Film

Un simpatico italiano: Il marchese del Grillo

Così come i francesi sono quelli chic con basco e baguette sotto l’ascella sudata, i tedeschi quelli che parlano incazzati e bevono boccali di birra, gli spagnoli quelli mori dall’animo caliente, gli italiani sono e sempre saranno quelli simpatici. Tra i millemila luoghi comuni esistenti sul nostro Bel Paese (pizza-pasta-mafia-caciara-Eros Ramazzotti-grandi amatori-buon vino-Berlusconi), quello della simpatia è forse uno dei più veri.

Certo, si fa presto a dire “simpatia”. Mi ritorna in mente una scena di Ovosodo di Virzì (fugace recensione nella recensione: fa spisciare dal ridere quel film, guardatelo quando siete tristi), in cui il protagonista dice La simpatia è un falso merito, tipicamente italiano. In Francia o in Inghilterra non ci tengono mica così tanto a restare simpatici, ma ad avere dei meriti reali. Solo gli stronzi sono simpatici! E qui ci ricolleghiamo ai luoghi comuni, cioè a Berlusconi… ehm no, dicevo, ci ricolleghiamo ai luoghi comuni, che gli italiani sono simpatici, e c’è un regista italiano che di quest’italianissima simpatia ha fatto un’arte ed un filone cinematografico.

Mario Monicelli ha portato la commedia all’italiana a vette di fantasia e profondità straordinarie, entrando nell’animo e nel costume di questa nostra nazione come pochi registi ed artisti hanno saputo fare. Monicelli è la commedia all’italiana, e la commedia all’italiana è cinica, irriverente, amara. Trattare con termini comici, divertenti, ironici degli argomenti che sono invece drammatici. È questo che distingue la commedia italiana da tutte le altre commedie, affermò Monicelli. E scusate se è poco.

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Gli anni d’oro di Monicelli erano ormai passati, quand’ecco che nel 1981 esce un film che stupisce e conquista tutti in sala, non solo per la somma presenza dell’Albertone nazionale, ma perché fa RIDERE, ma ridere ridere, ridere di gusto. Il marchese del Grillo ha per protagonista Alberto Sordi nei panni di Alberto Sordi col panciotto ottocentesco. Sì, perché io me lo immagino Sordi che legge il copione, ridacchia e dice “Aho’, ma questo so’ io! Ah Mariooo, tiettelo tu sto libretto, a me me basta ‘n canovaccio!”.

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Onofrio del Grillo, questo il nome del nostro eroe, è un ricco nobile romano alla corte di papa Pio VII (Paolo Stoppa); il “gentiluomo” è famoso per i suoi scherzi, sempre ben organizzati e spesso piuttosto crudeli. Nella Roma del 1809, poco importa se la minaccia napoleonica incombe, il sor marchese passa le sue giornate sostanzialmente ad oziare per le vie della città, frequenta le peggiori bettole, si intrattiene con contesse e popolane, ma soprattutto si diverte a fare dispetti di basso livello, geniali nella loro volgarità. Il film ne è costellato ed ogni scherzo è un quadro indipendente, non privo di significato. Memorabile quello di Aronne Piperno l’ebanista, portavoce di tutti noi poveri sfigati servitori ingiustamente maltrattati:

I feel you Aronne. Il marchese è così: crudele ma in fondo giusto e generoso, arrogante ma colto, di larghe vedute ma vile nell’affrontare attivamente il cambiamento. Praticamente una contraddizione ambulante. Onofrio è legato ad un passato e a dei costumi che odia ma in cui sguazza agiatamente e che non ha il coraggio, né l’interesse, di combattere. Certo che co’ n’inno come questo (riferito alla Marsigliese) puoi pure andà a morì. Noi che c’avemo? ‘Noi vogliam Dio, Vergin Mariaaa’ ..n’do c’annamo, alla Madonna del Divin’Amore! dice all’ufficiale francese, che risponde: Però per avere un inno così bisogna prima tagliare la testa a tutti i Marchesi del Grillo come te!  Ah sì eh…e allora me tengo ‘Noi vogliam Dio!

Il marchese è l’italiano medio per antonomasia, sospeso tra tradizioni e dogmi vecchi come il cucco, rigorosamente in salsa cattolica (trattandosi di 1809, direi turbo cattolica), e la razionalissima civiltà francese, piena di novità ed emancipazione, dove le parti di donna a teatro “le recitano addirittura le donne vere!”. Onofrio del Grillo di chiacchiere ne fa tante, tutte giuste, tutte vere. Fosse vissuto oggi magari le farebbe anche su Facebook, o addirittura su questo blog.

Saprebbe far crepare dal ridere e scriverebbe divinamente. Ma poi, al primo rischio imprevisto, si tirerebbe indietro. È un vizio un po’ italiano, tornando ai luoghi comuni: prima le lamentele, le chiacchiere, l’indignazione. Poi la prassi, il voto. E alla fine? Non cambia nulla. Perché, come dice la marchesa mamma di Onofrio, quel Napoleone che guida i Francesi finirà presto o tardi col culo per terra, ma ricordati invece che morto un Papa, se ne fa SEMPRE un altro!

Lucia Tiberini

Classe 1992. Dopo un'infanzia nella provincia di Perugia, dove trovo notti stellate e sagre del cinghiale, mi trasferisco a Bologna, dove trovo esami, vino e bonghi. Amo il mio ukulele (ma solo esteticamente: non so suonarlo), Dylan dog, gli arrosticini e non disdegno il cinema.
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