
Donnie Darko – Parte I: La recensione
La recensione
Stamattina mi sono svegliato con la voglia di litigare con qualcuno. Un po’ come Nanni Moretti In Aprile dopo che ha assistito all’umiliazione di D’Alema a Porta a Porta per mano del da lì a poco premier Silvio Berlusconi. Sarà per il fatto che tifo una squadra che non vince una partita da tre generazioni, o per il fatto che il mio relatore a questo punto è probabile che preferisca far festa a Cortina piuttosto che correggermi un capitolo della tesi, fatto sta che mi ritrovo con questa urgenza di punzecchiare qualcuno. Pertanto, leggendo la biografia del collega Luca Tripla T, nella quale scrive che darebbe fuoco a chiunque reputi Donnie Darko fra i 100 film più della storia del cinema, ho deciso di recensire uno dei film che più mi ha colpito e affascinato in assoluto da ragazzo, uno di quei film che probabilmente mi ha spinto a percepire il cinema non più solo come un divertimento di un paio d’ore, ma come un qualcosa che ti segua in ogni momento della tua vita, un qualcosa che meriti riflessione, approfondimento e concentrazione anche dopo la visione. Se poi il film effettivamente da top 100 all time questo non mi interessa particolarmente, il punto è un altro. Perché Donnie Darko non è un film come tutti gli altri. È un film complesso, stratificato, quasi impossibile da comprendere in tutte le sfumature ad una prima visione. Ma, allo stesso tempo, terribilmente affascinante, capace di stregare lo spettatore e di rimanergli dentro fin dalla prima visione. Per questo ho deciso di scrivere due articoli distinti relativi a quest’opera: il primo, quello che state leggendo, sarà una recensione classica del film; il secondo sarà invece l’analisi dettagliata del film, in modo da spiegarne i passaggi più complicati e intricati e svelarne il significato.
Ultima cosa importante prima di addentrarci nel film: di Donnie Darko esistono due versioni. Alla versione originale del 2001 è seguita nel 2004 la Director’s Cut, nella quale il regista Richard Kelly ha aggiunto 20 minuti di scene e ha modificato parte del montaggio sonoro della pellicola. Avendo visto tutte e due le versioni più volte, mi sento di darvi questo consiglio: se vi avvicinate per la prima volta a Donnie Darko, guardate la versione originale per prima. Se poi il film vi piacerà e vorrete approfondirlo, la versione integrale sarà perfetta per un seconda visione. Questo perché la seconda versione del film vuole guidare lo spettatore nell’interpretazione della pellicola, e ad una prima visione il tutto risulta a mio avviso sia poco stimolante che abbastanza pedante e logorroico. Il Donnie Darko originale, nella sua enigmaticità ai limiti dell’indecifrabile, mantiene un fascino e un’atmosfera che una spiegazione dettagliata, per quanto interessante e utile ai fini della comprensione, non può fare altro che smorzare. Se il primo Donnie Darko lasciava campo libero alla fantasia e all’immaginazione dello spettatore, la Director’s Cut fornisce tutti gli strumenti utili per la decifrazione del mistero, incanalando di conseguenza le interpretazioni possibili su un binario ben preciso.
Il film ideato, scritto e diretto da Richard Kelly è senza dubbio uno dei debutti più sorprendenti del nuovo millennio. Uscito nella sale americane nel 2001, in Italia per molto tempo rimase un vero e proprio oggetto misterioso, in quanto il film non arrivò subito nelle nostre sale (una delle solite grandi scelte del fantastica distribuzione italiana). Di conseguenza, non essendo ancora venuta alla luce quella meravigliosa invenzione chiamata Emule, per anni fu quasi impossibile per il popolo italico goder
e della pellicola. Si potevano solo leggere le recensioni entusiastiche delle poche riviste specializzate, che cominciarono fin da subito a marciare sullo slogan “ tra i 100 film più belli nella storia del cinema”. Tralasciando il fatto che la logica di certe classifiche mi è sempre sfuggita, fatto sta che, fra gli appassionati di cinema, quando finalmente Donnie Darko arrivò anche in Italia, nel novembre del 2004, l’hype era altissimo. Come lo era quello del piccolo me 14enne quando si sedette in sala con l’emozione di chi non aveva idea di cosa stava per vedere, ma sapeva già che sarebbe stata un’esperienza indimenticabile.
Piccolo excursus, di quella serata al cinema mi ricordo anche un altro particolare che non c’entra assolutamente nulla con il film, ma visto che siamo fra amici posso anche raccontarlo: a pochi minuti dall’inizio, il film fu interrotto perché un povero idiota stava fumando bello tranquillo in sala. Forse in segno di protesta per la legge antifumo da poco entrata in vigore che avrebbe impedito per sempre agli italiani di fumare nei luoghi pubblici (giustamente). In ogni caso, l’idiota in questione fu prelevato come un sacco della spazzatura da un corpulento signore e trascinato all’uscita, fra le bestemmie sue e gli applausi della platea. Cosa ne fu di lui, o del suo cadavere, non è dato sapere, perché quando il film ricominciò io ne ero talmente stregato che probabilmente, anche se il proprietario del cinema avesse deciso di fucilare il ribelle appena fuori dalla sala, non avrei nemmeno sentito il colpo.
Ad ogni modo, come era già successo nel resto del mondo, anche in Italia il film divenne subito un cult, tanto che ancora oggi nell’ambiente se ne parla con fervore e ancora oggi divide gli appassionati fra estimatori e detrattori. Fra queste due categorie galleggiano coloro che non lo hanno amato, ma allo stesso tempo non possono negarne la potenza immaginifica. Perché Donnie Darko è in grado di catturare lo spettatore fin da subito, portandolo in un viaggio che alla fine lo lascerà totalmente incredulo e sbalordito da quello che ha appena visto. Il film è ambientato in un una tipica cittadina medio-borghese della provincia americana durante il presidenziali del 1988 fra Bush e Dukakis, ritenute da Kelly come un momento fondamentale della recente storia degli States. Donnie (un grande Jake Gylenhaal al suo battesimo del fuoco) è un giovane studente intelligente e brillante, ma allo stesso tempo totalmente a disagio nella realtà noiosa e bigotta in cui vive, dominata da stereotipi e modelli di vita che non lo stimolano e che non gli appartengono. Il suo progressivo estraniarsi dalla realtà lo porta a sviluppare forme di vandalismo, sociopatia e schizofrenia, che i genitori provano a tenere a bada affidandosi alla psicoterapia e alla cura farmacologica. I farmaci non fanno però che peggiorare il suo stato, rendendolo emotivamente instabile e aumentandone il senso di frustrazione nei confronti della vita, della quale non riesce a comprendere il significato. Questo crea un profondo distacco fra Donnie e la sua famiglia, nonostante questa provi ad aiutarlo e a capirne l’animo (la sorella di Donnie è interpretata da Maggie Gyllenhaal, sorella di Jake).
Tutto cambia quando, in una notte, Donnie viene chiamato nel sonno da una voce. Seguendo il richiamo in stato di sonnambulismo, Donnie esce di casa, dove, sul ciglio della strada, gli appare un inquietante figura travestita da coniglio, la quale gli comunica che il mondo sarebbe finito esattamente 28 giorni, 6 ore, 42 minuti e 12 secondi dopo. Sogno o realtà? Visione o apparizione di un messaggero temporale? Lo spettatore non può saperlo, fatto sta che, proprio mentre Donnie è fuori casa, il motore di un Boeing si schianta sulla sua casa, andando a travolgere la sua camera. Che sia vero o frutto della sua immaginazione l’intervento del coniglio ha quindi fortunatamente (o volontariamente?) salvato la vita a Donnie, che se fosse rimasto in casa sarebbe sicuramente morto. Il Coniglio Frank tornerà molte volte nel corso del film, portando Donnie a compiere delle azioni vandaliche in uno stato di profondo trance del quale non siamo del tutto sicuri si renda conto.
Sebbene la scena in questione sia senza dubbio la colonna portante del film, Kelly riesce con incredibile maestria a non rendere la storia totalmente dipendente dalle visioni del coniglio, che scopriremo chiamarsi Frank. Nella cittadina protagonista delle vicende si muovono infatti numerosi personaggi e ognuno di loro ha il proprio senso e il proprio percorso all’interno della storia. Che sia la professoressa di Donnie, simbolo dell’ipocrisia e del bigottismo più moralista e puritano che uccide e calpesta la libertà di pensiero e di opinione, o il divo locale Jim Cunningham (interpretato dal compianto Patrick Swayze), una sorta di Troy McClure arricchitosi sulle spalle della debolezza delle persone grazie ad una maschera sotto il quale ha nascosto la sua vera, mostruosa natura. Nella storia c’è tuttavia spazio anche per personaggi positivi come la professoressa Karen (Drew Barrymore), una delle poche a ribellarsi al conformismo imperante di quel nucleo cittadino, e proprio per questo additata quasi come eretica e sov
versiva, totalmente indigesta da una società indottrinata e totalmente schiava delle apparenze. Nella vita di Donnie entra anche una ragazza, Gretchen, che sarà fondamentale per le scelte che ragazzo dovrà prendere nel corso del film.
Il film è dunque unico nel suo genere proprio perché contiene al suo interno un’enorme quantità di sfumature, riuscendo tuttavia a valorizzarle tutte egregiamente. Non è chiaro infatti se quello a cui stiamo assistendo è la storia di un ragazzo turbato da seri problemi mentali o se in realtà ci sia un forte elemento paranormale e fantascientifico che tiri le redini della storia. Il dubbio permane fino al finale, nel quale il film prenderà una direzione ben precisa, che sicuramente riuscirà nell’impresa di spiazzare qualsiasi tipo di spettatore. Tuttavia, nonostante il film possa turbare per la sua complessità, Donnie Darko rimane un film incredibilmente godibile anche se non lo si riesce a capire del tutto. Questo perché Kelly riesce a dare una profonda umanità ad ognuno dei suoi personaggi, ai quali dedica il giusto spazio e il giusto posto all’interno della vicenda. Accompagnato da una colonna sonora da brividi, il film mette a segno sequenze fra le più efficaci che si siano viste al cinema nel post 2000, dalla portata visiva talmente elevata da ricordare sotto certi aspetti il cinema di David Lynch.
Su tutte non si può non citare la scena del cinema, nella quale Donnie riceve un’altra, inaspettata visita dal coniglio Frank. Mentre sullo schermo rintocca il suono del tronco de La Casa di Sam Raimi, il tenebroso coniglio appare a fianco di Donnie e della sua ragazza, che sta dormendo. E tramite lo schermo del cinema, Frank mostrerà a Donnie quella che lui chiama “porta di confine”, tramite la quale il ragazzo potrà vedere ciò che dovrà fare per porre fine a quella storia. Ad accompagnare il tutto una musica tetra, quasi funeraria, a sottolineare forse l’inevitabilità del destino e l’imponderabilità di tutto ciò che ci circonda. Una scena di altissimo cinema, capace di togliere letteralmente il respiro. Indimenticabile.
Donnie Darko culla e accompagna lo spettatore stupendolo in continuazione fino alla fine, mostrando trovate narrative sorprendentemente originali e dalle svolte totalmente imprevedibili che ancora oggi fanno discutere, e alle quali proverò a dare spiegazione nel prossimo articolo di approfondimento. Con un debutto di tale importanza, Richard Kelly si ritrovò addosso delle aspettative altissime da realizzare, e probabilmente sarebbe stato difficile per chiunque ripetersi ad un livello simile a quello di Donnie Darko. Detto questo, Kelly non ci provò neppure ad eguagliare la sua opera prima. I suoi film successivi, Shoutland Tales e The Box, sono quanto di peggio si sia visto al mondo dall’Olocausto in avanti. Come disse una volta il mio amico Cassidy de La Bara Volante riferendosi a Donnie Darko e ai lavori successivi di Kelly “a volte il sole batte anche sul culo di un cane”. Detto questo, Kelly merita comunque considerazione e rispetto per essere stato in grado di creare un’opera così suggestiva come Donnie Darko, ancora oggi in grado di colpire con tale forza l’immaginario collettivo. E Dio sa se al cinema non servirebbero più film come questo al giorno d’oggi.
Per la guida all’interpretazione del film, ci vediamo su Donnie Darko – Seconda parte!
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