Film

Fabrizio De André – Principe Libero visto da una non genovese

Il biopic Fabrizio De André – Principe Libero, diretto da Luca Facchini, prodotto per Rai Fiction e distribuito nei cinema in anteprima da Nexo Digital, racconta il De André umano per chi lo ama e per chi deve conoscerlo.

Io non sono genovese, ma…” – una doverosa premessa

Già, non sono genovese. Ho amici liguri, sono stata alcune volte in Liguria, conosco i vari derivati del lemma belin, ma mangio fieramente il pesto della Coop come se fosse l’ottava meraviglia e ho un amore viscerale per Fabrizio De André che va al di là della geografia.

Sappiate che, mentre scrivo, ho al collo una catenina con un ciondolo su cui c’è disegnata una ragazza che balla: è Angiolina di Volta la carta. Sappiate anche che incontrai sul serio il mondo di Fabrizio De André in seconda media, quando una straordinaria professoressa di lettere ci propose un lavoro enorme, lungo un anno, sulla poetica, la musica, le influenze, le idee di De André. Sappiate infine che pochi anni dopo mi innamorai contemporaneamente della PFM e di Non al denaro non all’amore né al cielo.

Quindi, anche se non sono genovese, fidatevi di me.

Non intendo cantare la gloria

O invocare la grazia o il perdono

Di chi penso non fu altri che un uomo

Come Dio passato alla storia

(da Si chiamava Gesù)

Magari il paragone è un po’ azzardato, o magari no, dato che per Fabrizio De André Gesù era principalmente un anarchico, un uomo in carne e ossa. Un personaggio che per certi versi lo rispecchiava: incarnava quel tipo di primitiva e profonda umanità a lui tanto cara, ma allo stesso tempo era divinizzato dai più. Il De André arrivato a noi, quello che oggi possiamo ascoltare anche su Spotify, sembra essere davvero un Gesù Cristo del cantautorato italiano, uno che con la sua venuta ha cambiato significativamente la nostra cultura; ma De André non era (solo) questo: c’era la vita privata, l’amicizia con Paolo Villaggio (nel film, un magnifico Gianluca Gobbi), i problemi di alcolismo, il particolare rapporto con le prostitute della città vecchia, gli ideali divergenti, le dinamiche familiari, l’interesse profondo per gli ultimi, e, soprattutto, il dramma del sequestro in Sardegna. Il senso di Fabrizio De André – Principe Libero è proprio questo: abbandonare sia ogni fine documentaristico che ogni sviolinata e sublimazione, per raccontare la vita terrena di uno straordinario cantautore che prima ancora era un uomo normale, con più vizi che virtù. E quale prodotto migliore della fiction televisiva per farlo?

 

Coltivando tranquilla
l’orribile varietà
delle proprie superbie
la maggioranza sta
come una malattia
come una sfortuna
come un’anestesia
come un’abitudine
per chi viaggia in direzione ostinata e contraria

col suo marchio speciale di speciale disperazione.

(da Smisurata preghiera)

Imbarcarsi in Fabrizio De André – Principe Libero, voler raccontare De André in questi termini, scegliere di farne un ritratto più personale e meno artistico, significava avere per le mani materiale incandescente e potenzialmente esplosivo, e il rischio flop era davvero dietro ogni angolo. Buona parte del sospiro di sollievo che scongiura questa ipotesi lo fa tirare il fenomenale Luca Marinelli, con una prova attoriale impressionante: da lontano, con gli occhiali scuri, lo sguardo basso e un po’ in penombra, è Fabrizio De André. E quando non è lui, non si sforza di farne la copia mimetica esatta: certo, è altissimo il lavoro sulla postura, sulle espressioni, sul modo di fumare (magari, questo, calcato un po’ troppo – ha la sigaretta in mano praticamente in ogni inquadratura), ma la sensazione è che Marinelli rievochi De André, e non che lo faccia. La cosa su cui c’è stata un po’ di polemica, il mancato accento genovese e una troppo evidente inflessione romana (che io non ho sentito, ma ripeto, non sono genovese), è veramente un appunto marginale, e superfluo.

Magari qui direte che un attore deve avere una dizione perfetta, che deve essere in grado di replicare qualsiasi inflessione. Io, che non solo non sono genovese ma vengo dalle zone di Laura Chiatti, vi garantisco che riprodurre bene un accento diverso dal proprio è una cosa ai limiti del possibile, che da un momento all’altro può sbandare nell’artificio più totale. Qui, ripeto, non ce n’era bisogno; e se ancora avete qualche perplessità, l’ultima parola l’ha detta Dori Ghezzi in conferenza stampa:

La famiglia De André era figlia di piemontesi, non parlavano con l’accento genovese, Fabrizio parlava in modo neutro e se voleva scherzare lo faceva in gallurese, in napoletano… quindi non sottovaluterei proprio questo fatto. Villaggio, che ha avuto l’opportunità di leggere la sceneggiatura, che è figlio di triestini, ha detto “togliete i belin perché io non ho mai detto belin in vita mia”, quindi toglietevi dalla testa ‘sta cosa.

Aggiungiamoci anche che alcuni brani di Fabrizio de André – Principe Libero sono stati re-incisi da Marinelli stesso, e mentre canta non si ha mai l’impressione di stare davanti alla cover band locale con il cantante che abbassa la canzone all’impossibile perché vorrebbe tanto avere il timbro di De André – e ve lo dico molto a malincuore, perché sì, sono fan sfegatata di De André, ma anche delle cover band locali e anche di Francesco Bianconi e Lorenzo Kruger, che in fin dei conti fanno esattamente la stessa cosa. Degno di lode anche il playback sulla versione della PFM de Il pescatore: al cinema ero in seconda fila, ma che fosse la canzone originale l’ho capito solo perché la conosco a memoria, andamento e inflessioni comprese – e anche perché il Lucio Fabbri dello schermo sembrava non aver toccato un violino fino alle riprese.

I futuri incontri di belle amanti scellerate

saranno scontri saranno caccie coi cani e coi cinghiali

saranno rincorse e morsi e affanni per mille anni.

(da Anime salve)

Dori Ghezzi ha supervisionato la sceneggiatura e i lavori, e forse di questo ha risentito il suo “doppio” nel film, Valentina Bellè, che per quanto le somigli, soprattutto nelle espressioni del viso, sembra un po’ la donna angelo o il deus ex machina della situazione. Invece, la prima moglie Puny (interpretata da Elena Radonicich) sembra proprio la donna algida e fiera descritta nella canzone a lei dedicata, Verranno a chiederti del nostro amore. A fare da contorno ci sono, ovviamente, le graziose dei vicoli della città vecchia, indispensabili nella produzione e nella formazione di vita di De André.

Lo ammetto: ho storto un po’ il naso perché in Fabrizio De André – Principe Libero lo spazio delle love story è mooolto ampio, gran parte della narrazione è incentrata su quelle, e a parere di fan di vecchia data ne ruba tanto, di spazio, ad altre cose. Credo che l’esempio massimo sia la scena dove da un momento all’altro Puny elenca a Fabrizio tutti gli album pubblicati fino a La buona novella, quando fino a tre scene prima si era ancora alla stesura di Tutti morimmo a stento. In realtà, la questione tempistiche è più estesa: inevitabilmente, trattandosi di una fiction in due puntate, i tempi sono molto dilatati, e le scene più riempitive qua e là ci sono – e si notano molto in una versione cinematografica integrale senza tagli, che a tratti risulta lenta.

Finì con i campi alle ortiche,

finì con un flauto spezzato,

e un ridere rauco, e ricordi tanti

e nemmeno un rimpianto.

(da Il suonatore Jones)

Eh, io invece un po’ di rimpianti ce li ho. Avrei voluto vedere un po’ di Spoonriver, ma Fernanda Pivano è arrivata solo come comparsa a dire “gli faccio come a Keruàcc”, pronunciato così; sentire più PFM e più canzoni fra le meno conosciute; avrei voluto che Volta la carta non fosse un sottofondo didascalico a Fabrizio e Dori che danno la biada alle mucche; ma soprattutto avrei voluto godermi Fabrizio De André – Principe Libero meglio: nel cinema dove l’ho visto non c’era l’intervallo, a un certo punto era l’una di notte, e mi vergogno un po’ a dire che ho tirato fuori il telefono per vedere quanto tempo mancava alla fine.

Per questo sto aspettando di (ri)vederlo in tv. Ve l’ho detto, io non sono genovese, ma mi sono emozionata lo stesso vedendo i personaggi prendere vita e sentendo quelle canzoni che conosco a memoria da anni. Aspetto febbraio, quando Fabrizio De André – Principe Libero andrà in onda per la Rai, per apprezzare meglio quella storia che per me, da quando sono piccola, non ha avuto mai poi tante differenze da una fiaba popolare.

Lucia Baldassarri

La mia data di nascita è il primo pezzetto della tabellina del 3. Campo di grammar nazismo in più lingue, teatro amatoriale, tè e altre splendide cose che non fanno curriculum. Finché non mi crasha photoshop faccio anche l'illustratrice. Se esistesse un posto con i tramonti del Lago Trasimeno e le porte di Bologna, abiterei lì. Guardo film per poter dire che vabè comunque il libro era meglio.
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