
6 Underground: Michael Bay al suo meglio/peggio
Voglio essere onesto. Arrivato alla fine di 6 Underground, non sapevo che cosa pensare. Non riuscivo a capire se il film mi fosse piaciuto o no. Se avessi assistito a un insospettabile capolavoro postmoderno o semplicemente a una cagata pazzesca. Di certo c’era solo la consapevolezza di aver visto una pellicola di Michael Bay, nel bene e nel male.
Sappiate che quando c’è di mezzo il regista con il feticismo per le esplosioni, il sottoscritto fatica a rimanere obiettivo. Una parte di me lo vorrebbe prendere a schiaffi, un’altra invece adora il suo stile tamarro e anarchico. Perciò scusatemi in anticipo se la recensione di questo action movie che Bay ha girato per Netflix vi sembrerà bipolare. In ogni caso, forse è meglio iniziare con qualche accenno di trama. Sempre se di trama possiamo parlare.

Avete presente la sfortunata (e sottovalutata) trasposizione cinematografica di A-Team firmata Joe Carnahan? Quella pellicola raccontava le origini del famoso gruppo di ex-militari condannati ingiustamente e braccati dal Governo americano. Purtroppo, a causa del flop, il capitolo successivo fu cancellato, e con esso la possibilità di vedere i protagonisti mettere finalmente le proprie capacità al servizio del prossimo. Ecco, 6 Underground potrebbe essere considerato un seguito spirituale del film di Carnahan.
Solo che al posto di Hannibal Smith e il suo immancabile sigaro, stavolta abbiamo Ryan Reynolds nei panni di un miliardario che decide di formare una squadra per muovere guerra contro i pezzi di merda del pianeta. Primo obiettivo di questo “Bay-Team” – composto da professionisti senza nome, che si chiamano per numero e hanno finto la propria morte per poter agire in assoluta libertà – è il folle e sanguinario dittatore di un fittizio Paese mediorientale, da eliminare e sostituire con il fratello ben più democratico.

Naturalmente la storia è assurda a livelli inimmaginabili ed è un mero pretesto per mettere insieme una lunga sequela di scene d’azione una più esagerata e inverosimile dell’altra. A cominciare dall’inseguimento automobilistico per le strade di Firenze che copre i primi venti minuti. Una sequenza spettacolare e dinamica, con tanto di remix dei “Carmina Burana” sparato in sottofondo, che da sola vale tutto il film. Almeno se si tralascia il fatto che nel tempo di un cambio di inquadratura si passa dalla capitale fiorentina al centro di Siena.

Oltre a questa, 6 Underground può contare su altre due scene madri. La prima, piazzata a metà film, è costituita da una folle e rocambolesca estrazione dalla cima di un grattacielo di Hong Kong. L’altra invece è il violentissimo scontro a fuoco finale a bordo di uno yacht, che coinvolge pure delle potenti calamite. Tutte sequenze fighissime, bisogna dirlo, ma che lo sarebbero di più se non fosse per la mdp sempre in movimento, il montaggio frenetico (Bay non fa durare un’inquadratura più di 2-3 secondi) e il continuo alternarsi di ampie panoramiche e strettissimi close-up.

L’ho già detto in altra sede e qui lo ripeto: io non detesto Michael Bay e neanche lo ritengo uno dei registi peggiori in circolazione. Al contrario, Mr. Explosion ha dimostrato più di una volta di saper dirigere bene in presenza di una bella sceneggiatura e di un budget striminzito, specialmente in tempi recenti (Pain & Gain e 13 Hours vi dicono niente?). Sfortunatamente non è il caso di 6 Underground.
Dopotutto stiamo parlando di un blockbuster da 150 milioni di dollari (il budget più alto sborsato da Netflix, alla pari con The Irishman) scritto da Rhett Reese e Paul Wernick. Che sì, sono gli autori di Deadpool 1 e 2, ma anche di G.I. Joe: La vendetta, pertanto non sono una garanzia. Lasciato in completa libertà e con uno script non eccelso, Bay finisce quindi per strafare. Non ai livelli della saga di Transformers, ma quasi.

6 Underground è Michael Bay all’ennesima potenza: roboante, ignorante, videoclipparo e frastornante. È l’apoteosi del Bayehm, la summa della poetica dell’autore (perché lui è un autore, piaccia o no). In esso si ritrovano tutti, ma proprio tutti, i luoghi comuni del suo cinema: auto veloci, belle donne poco vestite, esplosioni che sprizzano scintille, ironia stupida (anche se le suore che fanno il dito medio mi hanno strappato una risata), patriottismo (la missione della squadra sa tanto di “esportazione della democrazia” made in USA) e tonnellate di product placement (a quanto pare nel mondo di Bay si beve solo caffè Lavazza).

Tutto ciò farà sicuramente prudere le mani a chi già non ama particolarmente Michael BOOM. Al contrario, potrebbe essere motivo di piacere per i suoi fan. Personalmente non mi ha mai dato fastidio questo lato del regista e il sentimento non è cambiato guardando 6 Underground. Semmai il problema più grande del film, come accennato prima, è il montaggio. Da questo punto di vista il film è un discreto casino: spesso è davvero difficile capire cosa stia succedendo, e la scelta di adottare, nella prima metà, una narrazione non lineare (con una sovrabbondanza di flashback) non aiuta affatto.
Come se non bastasse, i protagonisti soffrono di una caratterizzazione che non va oltre i rispettivi numeri identificativi. Tocca agli attori compensare questa mancanza, e per fortuna il risultato nel complesso è accettabile. Svetta su tutti un Ryan Reynolds meno istrionico del solito, ma comunque convincente e non immune alle battute (“Mi sento un jedi!”). Al suo fianco un’inedita (e sexy) Mélanie Laurent, più tosta e combattiva che in Bastardi senza gloria.

Per quanto riguarda gli altri, la bella Adria Arjona (vista in Pacific Rim: La rivolta) interpreta il medico del team, mentre Ben Hardy (il Roger Taylor di Bohemian Rhapsody) è l’esperto di parkour (attività che consente a Bay di sbizzarrirsi con adrenaliniche riprese in POV). Nel cast c’è spazio pure per Dave Franco nei panni di un novello Baby Driver… che però esce di scena quasi subito, venendo sostituito da Corey Hawkins (Kong: Skull Island). Il mio personaggio preferito tuttavia rimane “Tre”, sicario dal cuore d’oro cui presta il volto il messicano Manuel Garcia-Rulfo.

Tirando le somme, è un’impresa per me dare un giudizio definitivo a 6 Underground. Sarebbe troppo facile etichettarlo come schifezza. Al massimo si potrebbe parlarne come di un’opera talmente brutta da fare il giro e trasformarsi in avanguardia. Ma anche così sarebbe esagerato.
Mentirei se dicessi che il film non mi abbia divertito nella sua follia e tamarraggine (al confronto Fast & Furious è Quarto Potere). Al contempo però devo ammettere che non sia tra i più riusciti di Michele Baia. Chissà, forse con la regia di un David Leitch sarebbe stato migliore. Anzi, togliete pure il forse. Ma questo è ciò che abbiamo. L’unico consiglio utile che posso darvi è: se siete fan di Bay, abbassate le aspettative; se lo odiate con tutte le vostre forze… be’, forse vi conviene passare oltre.