
Mad Max: Fury Road
Per la prima volta tra i candidati per l’Oscar a Miglior Film, un action duro e puro.
In un futuro post apocalittico, dove benzina e motori sono oro e preziosissima merce di scambio, Mad Max è rapito dai guerrieri di Immortan Joe, orrido dittatore della Cittadella, eretta ai margini della Fury Road del titolo. Il sangue di Max è compatibile con tutti gli altri tipi e in breve diventa “donatore universale” di tutti i Figli della Guerra, i cerei guerrieri di Joe. Ma il destino di Max è presto ribaltato dall’Imperatrice Furiosa che, alla guida di una blindocisterna, sembra viaggiare sulla Fury Road per recuperare benzina nella vicina Gas Town ma in realtà sta aiutando le concubine di Joe a fuggire. Max, presto liberatosi dalle catene, si ritroverà suo malgrado ad aiutare le donne.
Mad Max: Fury Road è un sequel della celebre trilogia degli anni ’80 solo perché viene effettivamente dopo. In realtà, seppur riprendendo i personaggi e la mitologia dei primi film, questo è più un reboot, una rivisitazione della storia probabilmente con fini commerciali (cioè riaprire la saga con una nuova serie – come è stato fatto per Star Wars).
George Miller, il regista di tutti e quattro le pellicole, con questo film decide di fare qualcosa che non sempre i reboot sono in grado di realizzare: invece di lasciare che la storia (di per sé piuttosto inconsistente e già conosciuta) scada nel trito e ritrito, la usa invece per dare vita a immagini spettacolari, destinate a diventare immediatamente cult. Era impossibile fare un sequel di Mad Max quando, con Mel Gibson, era già stato dato tutto. Allora Miller ha ripreso il personaggio e, affidandolo a Tom Hardy, gli ha ridato vita nuova partendo dallo stesso passato comune. Il “Pazzo” Rockatansky di Mel Gibson era un eroe da manuale, senza macchia e senza paura; quello di Hardy è un uomo nuovo, più del nostro tempo: preda di eventi che non può controllare, spaventato dagli incubi di una vita ormai lontana, estremamente fisico ma quasi incapace di parlare.
Max serve per dare il via alla storia (come un MacGuffin?) ma il suo centro è un altro, situato nella figura di Furiosa, interpretata da una Charlize Theron assurdamente bella nonostante la testa rasata a zero, il volto pitturato di grasso per motori e un braccio mancante.
** Per la serie: provate voi a tagliarvi i capelli così corti e poi vediamo che succede. **
Schiava di Joe, guerriera, donna sana e razionale in un modo retto da uomini degenerati e folli, Furiosa è forte là dove Max è spaesato, audace e coraggiosa quando Max è indifferente delle sorti del suo stesso mondo. Lei e le sue compagne sono l’apoteosi del femminismo: sono belle, sono sexy (la scena in cui le ragazze si lavano e si liberano dalle catene nel deserto è bollente) e per questo usate solo per il loro ventre capace di concepire ancora. Ma in quanto donne, ci suggerisce George Miller – e ve lo dico io che scrivo che sono donna, sono anche combattenti nate, pronte a tutto pur di conquistare il rispetto e la libertà che meritano. Fondamentalmente, Max non sa che fare e allora decide di seguirle in un viaggio che non è il suo. Non sono Eroe Protagonista & Femmina Da Urlo al seguito, come nei soliti film d’azione, ma compagni alla pari.
E scusate se è poco.
Per questo e per un sacco di altri motivi, Mad Max: Fury Road è un film che merita di essere guardato: c’è lo spettacolare uso della CGI, l’accelerazione dei frame per secondo, che già dalle prime scene ci trascina in un viaggio allucinato e frenetico, e l’ambientazione steampunk. Blindocisterne, macchine corazzate, persino un uomo senza volto legato ad un auto con un’infuocata chitarra elettrica. C’è tutto quello che si potrebbe immaginare e anche di più.
La storia è debole? Non importa. Max dice forse dieci parole in totale? Amen. Il film è un action puro, è adrenalina, è ottani che pompano nelle vene; è qualcosa che non si vedeva da anni. E che merita la sua fetta di premi agli Oscar, quantomeno perché, per una volta, è candidato per le features più importanti un film che non parla di omosessuali, malati, poveri o minoranze etniche – tutte quelle cose che piacciono all’Academy, insomma – ma che conquista il pubblico. Che per un film è tra le cose più importanti.
Ah. Lo sapete quanti anni ha George Miller? Più di settanta.
Beccatevi questo, “ragazzi”.