Film

America oggi: di cosa parliamo quando parliamo di cinema, secondo Altman

Capita quel periodo dell’anno in cui è primavera / quasi estate eppure il meteo, in barba a ogni catastrofico annuncio di cambiamento climatico incipiente, decide di essere opprimente al punto che nemmeno citare Marty Feldman aiuta più, beh, ricordatevi che potrebbe comunque andare peggio. Potreste, per esempio, ritrovarvi in una desolante periferia del cosiddetto Nuovo Mondo, nei sobborghi di Los Angeles per la precisione. E fare la cameriera in un diner talmente squallido da andare oltre lo stereotipo, oppure prestare la vostra voce a telefonate hot per comprare i pannolini a vostro figlio, o ancora essere così ricchi e così annoiati da invitare a cena a casa vostra dei perfetti estranei. O tutte queste cose insieme. È quanto ci racconta Robert Altman in America oggi, capolavoro del 1993 noto in patria come Short Cuts: squarci su esistenze patetiche, grigie, sempre sul punto di deflagrare e allo stesso tempo ripiegate su se stesse.

Liberamente tratto da alcuni racconti di uno che più americano di così non si può, Raymond Carver, se lo avesse girato qualcun altro ne sarebbe uscito l’ennesimo affresco di personaggi white trash, magari bello, ma nulla nuovo. Invece, nelle mani di un maestro del racconto corale, America oggi diventa tutto: un omaggio alla letteratura, ma anche un modo per reinventarla; un film su intrecci di vite simili e allo stesso tempo profondamente individuali – sole, in una parola. Americanissimo, ma anche universale: perché, nel tratteggiare tutte le sfumature della miseria, si fa quasi filosofico.

E con un cast strepitoso: tra gli altri, una giovane Frances McDormand nei panni della separata fin troppo decisa a godersi la vita, come se ogni volta non fosse certa di divertirsi appieno; Annie MacDowell che gioca alla moglie raffinata e presto afflitta da un dolore inconsolabile; Julianne Moore ancora più raffinata, annoiata e profondamente infelice; Tim Robbins che invece raffinato non lo è affatto, ma è ugualmente e rabbiosamente inconsolabile; Jack Lemmon che mantiene lo sguardo acquoso e ironico a cui ci ha abituati, ma che in realtà di tenero ha ben poco; e un Tom Waits che, canzoni a parte, recita nel ruolo di se stesso.

Cosa succede in America oggi? Nulla e tutto: un poliziotto cerca invano di sfuggire a una famiglia opprimente eppure necessaria, una cameriera deve destreggiarsi tra un lavoro che non ama e un compagno alcolizzato, un bambino viene investito da una macchina, un pasticcere riesce ad essere malefico e umanissimo, una madre sedicente cantante deve fare i conti con una figlia ben più talentuosa e ben più triste, un medico convince suo malgrado la moglie ad ammettere un tradimento di tanti anni prima, un marito apparentemente pacifico sfoga la sua frustrazione su una ragazza ignara, un gruppo di pescatori scopre il cadavere di una donna, ma preferisce non cambiare i programmi del tanto agognato weekend.

Frammenti di vita di per sé insignificanti, ma che compongono un mosaico dolente: riversati nella metropoli, gli abitanti della periferia americana sembrano ancora più smarriti, apatici, decisi a non significare. E verrebbero presto dimenticati, se non ci fossero la penna di un Carver o la macchina da presa di un Altman ad immortalarli nel loro tragico torpore.

All’epoca Leone d’Oro a Venezia, America oggi fa proprio questo: riesce a rendere immortali storie che di per sé sarebbero – dovrebbero essere – dimenticate. Senza giudicarle e senza essere didascalico: semplicemente, racconta. In altre parole, quello che fa il grande Cinema.

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
Back to top button