito. La fabbrica 420 non esiste più, non soltanto perché verrà demolita, ma perché è già promessa al suo nuovo ruolo di 24 City. Così riappropriarsi del passato significa riformarlo nel presente.
Il cuore del film, la parte che vi distrugge, è l’intervista all’operaia Gu Minhua; quando arrivò alla fabbrica, lei una ragazzina venuta da Shangai, gli operai la soprannominarono Little Flower, a causa della sua somiglianza con l’eroina interpretata da Joan Chen. E l’attrice che intepreta Gu Minhua è proprio Joan Chen.
Our factory showed that movie for a whole week, many people saw it several times. They came out saying I looked like Little Flower that is, the movie’s heroine, played by Joan Chen. At first, they used the name behind my back then to my face.
Un cortocircuito della memoria che mette in difficoltà l’avanzare del progresso, la prepotenza apparentemente invincibile della Cina che smantella tutto per andare avanti.
Le storie di Jia sono storie affilate, dolorose, ma generiche, storie che sarebbe possibile trovare altrove. Eppure quello che accade in quel momento, 24 City, rende intimo e disarmante il passato e il ricordo.