
Locke – Steven Knight
Locke: road movie e psicanalisi per un film da riscoprire.
Ivan Locke è capo cantiere di un complesso edile. Per un decennio ha lavorato in maniera ineccepibile ma oggi, all’alba del suo lavoro più importante, deve abbandonare tutto e mettersi in strada. La donna con la quale, mesi prima, ha tradito la moglie sta per partorire suo figlio e lui non può e non vuole abbandonarla. Partirà per un viaggio lungo 90 minuti in cui, al telefono con familiari, capi e colleghi, dovrà fronteggiare scelte drammatiche e rivivere l’ombra di un passato complesso.
Raccontato così, Locke sembra niente di più di classico film drammatico condito da introspezione psicologica, ma il regista Steven Knight riesce a creare con questa premessa qualcosa di molto più ampio. Come? Affidando il film alle spalle larghe di Tom Hardy, che per tutta la durata della pellicola viene ripreso solo, a mezzo busto, seduto al volante della sua auto, mentre guida e parla al telefono nella notte. Gli altri personaggi (la moglie, l’amante in ospedale, il collega polacco che lo sostituirà il giorno dopo e il suo superiore) sono voci lontane che arrivano da un altoparlante. Noi vediamo solo Locke, il suo volto illuminato dalle luci della superstrada, lo sguardo triste ma determinato a fare quello che è giusto – non per lui ma per il bambino che sta nascendo. Ivan, forte e solido come il cemento, la cui vita sta andando in pezzi proprio come una colata maldestra.
L’unico confronto “fisico”, se così si può dire, è quello tra Locke e il padre defunto, con il quale Ivan parla osservando se stesso nello specchietto retrovisore: colpevole di averlo abbandonato da bambino, è l’unica figura alla quale il protagonista si rivolge con toni duri e sprezzanti – mentre con tutte le altre è calmo e rassegnato al destino che si è scelto. Locke, ora che il figlio di una notte clandestina sta per venire alla luce, sente la colpa del padre ricadere su di sé e si obbliga a fare la cosa giusta, anche a costo di perdere tutto.
Il film è un dramma girato con la stessa tensione di un thriller: il fatto viene rivelato man mano, aggiungendo pezzi alla trama del puzzle e componendo alla fine il ritratto di un uomo normale la cui vita viene sconvolta dalle sue stesse responsabilità. Il regista scrive alla perfezione un copione che sembra difficile da realizzare e che invece, grazie anche al volto capace di Tom Hardy, cattura e conquista lo spettatore. Hardy, anche senza muscoli in vista, è il catalizzatore assoluto della scena: e non solo perché è davvero l’unico attore a comparire, ma per la sua capacità di scatenare un’immediata empatia. Chiunque può ritrovare se stesso nella vita improvvisamente capovolta di quest’uomo qualsiasi, ripresa proprio nel momento in cui tutto sta per cambiare.
Infine, una menzione speciale per la modalità con cui è stato girato Locke: dalla stesura alla produzione, Steven Knight ha fatto passare solo poche settimane, riuscendo a girare il film in real time in sole otto notti, non staccandosi mai dal volto del protagonista e dalla sua auto. Tutti questi elementi – scrittura, regia e interprete – fanno di Locke un prodotto originale e di assoluta qualità, da riscoprire subito.