Film

La nostalgia presenta: C’era una volta in America

C’era una volta un film che non riuscivo mai a cominciare, e del quale mi è difficile scrivere ora. Si tratta di quel mattone di quattro ore e di incredibile bellezza che risponde al nome di C’era una volta in America. Ultima opera di Sergio Leone, partorita dopo 13 anni di gestazione, forse la più intima della filmografia del regista romano. Me ne sono tenuto lontano per tanto tempo a causa di un’audiocassetta che ho consumato durante la mia infanzia. Era un nastro che conteneva diverse colonne sonore, tra le più famose della storia del cinema, da Guerre stellari ad Amarcord passando per La stangata. A quella cassetta probabilmente devo la passione che provo per il cinema ed in particolare a un brano di Ennio Morricone che accompagna il film di Leone: Childhood Memories.

Non sapevo nulla dei film ai quali le canzoni facevano da sfondo, ma mi facevo trasportare dalle note e, ascoltandole adesso, torno alle atmosfere trasognanti alle quali mi abbandonavo chiudendo gli occhi. Mondi che creavo dietro le palpebre serrate, dove tutto era possibile, dove ero protagonista, regista e sceneggiatore di kolossal a costo zero.

La mia paura era che guardando il film avrei intaccato quei ricordi ai quali sono molto affezionato, che la pellicola non fosse all’altezza delle mie farneticazioni. Ironia della sorte, non potevo immaginare che il film parlasse esattamente di questo. Oltre le sparatorie, le rapine e le storie d’amore, C’era una volta in America racconta di come non riusciamo mai davvero a crescere, ancorati a dei ricordi resi perfetti dallo scorrere del tempo, ai quali giriamo attorno per tutta la vita.

Non fraintendetemi, il film è un gangster movie con tutte le carte in regola, ambientato durante il proibizionismo in una New York inquieta, violenta e fertile per chiunque fosse pronto a conquistarla con il sangue. È la storia di un gruppo di ragazzi che dal ghetto ebraico si fa strada nella malavita organizzata con tutti gli alti e i bassi che la vita criminale comporta. Però, oltre tutto questo non c’è altro che il dramma di Noodles (Robert De Niro) che dopo una vita di brutalità e dopo la morte degli amici Patsy, Cockeye e Max (James Woods), cerca di dimenticare tutto, rifugiandosi nei ricordi di un’infanzia perduta.

È un po’ come se nella fumeria d’oppio dove Noodles va a rifugiarsi ci entrassimo anche noi, il film è una continua altalena tra flashback e flashforward all’insegna della nostalgia e del rimpianto di un’innocenza perduta. In anticipo di trent’anni rispetto la retro mania che viviamo oggi, Leone rende la nostalgia protagonista assoluta della pellicola.

Jennifer Connelly.

Vediamo Noodles aggirarsi come un fantasma tra i luoghi della propria infanzia alla ricerca del tempo perduto e del grande amore della propria giovinezza (una giovanissima Jennifer Connelly).

Di C’era una volta in America ci sarebbe una quantità enorme di cose da dire, il film è il testamento artistico di uno dei registi più influenti della storia cinema. Si potrebbe parlare del travagliatissimo processo produttivo, dell’iniziale insuccesso di critica e pubblico, delle maestose scenografie, della maestria dell’autore della trilogia del dollaro dietro la macchina da presa o dell’incredibile cast (compreso un fantastico cameo di Joe Pesci).

C’è però un particolare che mi ha sempre colpito, ovvero la capacità di Leone di concentrare in trenta secondi l’intero senso di una pellicola che dura quattro ore:

In questa manciata di attimi c’è tutto. La gang sta tornando dopo aver racimolato la prima paga per un lavoro portato a termine con successo. Nella corsa di Dominic (il bambino che corre in testa al gruppo), c’è tutta la spensieratezza dell’infanzia, le speranze di una vita migliore in un’America che sembra poter dare una possibilità a chiunque. Col ponte di Manhattan in prospettiva sullo sfondo a rappresentare un paese pieno di promesse, vediamo i ragazzi procedere nell’habitat dal quale provengono e al quale rimarranno sempre legati, nonostante tutto: la strada. Sulle note del flauto di Cockeye, sembrano marciare verso un futuro roseo, colmo di speranze. Sono alla ricerca della propria autoaffermazione, del successo fianco a fianco ai propri amici, uniti nella convinzione che nulla li possa fermare. Però, proprio nel momento in cui si sentono invincibili, la vita presenta il conto, salato più che mai.

Questa scena rappresenta il film in tutta la sua essenza, è il ricordo che racchiude tutto quello che Noodles rimpiange: la possibilità di redenzione, di essere qualsiasi cosa si voglia perché, nella mente di un bambino, ogni strada è percorribile. È un attimo perfetto, cristallizzato nella memoria dopo il quale l’innocenza si infrange senza poter essere riparata.

Amo questa scena perché Leone riesce a dare corpo un ricordo, con tutta la potenza rievocativa che porta con se. È come il brano di quella vecchia audiocassetta consumata che riesce a scatenare in me una valanga di ricordi ed emozioni e che, non a caso, si chiama Childhood Memories.

Marco Possiedi

Nato alle pendici delle Dolomiti e studente di Psicologia. Appassionato in primo luogo di divani e di conseguenza poi della settima arte, tra un tiro a canestro e un film di Terry Gilliam, passo le mie giornate ad aspettare la lettera di ammissione ad Hogwarts che si sa che i gufi non funzionano più come quelli di una volta.
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