Spotlight

5 motivi per cui i film tratti da videogiochi fanno pietà

Ok, titolo provocatorio: non proprio tutti tutti i film tratti da videogiochi fanno cagare. In un articolo precedente, avevamo cercato di scovare anche il buono.

Però diciamo che la media del pattume tende a essere alta.

Ogni volta che annunciano l’adattamento cinematografico di un videogioco c’è da sudare freddo: titoli insulsi come Prince of Persia, semplicemente brutti come Assassin’s Creed o ben oltre il limite tollerabile del cringe come l’indimenticato Super Mario Bros.

Eppure noi fan di prodotti videoludici un po’ ci speriamo sempre, ci facciamo i nostri fanta-cast, vibriamo quando puntualmente a ogni pesce d’aprile che si rispetti viene annunciato il live action di The Legend of Zelda. (Grazie, Anubi, che questo titolo a tutt’oggi non sia stato violentato dalla cinematografia. Finora.)

Ma quali sono, esattamente, i motivi per cui i film tratti da videogiochi tendono a venire così male, e forse non sono neanche così tanto una buona idea?

E come mai da videogiochi capolavoro riescono a tirare fuori film di merda?

Mi sembra giusto approfondire, scavare nel marciume sotto gli occhi di tutti per metterne bene in luce i problemi principali e rifletterci un istante.

Ecco quelle che, personalmente, trovo le 5 più importanti ragioni dietro a questo circolo vizioso:


1) A chi lo realizza non frega niente del videogioco

Spesso, i film tratti da videogiochi vengono girati secondo un principio molto prosaico:

Produttore: “Ehi, c’è questo videogioco famosissimo che ha fatto sfracelli, facciamone un film. Chiama un regista che sia così bisognoso di impiego da lavorarci.”

Dal punto di vista creativo, questo input produttivo non è il massimo.

Non che sia un’esclusiva dei videogiochi: capita anche che un regista venga convocato per girare l’adattamento di un libro che non ha neanche mai letto prima.

Ma se la lettura di un libro è qualcosa di lineare, per cui il regista può ragionevolmente prendersi qualche giorno di ripasso e costruzione intensivi, lo “studio” di un prodotto videoludico è molto più articolato e richiede maggiore abnegazione al prodotto, essendo basato sul principio di interattività.

Se perciò un regista non è un fan di quel prodotto ma sta eseguendo un compito, molto difficilmente riuscirà a carpirne lo spirito, si limiterà a una lettura superficiale dell’opera: quando va bene, personaggi, trama, ambientazioni.

Se si arriverà a un punto in cui invece saranno gli autori dei film, in quanto appassionati, a esprimere la volontà di adattare il videogioco perché è loro preciso desiderio e sentono di poter rendere giustizia e avere da dire qualcosa in merito, allora forse cominceranno a uscire prodotti migliori, esattamente come già accade per film tratti da libri o da media più tradizionali.

2) Il film è una riduzione, non un arricchimento

La grande “marcia in più” del cinema, alla sua nascita, è stata anche il rappresentare l’unione di varie arti: teatro, architettura, fotografia, scrittura.

Quando un film è tratto da un altro medium, spesso ha qualcosa “in più” da offrirgli: se si adatta un libro, per esempio, anche se vi è una perdita inevitabile nella narrazione, il regista ha la possibilità di arricchire il materiale dando la sua personale interpretazione sull’aspetto di personaggi, ambienti e situazioni, aggiungendo alla storia musiche, scenografia, trucco, insomma unendo all’arte narrativa altre forme.

Il nodo problematico è che i videogiochi rappresentano un passo evolutivo in più, rispetto al cinema. Sono anch’essi l’unione di tante arti (narrativa, arte figurativa, architettura, musica, etc.) a cui si va ad aggiungere un aspetto aggiuntivo che il cinema non possiede: l’esperienza interattiva e immersiva dell’utente.

Quindi nel momento in cui un videogioco viene adattato a film, si ha la sensazione che venga tolto molto, anziché aggiunto. Vi è un’indubbia perdita di contenuti.

Chi assisterebbe a una storia passivamente, dopo averla vissuta in prima persona? Cosa un film può darmi in più rispetto a un videogioco capolavoro, che non mi abbia già regalato il videogioco stesso? Una volta passata l’emozione di vedere i personaggi interpretati da attori veri, il rischio è che ci sia poco altro: anche la migliore sceneggiatura del mondo perderà comunque la dimensione immersiva – che è parte integrante dell’arte videoludica.

Quindi: abbiamo veramente bisogno di film tratti da videogiochi, quando già i videogiochi sono un’evoluzione ulteriore della cinematografia?

3) L’eterno dilemma: essere fedele al prodotto, o aggiungere qualcosa di nuovo?

Problema direttamente collegato ai due precedenti.

Devo adattare una nota saga di videogiochi, poniamo: Final Fantasy.

Che faccio? Scelgo uno dei capitoli e ne faccio un live-action sulla falsariga di ciò che sta facendo la Disney per i suoi film d’animazione?

Oppure uso quella storia o anche quei personaggi come canovaccio, ma elaborando qualcosa di diverso?

O ancora scrivo una storia inedita che sia soltanto ispirata alle atmosfere e ai toni del videogioco?

Tutte le strade sono state tentate e nessuna è apparsa completamente soddisfacente. Ai profani non interessa particolarmente l’adattamento fedele di un videogioco che non conoscono, vogliono un mondo da poter comprendere, mentre gli appassionati desiderano prodotti sì fedeli, ma che espandano anche quell’universo senza doversi solo limitare a rispiegarlo daccapo. Un po’ come è stato l’MCU per i fumetti – ma lì, infatti, sono serviti molti film e molto diversi tra loro per realizzare, nel complesso, qualcosa di paragonabile al multiverso cartaceo.

4) Si dimentica che l’esperienza di gioco è parte dello “stile”

L’identità artistica di un videogioco non è data soltanto dalla sua estetica, grafica e narrazione: anche il gaming in sé fa parte integrante dello stile dell’opera. Il film, in teoria, dovrebbe essere in grado di assorbire anche quell’aspetto e tradurlo nel nuovo medium, quantomeno citarlo – invece, molto spesso, viene semplicemente accantonato.

Una delle grandi intuizioni di un film come Ralph Spaccatutto è stata proprio che, pur non essendo l’adattamento di nessun videogioco reale, si sia tanto concentrato sulle differenze anche di giocabilità dei vari titoli (hardware e software), mettendole in diretto confronto, e sottolineando quanto questo aspetto faccia parte dell’identità dei videogiochi in quanto prodotti artistici, non solo: della loro estetica.

I film che parlano di videogiochi si sono dimostrati finora molto più interessanti di quelli tratti da videogiochi (penso, ovviamente, al recente Ready Player One di Spielberg). Questo, secondo me, proprio perché se ci si riferisce a questi media, parlare del come è persino più fondamentale rispetto al cosa.

5) Adattare un videogioco è come accettare un posto di “insegnante di caccia al canguro” in Australia

Se adatti un videogioco per il cinema commerciale, ti scegli uno dei target più tosti di tutti: il pubblico generalista quel prodotto l’ha a malapena sentito nominare, mentre le persone che lo conoscono e lo amano come minimo hanno dedicato a quel gioco tempo, soldi, energie e attenzione. Quindi il punto 1) non è contemplabile: o fai parte di quella comunità, oppure sei in svantaggio in partenza, ti rivolgi a un pubblico che ne saprà sempre più di te su quell’argomento. Cosa che non dovrebbe succedere in nessun ambito della vita – a meno di non voler fare la figura dei terrapiattisti che scrivono lettere di fuoco alla NASA.

Insomma: capisco che i produttori siano ingolositi dalla fama di un titolo, ma il target con cui avranno a che fare sarà sicuramente critico anche nella migliore delle ipotesi, e il rischio zappa-sui-piedi molto alto. Pur trattandosi di media popolari, il pubblico di riferimento è difficile quanto quello di un vernissage newyorkese.

E senza canapè di gamberetti che possano ammorbidire gli animi.


Mi sono abbastanza convinta riguardo a tutte queste ragioni, a forza di rimuginarci in anni e anni. Voi ne avete in mente altre?

Siete contenti che Detective Pikachu non fosse una catastrofe, oppure il trailer del film su Sonic the Hedgehog ha avuto la meglio e già popola i vostri incubi notturni?

Mi raccomando, fatemi sapere la vostra!

Francesca Bulian

Storica dell'arte, insegnante, fangirl, cinefila. Ama i blockbusteroni ma guarda di nascosto i film d'autore (o era il contrario?). Abbonata al festival di Venezia. "Artalia8" su YouTube, in genere adora parlare di tutto ciò che di bello e sopportabile gli esseri umani sono capaci di produrre.
Back to top button