Al momento in cui scrivo non so ancora quando uscirà questo pezzo – quasi sicuramente dopo domenica 21 maggio, la data paragonabile ad un anniversario per tutti coloro che si sono ossessionati con la fatidica domanda “chi ha ucciso Laura Palmer?”; o meglio, all’incontro con un ex di quelli complicatissimi, e dopo parecchi anni. Nel caso di Twin Peaks, ben un quarto di secolo. Dà da pensare, no?
Avviso per quelli che tra il vecchio e il nuovo millennio hanno vissuto come in Cast Away: da ora in avanti seguiranno parecchi spoiler, quindi correte a fare una maratona di recupero al più presto. Per le persone normali, invece, possiamo dividere i fan del capolavoro di David Lynch e Mark Frost in due grandi categorie: quelli che si sono dannati l’anima con I segreti di Twin Peaks già nel 1990, quando venivano trasmessi per la prima volta in chiaro dalla ABC, e quelli che nel 1990 ci sono nati, come la sottoscritta, e che dunque li hanno scoperti con inevitabile ritardo. Intendiamoci: che si abbiano venti, trenta o sessant’anni, chiunque si trovi davanti a Twin Peaks non può non accorgersi che quello che passa sullo schermo è un mezzo capolavoro: la tensione narrativa, gli intrighi secondari, le inquadrature oblique hanno rivoluzionato l’intero universo delle serie tv, soprattutto se consideriamo che le vicende dell’agente Cooper and co. hanno visto la luce nei remoti Anni Novanta.
Epperò, proprio qui sta il punto: provate a mostrare la puntata pilota de I segreti di Twin Peaks a uno che nell’anno del Signore 2017 d.C. va alle superiori, e questo vi riderà in faccia nel migliore dei casi, e vi farà sentire una cariatide nel peggiore. Impossibile? Beh, ecco a voi una lista dei punti di non ritorno che hanno segnato quel glorioso decennio, e che non hanno risparmiato neppure il ridente paesino fra i monti che dà il nome alla serie.
Primo: i capelli dello sceriffo Truman, al secolo Michael Ontkean. Erano gli anni in cui Bon Jovi riempiva gli stadi con Livin’ on a Prayer ed avere una triglia in testa era considerato estremamente cool: naturalmente, il poliziotto locale senza macchia e senza paura non poteva essere da meno. Un tempo sogno proibito di tutte le fanciulle, oggi perfetta diapositiva di ciò con cui non prenderemmo nemmeno un caffé.
Al secondo posto sul podio della sfiga si piazza l’insostenibile James (James Marshall); che proprio non si capisce come faccia ad accompagnarsi alle due più belle della città, considerando che il suo copione consiste grossomodo in frignare, avere crisi di identità da bambino viziato, tentare senza successo un’epopea alla Kerouac, intraprendere con ancora meno successo la carriera di amante di una donna matura e rientrare a orecchie basse a Twin Peaks. Ecco, al confronto Harry Truman diventa improvvisamente misterioso e intrigante.
Per la par condicio, non possiamo non citare una donna: Donna, appunto, interpretata dalla bellissima Lara Flynn Boyle prima che incontrasse il bisturi. Questa è il perfetto stereotipo delle contraddizioni femminili: si lascia intendere un passato di droga e facili costumi assieme alla migliore amica Laura, salvo poi infilarla a forza in maglioni extralarge e smorfie da Madonna addolorata che farebbero salire il cinismo pure a Gandhi. Mancano solo le collanine a girocollo, e poi il quadretto di adolescente d’antan è completo.
Che dire poi del Dottor Jacoby (Russ Tamblyn)? Psichiatra poco ortodosso, occhialetti colorati, camicie hawaiane, nel 1990 sarà sembrato un genio ribelle e vagamente inquietante; nel 2017, più che altro una caricatura neanche troppo spinta di Oscar Giannino.
Stesso discorso per il cameo di David Duchovny, che già parecchi anni prima di Californication si divertiva a épater les bourgeios con ruoli insoliti: un agente dell’FBI trans, nello specifico. Cosa che, se pensiamo che erano i tempi immediatamente successivi all’epidemia di AIDS e alle prime rivendicazioni in fatto di diritti civili, doveva aver turbato non poco le sonnolente province americane, ma che oggi più che sorridere non fa – anche perché, ammettiamolo, il poliziotto Duchovny a Twin Peaks fa più che altro la macchietta sui tacchi.
Una menzione a parte la merita un espediente che probabilmente all’epoca doveva suscitare terrore, ma che ora non può non far scompisciare: avete presente “fuoco, cammina con me”, vero? Ma certo che ce l’avete presente, lo ripetono all’incirca ogni venti secondi. Ecco, se ricordate l’ultima puntata della seconda stagione, quella ambientata nella Loggia Nera, rimembrerete di sicuro un’angoscia pressoché costante. Fortuna che ogni tanto, al momento in cui viene pronunciata la storica frase, hanno inserito delle vampate di fuoco che sembrano prese dalla pubblicità di un estintore. Licenze stilistiche che all’epoca dovevano essere all’avanguardia, ma che oggi sembrano fatte con il pc di mia nonna.
Chiudiamo con un tocco animalista: i gufi, che come ben sapete “non sono quello che sembrano”. Ma che comunque non è un buon motivo per inquadrarli ogni volta che si richiede un minimo di suspence – se avessimo voluto un documentario, avremmo guardato Super Quark.
Prima di essere linciata dalle folle, ribadiamolo: I segreti di Twin Peaks rimane una perla di televisione e di cinema, ed è grazie al One-Eyed Jack, al cadavere impacchettato di Laura e all’untissimo Bob che striscia tra mobili e boschi se oggi abbiamo una scelta pressoché infinita di serie una più bella dell’altra. E naturalmente, se dovessimo elencare i pregi di quest’opera ci servirebbe parecchio spazio in più. Ma volete mettere quant’è divertente sparare a zero sul nostro passato e malcelare così la nostalgia che ci assale ogni volta che vediamo un maglione oversize?
E allora ci rivediamo tra venticinque anni, per raccontarci quant’era ridicolo il 2017.
P.s. trovate l’articolo anche sulla pagina dei nostri amici di Giornale7. Fateci un salto!
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