Film

Redline, dimmi che cosa guidi e ti dirò chi sei

Ve le ricordate, sì.

Avete presente le Wacky Races? Per i nati negli anni ’90 come me, sono sinonimo di quelle domeniche mattina in pigiama, sul divano davanti alla TV, passate a guardare vecchi cartoni animati giunti come minimo alla trecentesima replica. Per i pochi che non le conoscessero, le Wacky Races sono quelle strampalate corse in macchina fatte di veicoli improbabili a immagine e somiglianza di chi li guida, tra rimonte impossibili e gadget degni del migliore Mario Kart. Se le Wacky Races fossero una persona cresciuta a steroidi e mescalina in Giappone, la loro naturale evoluzione si chiamerebbe Redline.    

Partorito dalla mente di Katsuhito Ishii e diretto Takeshi Koike (World Record in Animatrix), la pellicola è prodotta da Madhouse, la casa di produzione che ha partorito tra gli altri Paprika e Metropolis.

Il film d’animazione, oltre a essere un’amalgama di forme e colori, è un ipercinetico potpourri di atmosfere e sensazioni prese in prestito da altre opere, dalla fantascienza al cinema d’azione. Conosciamo il nostro protagonista, JP, pilota di corse clandestine, percorrere il circuito sabbioso sul pianeta Dorothy. Il pensiero corre veloce a Tatooine, il pianeta desertico dove vede la luce l’intera saga di Star Wars. In effetti il mondo di Redline in molti aspetti può ricordare la multietnicità del cineuniverso di Lucas. Cani che cavalcano motociclette, meccanici con quattro braccia, piloti con la testa a forma di pistone che si fondono col proprio veicolo, le piste di Redline sono una taverna di Mos Eisley dove gli avventori sparano sempre e comunque per primi.

La corsa alla quale il nostro JP partecipa non è altro che la Yellowline, una gara di qualificazione alla Redline, il più importante appuntamento automobilistico clandestino dell’universo. Giusto per rimanere in tema con il clima desertico di Tatooine, la Yellowline non può che riportare lo spettatore alle gare con gli sgusci della Minaccia fantasma, con la piccola differenza che quelli di Redline sembrano customizzati da un tredicenne alle prese con Need for Speed Underground II. Stessa velocità da capogiro, stessi incidenti catastrofici con quel ché di tamarro che non guasta mai.

La linea che collega la pellicola con le fatiche di Lucas (opere dalla natura, naturalmente, molto diversa) inizia e finisce con le atmosfere esotiche. Redline pare essere scritto da Toretto dei Fast & Furious in preda a una improvvisa voglia di “visitare musei ad Amsterdam”. Un po’ come i veicoli sui quali gareggiano i protagonisti, il film è costantemente portato ai limiti. Koike vuole farci sentire la dinamicità delle gare, i volti e le forme delle auto sono deformati dalla velocità delle corse. I bolidi sono continuamente sul punto di autodistruggersi, provati dall’attrito dell’aria sulla scocca e dal vibrare di motori sul punto di esplodere. Sullo sfondo, circuiti inverosimili nello spazio profondo, un impero di androidi che vuole impedire lo svolgimento della gara ma soprattutto una miriade di personaggi uno più assurdo dell’altro. A cominciare da JP, il protagonista, che sembra far parte dei Tokyo Rockabilly (una gang di rockers anni ’50 che dà spettacolo a Yogogi park a Tokyo) a Machine Head, campione in carica della Redline, ormai più macchina che uomo. Il film è un’incessante tempesta di colori, suoni e forme che si dilatano a seconda dell’unica legge che davvero vale nell’universo di Redline: la velocità.

La storia quasi non esiste e i protagonisti vengono approfonditi quasi esclusivamente in relazione alla loro passione per le gare, quasi come se al di fuori di esse non possano essere nient’altro. JP deve redimersi da una vita di corse truccate, Sonoshee McLaren corre per onorare la memoria del padre, Machine Head perché passa la vita a potenziarsi solo per vincere ogni gara che corre.

A metà strada tra un Cowboy Bebop all’aroma di canotte sudate di Toretto e le Wacky Races, Redline è un vortice di stimoli e atmosfere che non può mancare nella videoteca degli appassionati di pellicole dedicate alle corse e dell’animazione nipponica in generale.

PS. Qualora vi servisse una spintarella per vedere il film, gustatevi questo video direttamente dal lontano 2012, quando tutti riempivano YouTube di video accompagnati da Ghost N Stuff di Deadmau5.

Marco Possiedi

Nato alle pendici delle Dolomiti e studente di Psicologia. Appassionato in primo luogo di divani e di conseguenza poi della settima arte, tra un tiro a canestro e un film di Terry Gilliam, passo le mie giornate ad aspettare la lettera di ammissione ad Hogwarts che si sa che i gufi non funzionano più come quelli di una volta.
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