
Alita: Angelo della Battaglia – Un film imperfetto, ma pieno di cuore
Se non siete nati ieri, vi sarete senz’altro accorti di quanto Hollywood vada matta per le trasposizioni cinematografiche. Oramai si adatta di tutto: libri, fumetti, serie tv, altri film, giocattoli e persino attrazioni di parchi divertimenti. E quasi sempre con risultati più che soddisfacenti (ditelo ai vari cinecomic sfonda-botteghini). Ciononostante, esistono due media dinnanzi ai quali gli Americani paiono trovarsi sempre in difficoltà: uno è il videogame (di cui ho già parlato), l’altro il manga.
Negli ultimi tempi si sono visti parecchi tentativi di trasporre sul grande schermo alcuni dei più celebri fumetti giapponesi (e rispettivi anime). Ad oggi però solo Edge of Tomorrow (ispirato al manga All you need is kill) può dirsi completamente riuscito. Per quanto riguarda il resto, è meglio stendere un velo pietoso: si passa da Dragonball Evolution e Death Note, due film piacevoli quanto un calcio nei testicoli, a Speed Racer, visivamente splendido ma stupidissimo. Un po’ meglio è il caso di Ghost in the Shell, il quale, pur non catturando appieno la complessità dell’opera originale, rimane una pellicola tutto sommato godibile. Con Alita: Angelo della Battaglia siamo più o meno allo stesso livello.

Tratto dai primi quattro volumi dell’omonimo manga fantascientifico di Yukito Kishiro, Alita è il frutto di una lunga e travagliata gestazione, durata quasi due decenni. James Cameron, grande fan del fumetto, ha lavorato allo script fin dai primi anni del Duemila e per un po’ è stato sul punto di dirigerlo. Una volta però salpata la nave Avatar (e infiniti seguiti), l’autore di Terminator e Titanic ha preferito spostare l’attenzione altrove, lasciando la regia nientemeno che a Robert Rodriguez (sì, proprio quello di Sin City e Dal tramonto all’alba). Viste le personalità coinvolte, era lecito aspettarsi un mezzo capolavoro. Il risultato finale invece è… diciamo così così.

Partiamo dalle note dolenti. Malgrado la mano di Cameron, a livello narrativo Alita è abbastanza altalenante. L’aspetto che più mi ha irritato è il fatto che metà pellicola è un continuo spiegone. Con la scusa di introdurre la protagonista – una cyborg senza memoria trovata in una discarica e riportata in vita dal dottor Dyson Ido – al nuovo mondo che le si presenta davanti (il XXVI secolo, per la precisione), per buona parte del film gli altri personaggi non fanno altro che spiegare cosa è successo in passato, come si è arrivati alla situazione attuale, come funziona la società, cosa li spinge a compiere determinate azioni, e così via. Alla faccia del “mostra, non raccontare”!

Quando poi finalmente la vera storia inizia, essa non è del tutto all’altezza delle aspettative. Alita perde fin troppo tempo a preparare trame e sottotrame, per poi non riuscire a svilupparle a dovere. Pur non conoscendo l’opera originale, sono abbastanza sicuro che Cameron abbia fatto i salti mortali per riassumere il manga in un film di due ore, cercando al contempo di rimanere il più fedele possibile alla storia giapponese. Purtroppo il suo sforzo si traduce in una pellicola piena zeppa di svolte di trama affrettate, confuse (ma alla fine perché i cattivi vogliono Alita?) oppure basate su opportune coincidenze. Senza contare che molti elementi della storia sono lasciati in sospeso in vista di un eventuale sequel, che forse non vedremo mai. A meno che il film non si riveli un successo a sorpresa al box office, ma non ci conterei.
Tutto da buttare quindi? Non direi. Malgrado sia un autore affermato, stavolta Robert Rodriguez si limita a fare il compitino per conto di Cameron. La buona notizia è che lo fa benissimo. Il regista messicano dà il meglio di sé in particolare nelle scene d’azione, spettacolari e sorprendentemente violente per un film PG-13: tra decapitazioni, arti mozzati e mille altre mutilazioni corporali, se Alita non è vietato ai minori è soltanto perché le vittime sono quasi tutte cyborg! Particolarmente degna di nota è l’adrenalinica sequenza del Motorball, brutale sport del futuro (visibilmente ispirato al Rollerball dell’omonimo film) che a mio parere meriterebbe uno spin-off tutto suo.

Gli effetti speciali costituiscono un altro punto a favore della pellicola. Conoscendo la meticolosità di James Cameron su questo fronte, sarebbe stato alquanto difficile aspettarsi una CGI modesta. E infatti quella di Alita è davvero ottima. Se gli sfondi digitali, amalgamandosi perfettamente con le scenografie reali, riescono a dar forma ad una Iron City vitale e credibile, il vero miracolo si registra nella resa visiva dei vari cyborg. E qui bisogna per forza aprire una parantesi riguardo la protagonista.
Ammetto che, quando uscì il primo trailer, l’aspetto di Alita (realizzato interamente in computer grafica) mi fece storcere il naso. A lasciarmi perplesso erano soprattutto gli occhi, che trovavo non solo finti, ma addirittura inquietanti. Mi ha fatto perciò piacere scoprire che nella versione finale questo problema è stato decisamente risolto. La Alita del film è un personaggio vivo, realistico e straordinariamente espressivo. La CGI con cui è animata, lungi dal nasconderla, valorizza l’eccezionale prova d’attrice di Rosa Salazar (già vista ed apprezzata nella trilogia di Maze Runner), che presta i movimenti ad Alita attraverso la motion capture. Grazie anche alla sua performance, è praticamente impossibile non affezionarsi alla protagonista.

Lo spettatore è rapito dall’evoluzione di Alita nel corso del film. Dal momento in cui apre i suoi enormi occhi, la seguiamo con interesse mentre impara nuovamente a camminare, scopre i piccoli piaceri del cibo (arance e cioccolato su tutto), gioca per la prima volta al Motorball, conosce l’amore e si scontra con il sistema corrotto che governa la città. Ogni scoperta ha il sapore di un grande evento, fondamentale alla maturazione di Alita. Così la vediamo crescere e trasformarsi da ragazza ingenua e innocente, che cerca pian piano di “ricostruire” il proprio sé, a impavida guerriera, di cui ammiriamo la risolutezza e la sete di giustizia.
Si può dire che le mancanze della sceneggiatura siano compensate dalla passione con cui viene messo in scena il percorso di formazione di Alita. Un percorso attraverso il quale la cyborg impara gradualmente ciò che significa essere umani, e noi con lei. E in tale contesto, un ruolo di primo piano è ricoperto dai legami affettivi. Il rapporto padre-figlia che si instaura tra la protagonista e Ido (un convincente e inaspettatamente amorevole Christoph Waltz) è molto dolce e commovente, complice la splendida chimica tra i due attori.

D’altro canto, assume i toni di un tenero sentimento adolescenziale la storia d’amore tra Alita e Hugo (Keean Johnson), il giovane ladro di rottami a cui lei donerebbe il cuore (letteralmente!). Nucleo centrale della trama, la loro relazione riesce a essere emotivamente coinvolgente senza cadere troppo nello smielato. E questo nonostante lui fatichi a differenziarsi dalla tipica figura del teenager americano, risultando veramente interessante solo verso la fine.

In conclusione, Alita: Angelo della Battaglia non può essere considerato un film impeccabile, specialmente alla luce dei grossi nomi che stanno dietro la sua realizzazione. Una sceneggiatura imperfetta, un ritmo discontinuo e vari altri problemi – piccola nota: avrei preferito che la Chiren di Jennifer Connelly e il Vector di Mahershala Ali avessero un maggiore approfondimento – ne minano indubbiamente la qualità. Ciononostante rimane una pellicola gradevole e piena di cuore, con una protagonista carismatica, incredibili effetti speciali ed esaltanti sequenze d’azione.