
ACAB – L’opera dura e cruda di Sollima prima di “Gomorra”
ACAB è un film del 2012 diretto da Stefano Sollima. Lo stesso, per intenderci, che sta dietro Gomorra, ormai serie-evento interplanetaria. Come molti sapranno, il titolo è un acronimo inglese, ormai piuttosto conosciuto anche qui in Italia. Per esteso suona All cops are bastards, ossia “tutti i poliziotti sono bastardi”. Si tratta di uno slogan utilizzato da parecchie frange antagoniste per manifestare il proprio “affetto” nei confronti delle forze dell’ordine.
Vi confesso che mi sono avvicinato alla pellicola con una buona dose di scetticismo. Avevo letto da più parti che si trattava di un film di denuncia della brutalità della polizia e ho subito temuto una cosa: che fosse un’opera manichea. Una categorizzazione netta di bene e male può andar bene nel fantasy, dove un Sauron e un eroe senza macchia fanno giusto al caso della narrazione, ma quando ci si approccia alla realtà, con tutte le sue contraddizioni, risulterebbe oltre modo semplicistica. Le mie paure sono state comunque dissipate dopo pochi minuti di film. Un film che non si fossilizza sul bianco e sul nero, ma esplora una moltitudine di tonalità di grigio, come già sottolineava il nostro amico pennuto Nilsson.
LA TRAMA
ACAB racconta le vicende di un gruppo di celerini romani, durante i servizi d’ordine e la loro vita quotidiana. Il taglio è molto documentaristico e riprende gli agenti in vari momenti del loro lavoro, mettendoli in contatto con durissime realtà tipiche della capitale e, più in generale, di tutta Italia. Le curve violente, i nomadi, l’immigrazione, le ultra-destre, gli sfratti. In mezzo a tutto ciò, gli agenti tentano di barcamenarsi nella loro vita famigliare, che non riuscirà mai a risultare separata come dovrebbe da quella lavorativa. Il filone narrativo più forte ci racconta il tentativo di ritrovare il manganello sottratto a uno dei protagonisti durante alcuni scontri tra tifoserie di Roma e Napoli. La vicenda lega a suo modo tutti i protagonisti ma il film funzionerebbe lo stesso anche come semplice affresco di vita di strada, senza una vera e propria “storia”.
ACAB vi accompagnerà in una serie di situazioni davvero al limite, in modo crudo e realistico. Quando vi sembrerà di aver capito quali sono i personaggi positivi ecco che un avvenimento sarà pronto a ribaltare le vostre convinzioni. È la gamma dei grigi di cui parlavo all’inizio. Grigi che convivono anche all’interno di uno stesso personaggio. In particolare, sono due gli agenti attorno a cui ruota davvero il film. Due protagonisti ricchi di contrasti, che meritano un paragrafo a parte. D’ora in avanti, sarà presente qualche spoiler.
COBRA E ADRIANO COSTANTINI
L’agente Cobra è il capo carismatico della squadra mobile. È interpretato da un Piefrancesco Favino raramente così in parte. Non è il più alto in grado, ma è un punto di riferimento per tutti. È l’unico a non avere legami personali e dedica perciò tutta la sua vita alla celere. Ha un forte senso del dovere e un innato rispetto per il suo reparto.
Ciò lo rende uno degli agenti più responsabili durante il servizio. Spesso è pronto a evitare che la situazione degeneri ed è capace di gestire anche con sensibilità alcuni frangenti delicati. L’altra faccia della medaglia è che, per Cobra, la celere viene prima di tutto. Il bene del reparto è prioritario rispetto a quello del singolo e, quando la situazione lo richiede, anche della morale comune. Perciò grande senso di responsabilità in servizio, ma anche nonnismo, intimidazione e spedizioni punitive quando il servizio termina. Perché Cobra non lavora alla celere. Cobra è la celere.
Il suo contraltare è l’agente Adriano Costantini, la più giovane recluta della squadra mobile. Adriano si dimostra subito poco incline a certi compromessi. Se il collega picchia la moglie andrebbe denunciato. Non gli interessa il cameratismo che quelli come Cobra vorrebbero preservare. In questa e in altre situazioni è l’unico che dimostra un minimo di buon senso. Proprio per questo, sarà costretto nel finale a tradire il suo reparto. D’altro canto, è anche passionale, impulsivo, poco lucido quando la battaglia incombe. Durante i servizi veri e propri si dimostra più di una volta inadeguato. È colpevole di diverse brutalità, rischiando di far precipitare situazioni già di per sé tese.
Le due anime di Cobra e di Costantini sono sempre in bilico tra la ragione e il torto, la legittima difesa e la violenza gratuita. Un po’ una fotografia della squadra mobile stessa, un reparto che lavora in condizioni al limite e in un ambiente al limite, costretto perciò a comportarsi in modo altrettanto al limite. Un limite tentatore che spesso invita a essere superato.

LA CORNICE DI ATTUALITÀ
Accanto all’ambivalenza dei protagonisti, è interessante notare altri due “antagonismi” interessanti. Si tratta dei fatti di attualità che fanno da cornice alla vicenda. Essi sono inseriti quasi simbolicamente nel film, rappresentando due facce della stessa medaglia. Da un lato l’uccisione dell’Ispettore Capo Filippo Raciti, a seguito dei violenti scontri successivi al derby Catania-Palermo 2007, vissuta con particolare trasporto e disillusione dai colleghi romani. Dall’altro la speculare uccisione del tifoso laziale Gabriele Sandri, avvenuta qualche mese dopo. La reazione dei protagonisti questa volta è dominata dalla paura di possibili ritorsioni da parte delle tifoserie organizzate, senza curarsi troppo della morte del giovane.
I timori sono senza dubbio fondati, ma fino a che punto giustificano la quasi totale mancanza di partecipazione per la morte di un giovane?
Il film non risponde e lascia allo spettatore ampio spazio per farsi una propria idea. Su questo come su altri momenti cruciali di ACAB. Ed è forse per questo che il finale è così aperto, con il film che si chiude appena prima di un attacco in forze delle frange ultras romane. Ognuno è libero di immaginare quella battaglia liberamente e penso che sia giusto così.
In chiusura ACAB è una pellicola che fa sicuramente riflettere e ha l’indubbio merito di non cadere in facili manicheismi. Allo stesso tempo, è efficace nel rappresentare un reparto celere che è senz’altro qualcosa di diverso anche rispetto al resto del corpo di polizia. Nel bene e nel male. Questo traspare chiaramente in ACAB. È l’unica conclusione che forse può mettere d’accordo tutti e su cui terminerei l’articolo. Non mi resta che consigliarvi il film perché la qualità, comunque la pensiate, va premiata.