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American Crime Story – Lo scandaloso “Caso O. J. Simpson”

Quando ho saputo che da una costola di American Horror Story sarebbe nata una nuova serie antologica intitolata American Crime Story e supervisionata da Ryan Murphy che avrebbe raccontato per ogni stagione un famoso caso giudiziario della cronaca americana contemporanea, ho subito rizzato le orecchie. E quando ho saputo che la prima stagione del neonato show sarebbe stata dedicata al Caso O. J. Simpson, ho cominciato a scodinzolare come un cane quando vede spuntare una cagnetta.

Perché il processo all’ex star del football americano iniziato nel 1994, passato alla storia statunitense come “il processo del secolo” (da noi invece con tale epiteto si indica il processo Andreotti, iniziato proprio nel 1994) ha rappresentato un vero e proprio turning point nel mondo dei media e dell’informazione, e rimane ancora oggi un tassello fondamentale della storia americana.

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Giugno 1994: Orenthal James Simpson, ex giocatore di football, attore e personaggio dalla popolarità smisurata, viene arrestato con l’accusa di duplice omicidio. Le vittime sono Nicole Brown, ex moglie di Simpson, e Ronald Lyle Goldman, nuovo compagno della donna. I due sono stati accoltellati ripetutamente e con inconsueta brutalità, tanto che la donna ha quasi la testa staccata dal collo a causa della profondità delle ferite.

Le prove che vengono raccolte contro Simpson sono schiaccianti e sembrano inchiodarlo sotto ogni punto di vista. Fottesega dei Mondiali di calcio, fottesega delle NBA Finals, in breve tempo in U.S.A. non si parla d’altro e l’opinione pubblica si divide in due, fra innocentisti e colpevolisti.

La popolazione si focalizza però fin da subito non tanto sulle prove, quanto su un altro aspetto della faccenda: O. J. Simpson è nero. In una società ancora sconvolta dalle rivolte scoppiate dopo il pestaggio subito da Rodney King, il caso O. J. rischia di essere la miccia in grado di far scoppiare una nuova sommossa della comunità nera americana, che da sempre, specialmente a Los Angeles, accusa le forze dell’ordine di atti di violenza e di razzismo nei confronti delle persone di colore.

THE PEOPLE v. O.J. SIMPSON: AMERICAN CRIME STORY - Pictured: Courtney B. Vance as Johnnie Cochran. CR: FX Networks

Era possibile, si chiedeva la comunità nera, che O. J. fosse solo una vittima di un complotto organizzato dai poliziotti bianchi del dipartimento di Los Angeles?

L’interesse per il caso è così incontrollabile che in breve tempo il processo si trasforma in un circo surreale, al limite del reality show. È Il primo, grande processo mediatico della storia, e sarà anche il caso che smaschererà definitivamente l’assoluta follia del procedimento giudiziario statunitense. Ma su questo punto torniamo più avanti.

Dopo aver letto questo breve riassunto, capirete quanto abbia significato il processo Simpson per la storia degli Stati Uniti. La serie si poneva pertanto l’obiettivo di offrire una riproduzione fedele e possibilmente imparziale di come andarono effettivamente le cose. Compito sicuramente non facile, vista la delicatezza delle tematiche in gioco.

Domanda: la prima stagione di American Crime Story riesce nel suo intento? Risposta: porcadiquellatroia.

Innanzitutto, la serie vanta un casting assolutamente perfetto. Ad interpretare O. J. Simpson viene chiamato il premio Oscar Cuba Gooding Jr. autore di una super prova che spero lo rilanci nel grande cinema, dal quale manca da troppo tempo.

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Robert Shapiro, avvocato della difesa, ha il volto di un John Travolta strepitoso e vulcanico come non si vedeva da tempo. Menzione speciale merita anche Sarah Paulson nel ruolo del Procuratore Distrettuale Marcia Clark, che assieme al collega Christopher Darden proverà a battersi contro l’inarrestabile deriva populista ed emotiva che spazzerà via il processo più importante della sua carriera. Il personaggio di Marcia è quello che più di tutti suscita sincera empatia e commozione, poiché è l’esempio di una donna giusta ma sola contro un mondo impazzito.

Fra gli altri, la serie ripesca dal dimenticatoio anche David Schwimmer, il Ross dell’indimenticabile Friends, chiamato ad interpretare Robert Kardashian, avvocato ed amico d’infanzia di O. J. Simpson.

Il sentimento che più mi ha pervaso durante i 10 episodi di questa prima stagione è stato lo stupore. O meglio, la totale incredulità a ciò a cui stavo assistendo. Incredulità superata solo da quella che ho provato quando, informandomi sui fatti, ho scoperto che tutta la serie è fedele a livelli maniacali rispetto agli avvenimenti reali che caratterizzarono il processo.

Da qua in poi si parlerà del finale del processo e della serie, quindi proprio SPOILER come se non ci fosse un domani. Se invece già conoscete la vicenda di O. J., potete stare tranquilli.

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Riepiloghiamo brevemente le principali prove a sostegno dell’accusa:

  1. Tracce del sangue di Nicole trovate all’interno della macchina di O. J.;
  2. Il ritrovamento nella proprietà di Simpson di un guanto di pelle, sporco del sangue di O. J. e delle vittime, e il cui gemello fu ritrovato a casa dello stesso O.J.;
  3. Testimoni oculari che invalidavano l’alibi di Simpson;
  4. Reiterati episodi di violenza domestica subiti da Nicole Brown da parte di Simpson nel corso degli anni;

Prove schiaccianti, alibi ridicolo, movente. In una parola: colpevole. Tutti lo sapevano, e tutti lo sanno anche oggi (tanto che, in sede civile, Simpson è stato condannato ad un risarcimento di 67 milioni nei confronti delle famiglie delle vittime), ma alla fine O. J. riuscì a farla franca. Com’è possibile?

Per capire quanto sia folle il sistema giudiziario statunitense, date una letta alle parole dell’ex magistrato Bruno Tinti:

Negli Stati Uniti c’è la giuria, cioè cittadini che di leggi e diritto non sanno nulla e che decidono in base alle impressioni suscitate in loro nel corso del processo. Un avvocato celebre, elegante, suadente, intelligente li convincerà più facilmente di un avvocato sciatto, rozzo, approssimativo, antipatico. Ma come si presentano, come sono i due avvocati, quello dell’accusa e quello della difesa, non ha nulla a che fare con la tesi che sostengono, non ha nulla a che fare con l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato. E infatti negli Stati Uniti le carceri sono piene di innocenti (anche per via di altri strumenti processuali che qui non sto ad analizzare); e soprattutto per via del fatto che i poveri certo non possono permettersi difese in grado di contrastare il PM (che lì si chiama Procuratore Distrettuale). Il PM ha mezzi tecnici, economici e di personale (la Polizia della sua città, l’FBI, la DEA, i consulenti tecnici del suo ufficio) che la difesa si deve pagare. E che si fa se l’imputato non ha soldi? Niente si fa, si difende come può e non l’aiuta nessuno.

In pratica negli U.S.A. funziona così: a meno che non ci sia uno “smoking gun”, cioè un reato colto in flagrante, le prove non contano praticamente nulla. L’unica cosa importante è convincere della propria tesi la giuria, composta da gente totalmente estranea al diritto, e di conseguenza potenzialmente influenzabile.

Ed è proprio questo che ha permesso alla difesa di avere clamorosamente la meglio nel processo O. J. Simpson.

THE PEOPLE v. O.J. SIMPSON: AMERICAN CRIME STORY "The Dream Team" Episode 103 (Airs Tuesday, February 16, 10:00 pm/ep) -- Pictured: (l-r) Cuba Gooding, Jr. as O.J. Simpson, Courtney B. Vance as Johnnie Cochran. CR: Byron Cohen/FX

Il Dreamteam di avvocati difensori, composto da personalità di grande notorietà e di rilievo mediatico, attaccò ogni singola prova portata dal Procuratore Distrettuale, cercando di distogliere l’attenzione della giuria dal quadro generale, che vedeva Simpson palesemente colpevole. L’obiettivo della difesa era instillare nei giurati il dubbio che O. J. fosse stato vittima di un immenso complotto a sfondo razziale da parte della polizia di Los Angeles. Non era importante provare quel complotto, ma far balenare nella mente dei giurati la possibilità che questo potesse effettivamente essere esistito, in modo che non potessero affermare che Simpson era colpevole “oltre ogni ragionevole dubbio”.

Il tutto si può riassumere in una frase emblematica di Johnnie Cochran, principale avvocato della difesa, interpretato da Courtney B. Vance: “non contano le prove, quanto la nostra abilità di raccontare una storia: se la nostra storia sarà più convincente di quella dell’accusa, avremo vinto noi“.

Bella roba eh la giustizia made in U.S.A.?

Tutto ciò è splendidamente raccontato dalla serie che è semplicemente perfetta in tutto, che sia la recitazione, la scrittura dei dialoghi e delle scene, il montaggio e la regia. Ogni personaggio riesce ad avere il suo spazio e la sua profondità all’interno della storia, e da ogni puntata si potrebbero trarre ore ore di dibattiti a sfondo morale e giuridico.

Una serie che appassiona ed intriga ad ogni episodio, nonostante praticamente tutti gli spettatori sappiano già come andrà a finire la vicenda. Una serie che è pura cultura sia per quanto riguarda il passato, in quanto si focalizza su un caso così importante per il mondo mediatico e processuale contemporaneo, sia per quanto riguarda il presente, perché analizza perfettamente le follie di un Paese che non finirà mai di stupire per le sue infinite contraddizioni.

Inoltre, visto che sul nostro sistema giudiziario si spala sempre merda a sproposito, è utile ogni tanto dare un’occhiata a come se la passano gli altri. Specialmente quelli che vogliono esportare la democrazia.

P.S. la seconda stagione di American Crime Story è già stata confermata e tratterà dei disastri portati dall’uragano Katrina a New Orleans. Personalmente, non sto già nella pelle.

THE PEOPLE v. O.J. SIMPSON: AMERICAN CRIME STORY “The “Verdict” Episode 110 (Airs Tuesday, April 5, 10:00 pm/ep) -- Pictured: (l-r) Nathan Lane as F. Lee Bailey, David Schwimmer as Robert Kardashian, Cuba Gooding, Jr. as O.J. Simpson, Courtney B. Vance as Johnnie Cochran, John Travolta as Robert Shapiro. CR: Prashant Gupta/FX

Ricordatevi di fare un salto su American Crime Story Italia e su Il caso O.J. Simpson: American Crime Story!

Roberto Lazzarini

25 anni, cresciuto fin dalla tenera età a film, fumetti, libri, musica rock e merendine. In gioventù poi ho lasciato le merendine perchè mi ero stufato di essere grasso, ma il resto è rimasto, diventando parte di quello che sono. Sono alla perenne ricerca del mio film preferito, nella consapevolezza che appena lo avrò trovato, il viaggio ricomincerà. Ed è proprio questo il bello.
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