Film

Amour: la senilità secondo Michael Haneke

A cosa pensate quando sentite parlare di amour, amore, di solito? A coppie belle e fresche strette in un abbraccio con un tramonto sul mare a fare da sfondo, scommetto. O a ragazzi in pigiama accoccolati su un divano con una tazza di cioccolata, quando volete discostarvi dal cliché. In ogni caso, a persone giovani: la vecchiaia non è contemplata nel quadretto idilliaco che questa parola evoca. Al limite, si può pensare a dei nonnini simpatici, quelli che aprivano Up, tanto per intenderci; ma mai ad anziani malati, arrabbiati, spaventati. “Gli eroi son tutti giovani e belli”, cantava Guccini: ed il cinema nella maggior parte dei casi si attiene fermamente a questo principio. Per fortuna che nel 2012 è arrivato Michael Haneke a ribaltare il senso comune: con Amour, un film che più mitteleuropeo non si può – trattasi di una coproduzione tra Francia, Austria e Germania, e i temi trattati sembrano urlare con tutta la loro forza la loro provenienza.

coppia

Anne (Emmanuelle Riva) e Georges (Jean-Louis Trintignant) sono una coppia agée, colta e benestante: entrambi insegnanti di musica in pensione, amano deliziarsi con letture e concerti. La loro vita sembra un perfetto viale del tramonto: le ambizioni e le frenesie sono ormai pacificate, la realizzazione professionale e personale è completa – la loro unica figlia, una Isabelle Huppert di rara intensità, vive all’estero con la famiglia -, e il tempo restante sembra finalmente davvero a loro disposizione.

figlia

Ma la malattia si annida, spietata e pronta a colpire: e così una sera, di ritorno da uno dei tanti spettacoli, Anne si sente male. E non un malore qualsiasi: un ictus che la renderà sempre più apatica e dipendente dal marito. Fino all’atto finale: un gesto sublime, inteso nel suo senso originario, perfettamente in bilico tra devozione assoluta e totale esasperazione.

lei

Dopo Il nastro bianco, Michael Haneke supera sé stesso: Amour è un affresco lucido e crudele di come possono diventare gli ultimi anni di vita, della solitudine che li può pervadere, della rabbia sorda che si può provare di fronte a tanta impotenza. L’amore è qui inteso nel suo senso più ampio: l’affetto, il calore, ma anche la noia e le tensioni dei tanti anni trascorsi insieme. L’ultima immagine del volto di Anne è la sintesi perfetta di tutti questi sentimenti: estenuata, innamorata, implorante. Ed in nome dell’esistenza trascorsa insieme, a Georges non resta che quell’unico, definitivo passo da compiere.

finale

Le interpretazioni dei protagonisti sono impeccabili, così come la fotografia e il ritmo della narrazione: lento, come lente sono le giornate dell’autunno della vita, ma incessante, proprio come quei giorni. Molti critici hanno visto in Amour una feroce critica sociale, uno schiaffo a questo mondo che non accetta la vecchiaia, che nel migliore dei casi non se ne occupa e nel peggiore la nega.

divano

Tuttavia, mentre si guarda alla storia di Anne e Georges non è la denuncia dell’ipocrisia della società a saltare all’occhio: Amour sembra, semplicemente, il racconto di due vite, della frustrazione dei loro ultimi anni, ma anche dell’alleanza indissolubile che le lega. Nella gioia e nel dolore, in salute e in malattia, finché morte non vi separi. Insomma: il racconto, crudo e sincero, di un amore.

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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