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Ciak: l’amore per il cinema in mostra a Cremona tra locandine vecchie e nuove

Vi siete persi nella pianura padana e all’orizzonte non vedete altro che rotonde e centri commerciali? Non disperate: in una cittadina sperduta tra nebbie e campagne c’è un’oasi che mai vi aspettereste. La cittadina in questione è Cremona, e l’oasi è Ciak, mostra organizzata dall’associazione culturale Tapirulan. Inaugurata lo scorso 3 dicembre, avete tempo per visitarla fino al 29 gennaio; e credetemi, ne vale la pena. Affrontate la periferia di condomini Anni Settanta, costeggiate il Parco del Vecchio Passeggio, oltrepassate un archetto di mattoni e vi troverete in una simpatica piazzetta, più da paesino che da città. Resistete al richiamo di polpette e vinello della storica Osteria Cerri e alla vostra sinistra troverete la chiesa sconsacrata di Santa Maria della Pietà, un tempo vecchio ospedale cremonese.

È qui che i ragazzi di Tapirulan hanno allestito Ciak: un’ode al cinema che non c’è più, ma anche a quello che verrà. Sì, perché la mostra è divisa in due parti: all’inizio, un’esposizione di quarantotto disegnatori, selezionati tra i ben settecento che hanno partecipato al concorso, che interpretano e reinterpretano film vecchi e nuovi. La seconda parte, quella di maggior richiamo, è invece un omaggio al lavoro di Renato Casaro, ribattezzata significativamente Per un pugno di colori: classe 1935, Casaro iniziò a dipingere locandine a soli diciannove anni. Tra i nomi con i quali ha lavorato: Sergio Leone e Clint Eastwood, Bud Spencer e Terence Hill, ma anche Bernardo Bertolucci, Dario Argento e Sylvester Stallone. Cento opere originali e cinquanta tra manifesti e locandine che abbracciano tutta la seconda metà del secolo scorso.

Le tavole di Casaro non possono non suscitare un forte amarcord in chiunque abbia più di quindici anni: anche se gran parte dei film per cui ha realizzato i poster risalgono agli Anni Cinquanta, sono entrati nell’immaginario collettivo di tutti coloro che hanno avuto un televisore nell’ultimo decennio del Novecento. Ed è anche grazie a queste locandine se ciò è avvenuto: come dei trailer fissati in un’immagine, i lavori di Casaro hanno la capacità di incastonarsi negli occhi dello spettatore. Tanto per fare un esempio: un Clint Eastwood che se ne sta ritto in mezzo a cadaveri e strade polverose, un panciuto Bud Spencer affiancato da un fascinoso Terence Hill, uno Sean Connery che veste i panni prima di una spia inglese, poi di un monaco medievale. E ancora, tutti i grandi classici della commedia all’italiana: gambe, scollature e dischi dell’epoca per Sapore di mare, Vacanze di Natale, i cicli di Celentano e quelli di Verdone; e poi loro, la fragorosa cinquina di Amici miei, per l’occasione rappresentati come le molle di una scatola a sorpresa, in un mix di disegno e fotografia che sembra preludere a Photoshop.

Si passa poi al periodo più recente, quello dove horror e fantasy la facevano da padrone: e allora via con Nightmare, Opera, Misery e Nikita – locandina, quest’ultima, che gli valse un premio. Non fu l’unica, naturalmente: L’ultimo imperatore e Il tè nel deserto consacrarono il connubio tra Casaro e il grande cinema, riconfermato poi dallo strepitoso manifesto per C’era una volta in America.

Gran finale con i muscoli di Sylvester Stallone, che deve proprio a René, come lo chiamava la madre, se oggi tutti quanti ci ricordiamo Rambo in quel modo, e di Arnold Schwarzenegger, che prima di buttarsi in quisquilie quali la politica era un cattivissimo picchiatore. A chiudere il tutto Asterix e Obelix, ultima locandina di Renato Casaro: aria serena e un po’ dimessa, quasi come se venissero ad annunciare l’avvento del digitale, e di conseguenza la fine dei pennelli.

Renato Casaro lavorò per i committenti più disparati, e fra le migliaia di tavole che realizzò c’è anche quella de Il grande dittatore: è grazie a lui se tutti quanti ricordiamo Charlie Chaplin, lo sguardo folle, a cavallo di un mappamondo. Ed è su questa pietra miliare che passato e presente si incontrano: perché Casaro non fu il solo ad essere folgorato da questo film. Largo ai giovani, si è soliti dire: signore e signori, ecco a voi Marco Caputo, che per l’occasione ha disegnato passo per passo il walzer tra il dittatore ed il mappamondo.

Le nuove leve in mostra a Ciak sono tante e variegate: Maria Farina realizza dei Sogni ancora più onirici del film, Roberta Santi ci presenta una Mary Poppins insolitamente austera, Francesca Ballarini tratteggia con poche pennellate e molti colori il senso di spaesamento di Lost in Translation.

Agnese Matteini poi imprigiona il bacio di Casablanca in una bolla dello stesso grigio caldo del film, Ariadna Sysoeva mette in scena una versione quasi cubista di Pulp Fiction, Francesco Caporale lancia E.T. in un paesaggio monocromo eccezion fatta per un cappottino rossissimo, lo stesso che si intrufola tra le gambe nerastre di Schindler’s List per Nicolas Ogonosky. Shining la fa da padrone sia per Eleonora Simeoni che per Ronny Gazzola, così come La finestra sul cortile per Giovanni Lanzoni e Guido Rosa.

E d’altronde, è il bello dei classici: si possono riprendere in mille modi diversi. E allora via con la Colazione da Tiffany di Michela Buttionol, il King Kong di Dima Kashtalyan, Il pianista di Daniele Frattolin. Che dire infine del Titanic con tanto di selfie per Federico Conti Picamus, o delle Star Wars viste con gli occhi di un bambino di Giovanni Da Re, o ancora dello Squalo sceneggiatore di Andrea Coli? La lista potrebbe continuare all’infinito.

È questo il bello della settima arte: riesce ad entrare sottopelle a tutti, in modo diverso per ognuno. Prendete Una giornata particolare vista con gli occhi di Davide Bonazzi: celluloide stesa al sole, in una bellissima rappresentazione dell’amore per il cinema.

Mentre a Milano Fermo Immagine, splendido museo del manifesto cinematografico situato in Via Gluck, rischia la chiusura, nella provincia qualcosa si muove: approfittate di questa occasione più unica che rara, e tuffatevi in una carrellata di pennellate, ritratti e impressioni.

P.s. per saperne di più sulla mostra e altri progetti, fate un salto sulla pagina dei nostri amici di Tapirulan!

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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