Conoscerai un grande dolore e nel dolore sarai felice. Eccoti il mio insegnamento: nel dolore cerca la felicità. I fratelli Karamazov, Fëdor Dostoevskij
In un passato non lontano, si definiva “infelice” chi, per disgrazia, veniva al mondo con gravi imperfezioni fisiche o mentali. Quando un bambino nasceva “infelice” — in possesso cioè di molti meno doni di Dio rispetto a un bambino comune — vi era in lui qualcosa che spingeva alla misericordia, una condanna percepita che, nell’accezione più nichilista, poneva interrogativi sulle ragioni stesse di un’esistenza “infelice”.
I seguenti 5 film affrontano l’ingiustizia della menomazione non come male connaturato, ma in veste di eredità mentale. Un retaggio poco trascurabile quello della seconda guerra mondiale, eppure abbastanza prepotente da provocare, in qualche modo, la fuoriuscita di un senso ultimo e profondo: l’amore nella sua forma più viva e incondizionata. Analogamente a quelle di molti “infelici”, le storie di Eric, Briony, Guy, Nelly e Liesel insegnano che nella lotta contro i mostri, siano essi fisici o mentali, vincere o perdere non è mai rilevante quanto una valida raison d’être. Anzi, non è rilevante affatto.
1) The Railway Man (2013): L’amore può salvarti?
Jonathan Teplitzky dirige Colin Firth nell’adattamento cinematografico della testimonianza di Eric Lomax, ufficiale delle forze britanniche catturato dopo il crollo di Singapore e ridotto in schiavitù dal Sol Levante. Scampato a indicibili torture, Lomax è un’anima perduta quando, anni più tardi, avviene l’incontro con Patti (Nicole Kidman), ma la solidità della coppia è presto messa alla prova dagli incubi del passato: l’uomo che lo torturò, infatti, è ancora vivo e Lomax è determinato a non fargliela passare liscia. Adorabili scene di corteggiamento si incrociano con i postumi della guerra in un dramma ispirato che vela gli occhi sin dai primi istanti. Impressionanti i flashback sul giovane prigioniero che assieme ai commilitoni sputò sangue e budella nella costruzione della Ferrovia della morte.
2) Head in the Clouds (2004): Impossibile fuggire.
È impossibile fuggire per Guy, Gilda e Mia (rispettivamente Stuart Townsend, Charlize Theron e Penélope Cruz), le cui vite si sviluppano a cavallo di due conflitti. Dietro le quinte di un palco licenzioso e prodigo in sensualità, il regista John Duigan pone l’accento sul potere coercitivo della guerra, circostanza alla quale è impossibile sottrarsi senza prendere una posizione. La colonna portante di Gioco di donna è un inusuale legame a tre che trova espressione in scene audaci e raffinate, tutt’altro che prive di spessore emotivo e disarmanti nella loro bellezza.
3) The Book Thief (2013): Una ladra che rapisce.
Nel 1938, Liesel (Sophie Nélisse) è una bambina come tante altre. La storia di Liesel, in fondo, la si conosce già. Il fatto è che, semplicemente, di storie come quella di Liesel si potrebbe ascoltarne all’infinito senza mai cessare di esserne rapiti. Tratto dal romanzo di Mark Zusak, Storia di una ladra di libri inumidisce ogni mucosa che il senso del pudore consenta di esibire, complice un amore irrealizzato e l’affetto di chi, in tempo di crisi, sa prendersi cura degli altri.
4) Phoenix (2014): Amami ancora.
Sfigurata in un campo di concentramento, l’ex cantante Nelly (Nina Hoss) si sottopone a un intervento di chirurgia del volto che, pur restituendole un aspetto normale, non ripristina le fattezze originarie. Il marito Johnny (Ronald Zehrfeld), ritenendola ormai defunta, non la riconosce. Non solo, quando la donna si presenta da lui le propone di impersonarla con l’intento di accaparrarsi i suoi soldi.
Tradotto nel manchevole Il segreto del suo volto, Phoenix è un piccolo, piccolo film dotato di un grande, grande potere. Per averne piena consapevolezza, tuttavia, è necessario attendere gli ultimi istanti. A discapito di qualche piccola sbavatura, infatti (non è plausibile, ad esempio, che Johnny sia l’unico a non riconoscere Nelly), la vera forza di questo film è un finale assolutamente prevedibile, ma incredibilmente umido ed emozionante.
5) Atonement (2007): Riscatto à la Björk.
Degno corrispettivo del best seller di Ian McEwan, il film Espiazione combina il senso di colpa ad un avvincente gioco di prospettive. Briony Tallis (Saoirse Ronan) non ha più di tredici anni quando commette l’errore che destabilizzerà in modo irreparabile la vita della sorella Cecilia (Keira Knightley) e dell’amante Robbie (James McAvoy). La pellicola, che un po’ diverte, un po’ di più commuove e il resto del tempo stimola emorragie cardiache, ricalca a suo modo un paradigma che, malgrado lo scenario apocalittico, sceglie di darla vinta alla speranza.
È proprio l’idea della speranza a spingermi a integrare un ulteriore bonus audiovisivo: si tratta di un acclamato videoclip di fine anni Novanta che mostra un bacio bollente fra due robot appena assemblati. “Ogni cosa è piena d’amore”, intona Björk in uno dei suoi brani più positivi, ma l’acqua che scorre al contrario rivela una realtà ben più triste. Infatti, il nastro è stato riavvolto e il finale deliberatamente manomesso con l’intento di dare, forse, il messaggio più incoraggiante al mondo: a prescindere dalle circostanze imposte, amare ed essere amati è ciò che più conta.