
A proposito di Davis: quando è vero che capitano tutte a te
Le cose assurde sono quelle che ci capitano più di frequente
Siamo tutti d’accordo? Bene, perché questo è il punto esatto da cui partire per guardare A proposito di Davis, uno dei film più riusciti dei fratelli Coen (“…dopo Il grande Lebowski”, ok, ve lo concedo. Per questa e altre frasi che fanno di voi un perfetto cinefilo fake date un’occhiata qui).
Ditemi se non vi siete appena visti allo specchio. Anche quelli che dei gatti nonglienepoffregàddemeno (eccomi).
La storia-non-storia del cantautore folk Llewyn Davis (lo spettacolare Oscar Isaac) si svolge pochi anni prima che un altro cantautore folk di nome Robert Allen Zimmerman diventerà il ben più famoso Bob Dylan. Perché “non-storia”? Perché non succede praticamente niente. O meglio, succedono un sacco di cose, ma rimangono tutte lì. Rimangono lì esattamente come te, che vorresti tanto che qualcuno te le spiegasse e invece no, ti tocca prenderle così come vengono (e qui è subito “eeeh, come nella vita vera”).
Cose assurde tipo questa che avete appena visto. Ma aspettate perché a LUI ci arriviamo dopo.
L’intreccio non c’è, ma gli eventi che capitano al povero Llewyn, affascinante come non mai, ma altrettanto squattrinato, sono clamorosi: e così, ecco la promessa e la speranza di un aborto, le registrazioni per una nuova canzone poco impegnata e poco impegnativa, un gatto rosso che scappa in continuazione, una cena che finisce male, un viaggio in macchina con due tizi misteriosi e inquietanti, e poi tanti, tantissimi silenzi e poi ancora tanta, tantissima musica (tra cui anche i Mumford and Sons in una delle canzoni più belle del 2014). A proposito di Davis è più di una ballatona folk spalmata in due ore di film, è un’odissea postmoderna newyorkese dalla fotografia quasi del tutto desaturata. E, non c’è neanche bisogno di dirlo, infusa di black humor – tanto che se digiterete A proposito di Davis lo troverete sia sotto “commedia” che “drammatico”.
I was hipster before it was mainstream.
I personaggi irrisolti sono sempre una garanzia
I personaggi che si muovono inquieti, chi più chi meno, in A proposito di Davis sono parecchi, perché parecchie sono le micro-storie che accadono. Llewyn è un bello-e-dannato che potrebbe tranquillamente essere croce e delizia di tutti gli indie attuali (per me molto più la seconda che la prima, ndr), peccato che un’altra cosa altrettanto dannata sia la sua perenne indolenza e apatia, unita a un pizzico di egoismo. È clamorosa la scena in cui Jean lo accusa di essere, sostanzialmente, un coglione:
“Sai, tu non vuoi andare da nessuna parte, perciò le tue cazzate continueranno a capitarti, perché tu vuoi così.”
“Il motivo è questo?”
“Sì, e anche perché tu sei uno stronzo!”
Jean è Carey Mulligan, un’attrice che come nessun altra suscita in me un sentimento di adorazione folle misto a voglia di prenderla a schiaffi, forse perché le affidano tutti ruoli drammatici (e bene o male ruoli di donne un po’ strane), e perché lei li fa talmente bene che io spesso e volentieri me la immagino proprio in quel modo. Tutto questo per dire che la Mulligan è un mostro, e qui ha una parte di un’infelice sotto la corazza da stronza che le riesce in modo ineccepibile.
Poi sapete chi c’è? Justin Timberlake. JUSTIN TIMBERLAKE! Che lì per lì quando compare (nel ruolo di Jim) alla gig dei musicisti nel locale tu dici “cioè seriamente?”, ma poi prende la chitarra e canta una versione in inglese di J’entends siffler le train duettando con Jean, e allora non puoi fare a meno di adorarlo, anche se ha il maglioncino, il capello ingellato con la riga da una parte e (SPOILER MA NEANCHE TROPPO) le corna.
Questa è una delle scene più WTF di tutto il film.
La vita è bella finché dura poco (ma tranquilli che qui non muore quasi nessuno)
Quello del malessere esistenziale è uno stagno in cui i fratelli Coen sguazzano come le papere nei laghetti di Central Park, e anche stavolta buttano dentro A proposito di Davis incomunicabilità, depressione, insoddisfazione, smarrimento e riso amaro, per farci vedere quanto spesso sia difficile convivere con sé stessi – e chiaramente, anche con gli altri.
E a questo proposito, indovinate chi compare sul finale (ATTENZIONE QUI C’È UN PICCOLO SPOILER), con la sua chitarra e la sua Farewell? Esatto, proprio lui. Mentre Llewyn esce dal locale, l’ancora giovane e ignaro Bob Dylan comincia a esibirsi con il suo inconfondibile timbro cantando We’ll meet another day, another time. Che potrebbe essere un po’ anche tutto il senso ultimo del film.
Ah! Sentite questa: Marcus Mumford dei Mumford and Sons e Carey Mulligan, che ora sono marito e moglie, erano amici di penna da piccoli. Cosa dicevamo all’inizio a proposito delle cose assurde?