
Zombi: l’alba del consumismo
Va bene, va bene. Lo so che il pippone malinconico sulla mia infanzia l’ho già fatto per Il Corvo, perciò stavolta non ve la menerò più di tanto. Però non è colpa mia se Zombi è stato il primo vero horror della mia vita. Stessa storia, stesso posto, stesso bar: anche questa volta, quando a 8 anni mi imbatto nella VHS di Dawn of the Dead (titolo originale del film. Tradurlo pari pari faceva schifo vero?) decido che sarà mia. Questa volta non credo che mia madre avrebbe ceduto, visto lo schifo che c’era in copertina, ma fortunatamente in giro con me c’era mio padre, e allora la festa. La sera stessa sono già a casa con gli amici di mio fratello per spararmi il film. E chi se la dimentica quella prima visione.
Ma perché mi ero impuntato così tanto per portare a casa quella cassetta? Che ne poteva sapere un babanotto come me di zombie? Beh, per questo devo ringraziare Resident Evil 2, che decretò il mio primo incontro ufficiale con i miei amatissimi morti che camminano. Roba che se vado a rivedere l’intro del gioco ancora mi commuovo. E un po’ mi cago addosso.
Comunque, concentriamoci sul film. Corre l’anno 1978, e dopo dieci anni di elemosina in giro per gli studi cinematografici di tutta l’America, George A.Romero, che nel 1968 ha sconvolto il mondo con La notte dei morti viventi, riesce finalmente a racimolare il grano per dare un seguito alla sua storia zombesca. Oddio, in realtà la cifra tirata su dal buon George è proprio una robina: 1,5 milioni di dollari, un sorriso e un biglietto aereo per Roma.
Sì perché è nientepopodimeno che nella casa di Dario Argento che gran parte della sceneggiatura del film vede alla luce. Il Darione nazionale era in quegli anni all’apice della sua carriera, e la doppietta Profondo Rosso/Suspiria gli era valsa la corona di Re dell’horror planetario. Argento, in veste di co-produttore del film, si occupò del montaggio e della distribuzione della versione europea del film, ma più di ogni altra cosa consigliò a Romero di utilizzare i suoi fidatissimi Goblin per la colonna sonora del film.
Ovviamente se non sapete di chi sto parlando e vi ritenete fan dell’horror vi conviene darvi fuoco seduta stante. Oppure ascoltare una robina del genere per capire il livello di tali mostri, ai quali Argento dovrebbe come minimo fare un pompino giornaliero fino al giorno della sua morte. Oddio, forse lo ha anche fatto. Ecco perché poi è impazzito.
In ogni caso, la storia di Zombi è ambientata qualche anno dopo il primo capitolo. L’umanità è ormai sull’orlo del collasso, totalmente incapace di far fronte allo scoppio dell’apocalisse zombie. Perché, come dice un personaggio in una frase entrata nella leggenda quando i morti camminano, bisogna smettere di uccidere o si perde la guerra. Ma gli umani a smettere di uccidere non ci pensano proprio. Anzi, da brave merde quali sono, non sono pochi coloro che si approfittano del caos per dare sfogo ai loro istinti omicidi.
La scena iniziale dell’irruzione degli SWAT all’interno delle case popolari rende bene l’idea di un mondo ormai in preda al caos e alla violenza. Ovviamente Romero per la scena in questione fu accusato di razzismo. Della serie “Non capire un cazzo di quello che stai guardando, lo stai facendo nel modo giusto!”
Dopo averci mostrato il declino della civiltà, preoccupata più ad insultarsi negli show televisivi che ad affrontare l’orrore che ormai domina nelle strade, Romero si concentra su un gruppo di sopravvissuti che cerca riparo un un gigantesco centro commerciale abbandonato. Dopo aver ripulito la zona dagli zombie ed essersi trincerati dentro, il posto diventa un bunker totalmente perfetto per il piccolo gruppo di protagonisti: pieno di provviste e di ogni genere di confort. Ed è qui che inizia il comizio politico di Romero.
Se infatti ne La notte dei morti viventi erano la violenza e il razzismo della società americana ad essere messe sotto accusa, in questo secondo capitolo entra in scena quello che secondo Romero è il cancro più grande della società attuale: il consumismo. Non si contano infatti le scene in cui i protagonisti si danno alla pazza gioia fra gli innumerevoli reparti del centro commerciale, fra pellicce, gioielli e orologi che, in un mondo ormai caduto in rovina, non dovrebbero avere più alcun significato. È il consumismo sfrenato ad aver trasformato l’essere umano in una bestia irrazionale, dominato unicamente dal desiderio di possedere, accecato dall’avidità e dal desiderio.
Quando Romero ci mostra gli zombie deambulare fra i negozi, in realtà ci sta mostrando uno spettacolo che secondo lui non è molto diverso da quello al quale assistiamo ogni domenica nei centri commerciali. Una massa di anime perse fra oggetti inutili, sole e annoiate, che probabilmente non sanno nemmeno perché si trovano lì. Da questo punto di vista, la differenza fra umani, zombie e manichini sembra essere per Romero solo apparente.
Ma l’attacco di Romero all’essere umano non si ferma certo qua. Dopo averci fatto vedere nuovamente le ronde di leghisti cacciatori di zombie mostrateci anche nel film precedente, totalmente privi di umanità e di compassione, Romero introduce nel finale del film un’intera orda di pazzi sanguinari che assaltano il centro commerciale. Gente che nell’apocalisse e nel caos ci sguazza come Berlusconi fra le minorenni. Mai come in questo film nella saga di Romero, gli zombie sono quasi un corollario, un macguffin per mostrare tutt’altro: la follia del genere umano. Però gli zombie ci sono, e quindi bisogna anche parlarne.
In questo decennio il genere zombie è dominato totalmente da The Walking Dead, pertanto posso capire che, andando oggi a vedere Zombie per la prima volta, qualcuno possa storcere il naso di fronte ai morti viventi di Romero. Lenti, con la faccia blu, più ridicoli che minacciosi (specialmente in questo film). Nonostante questo, le scene splatter riescono ancora oggi a far torcere le budella (occhio a recuperare la versione U.S.A. però, che quella Europea è censurata).
Il merito di ciò è ovviamente del leggendario Tom Savini, mago incontrastato degli effetti speciali a cavallo fra i ’70 e gli ’80 (che nel film interpreta Blades, uno dei motociclisti che entrano nel centro commerciale. Quello con i baffi e il machete. Romero è poi bravissimo, grazie anche alle super musiche dei Goblin, a girare le scene di tensione, ancora oggi perfettamente in grado di lasciare il segno.
A quasi quarant’anni di distanza, Zombi di Romero rimane un capolavoro assoluto del genere, imprescindibile per chiunque si dichiari amante dell’horror. Anni dopo ne è stato fatto anche un remake, Dawn of the dead, girato Zack Snyder. Il film in realtà è godibile, ma assolutamente tamarro come il suo regista. Di conseguenza, tutto il messaggio sociopolitico di Romero va naturalmente a puttane, calpestato da zombie che corrono e urlano come Carletto Mazzone sotto la curva dell’Atalanta. Con tanto di accento romano. Quindi poche storie, se non lo conoscete, filate a guardare l’originale, che questa robina qua è Storia pura.
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