
A Scanner Darkly: filosofia intimista, droga e dispersione di realtà
Immagino che tutti voi tutti conosciate School of Rock, in caso non fosse così, smettete subito di leggere quest’articolo e andatevelo a recuperare. È un filmetto banale, stupido, prevedibile… sì sì, dite tutte le cappellate che volete, ma è un film che inevitabilmente vi rimarrà nel cervello e nel cuore. Taluno è affidato alla sapientissima regia di Richard Linklater, e indovinate un po’: è lo stesso regista del film con cui oggi vi solleticherò le papille gustative (e non solo). Bene, esattamente tre anni dopo l’uscita di School of Rock Linklater ci sbatte in faccia A Scanner Darkly. Gli appassionati di letteratura fantascientifica (e non solo) hanno già capito di cosa parlo: il film trae liberamente ispirazione dal romanzo Un oscuro scrutare dello statunitense Philip K. Dick. Bello bello, andatelo a leggere per grazia dei vostri cervelli. Un po’ meno grazia vi doneranno le mie parole, ma vi costringo a leggere lo stesso ciò che ho da dire sul film. Grazie per la collaborazione, a tra poco.
“Oddio, ma quello è Keanu Reeves?! Sì, ma ha qualcosa di strano alla faccia, come se fosse disegnato”. Sì, circa, più precisamente: rotoscope. Rotocosa?! È molto più semplice di quanto pensiate. La tecnica del rotoscope consiste essenzialmente nel girare un film in modo canonico, con attori in carne ed ossa e veri scenari, i quali vengono poi dopo disegnati. In sostanza, la pellicola originariamente filmata viene successivamente “ricalcata” dal disegnatore, il che la rende simile ad un cartone animato. È senza dubbio una tecnica strana agli occhi di chi vi si approccia per la prima volta, bisogna farci il callo, ma vi assicuro che si sposa perfettamente con questo film.
Perché? Evitando spoiler: i protagonisti di A Scanner Darkly sono dei tossicodipendenti e l’intera pellicola viene mostrata come se stessimo vedendo attraverso i loro occhi. Mi spiego meglio: la focalizzazione dello spettatore è esterna, ma la scene ci si parano davanti agli occhi con le dinamiche e con le reazioni che i personaggi vivono. La cosa straniante è che essi, in quanto tossici, spesso e volentieri si trovano nel cosiddetto “trip”, il che dà luogo a situazioni e conversazioni/ragionamenti totalmente astrusi. In questo contesto il rotoscope piove come manna dal cielo sull’estetica (e non solo) del film. Infatti questa sensazione cartoonata va a braccetto con la dimensione allucinata che i protagonisti si ritrovano a vivere nella loro testa, e il rotoscope appunto contribuisce ad amplificare la sensazione di trip già palese.

Sì che lo avete riconosciuto. Quello è nientepopodimeno che Robert Downey Jr. Altra chicca riguardante il film è indubbiamente il cast. Oltre ai già citati Keanu Reeves e Iron man, ehm Sherlock Holmes, cioè volevo dire Robert Downey Jr., troviamo a far loro compagnia anche Winona Ryder (Edward mani di forbice, Stranger Things), Woody Harrelson (La sottile linea rossa, True Detective, Now You See Me, Larry Flint) e Rory Cochrane (Nemico pubblico, Argo).
Che dire, sono bravi. Non che fosse una novità, ma nessuna delle parti che sono state assegnate a ciascun attore era semplice da interpretare. La cosa da tenere sempre a mente è che i protagonisti sono sempre e costantemente in trip di sostanze e quindi qualsiasi loro comportamento deve svolgersi di conseguenza. Chicca nella chicca (questa è un interpretazione ESCLUSIVAMENTE personale, pensateci, ma prendetela con le pinze): ogni personaggio è il corrispettivo fisico di uno stato d’essere, di uno stato mentale o di una sensazione. Poi c’è Robert Downey Jr. che, grazie al suo passato da tossico di merda, non ha incontrato nessuna difficoltà nell’immedesimarsi nella parte. Questa era cattiva oltre ogni limite, ma anche A Scanner Darkly è spietato.

E poi vabbè, c’è Linklater. Il regista sa dare uno stampo fortemente intimista e tragicomico al tutto. Ho peccato di negligenza nel non dirvi che ci troviamo in un contesto distopico, dove la tossicodipendenza è dilagata e circa il 20% della popolazione è tossicodipendente. In questo scenario tutto perde di senso, la realtà cede il posto al trip, all’allucinazione, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato si confondono, si scambiano e i protagonisti hanno una personalità talmente spiccata che alla fin fine sembra quasi che non siano nemmeno più persone. Sembra un paradosso, ma guardare per credere.
In tutto ciò Linklater si cala silenzioso sulle immagini, imprime inquadrature forti, ravvicinate e spazia ottimamente tra le zone della narrazione. Un contributo essenziale viene offerto anche dalla sceneggiatura (dello stesso Linklater), che è COMPLETAMENTE ALLUCINATA ED EFFERVESCENTE. A Scanner Darkly non è un film facile da seguire, è un film che ti trascina via, ti fa vorticare nei meandri dei cervelli dei protagonisti, ma ti lascia addosso una sensazione di delusione mista a rammarico che attorciglia lo stomaco.
I complimenti vanno fatti anche al compositore (sconosciuto per quanto mi riguarda) Graham Reynolds. La colonna sonora è poco presente nel film, tendendo a lasciare più spazio alle conversazioni e ai monologhi, ma in alcuni tratti l’accompagnamento musicale si fa sentire eccome, rendendo ancor più drammatiche le sequenze-soliloquio, che, tra l’altro, costituiscono i maggiori strumenti interpretativi del film.
A Scanner Darkly è un film inaspettato, un film che inizia subito, bam, pronti, via, ti lancia letteralmente dentro un mondo che, per quanto non troppo diverso dal nostro, sembra incomparabile. E poi ti risputa fuori, stanco, asciutto, secco. È come fare sesso per quattro ore, ma senza eiaculazione finale.