Avete presente il vostro amico cagacazzo che, dall’alto della sua cinefilia (o era cinofilia?), vi elargisce conoscenza su ogni aspetto del film che state guardando assieme? Perché lui già l’ha visto con il commento audio del piastrellista di casa del fonico, quindi sa esattamente come tutto è stato fatto. Bene, durante la lettura di questo articolo il vostro amico cagacazzo sarò io. E qui mi immagino la maggior parte di voi che va a cliccare quella bella “x” in alto a destra e via in scioltezza a vedersi un porno, che fa sicuramente meglio.
Ma gli amici veri restano, vero? Anche perché un minimo di curiosità dovete averla, dato che ho scovato una decina di errori di edizione commessi da grandissimi registi in altrettanti film. Oh, nessuno è perfetto, nemmeno i più insospettabili. Sul come li ho scovati invece non posso dirvi di più, segreto professionale, lo capite anche voi.
Che dite, cominciamo subito? Altrimenti viene lunga. Però fate così: mettete a caricare il porno, così quando avete finito di leggere è bello pronto e potete saltare subito alle parti che vi interessano. Quelle dove parlano, ovviamente.
Ah, ultima premessa: non è assolutamente una classifica, quindi li ho messi in ordine cronologico per comodità. Il mio disturbo ossessivo compulsivo sta alzando il pollice in segno di approvazione.
Pronti? Via che si va con i dieci piccoli errori di edizione in grandi film.
La bottiglia girata (Orizzonti di gloria, Stanley Kubrick, 1957)
Ebbene sì. Paradossalmente ho cominciato proprio con lui, l’insospettabile per eccellenza: Sua Santità Stanley Kubrick. Non urlate allo scandalo, evidentemente era umano pure lui. Perché in quel capolavoro (ma quale suo film non lo è) di Orizzonti di gloria c’è una scena che presenta un piccolissimo errore di edizione. Due soldati, tra cui Ferol (Timothy Carey), sono nella tenda del tenete Roget (Wayne Morris) che sta sorseggiando del… Martini? Qualunque cosa sia, da un’inquadratura all’altra la bottiglia si sposta un po’ senza essere stata toccata, rivelando gran parte dell’etichetta. Voi mi direte che è una scemata, ed è vero, ma provate a spiegarlo alla segretaria di edizione di Kubrick. Indossare il cilicio per un anno non sarà stato poi così comodo. Scherzo Stanley, erano due gli anni.
La macchina esplosa (L’infernale Quinlan, Orson Welles, 1958)
Uno dei piani sequenza più belli di tutta la storia del Cinema. Welles aggancia l’ansia dello spettatore allo schermo mentre segue una macchina nella quale ticchetta una bomba, facendoci sobbalzare ogni attimo non sapendo quando il timer segnerà lo zero. Poi succede: l’auto salta letteralmente in aria avvolta dalle fiamme. Il nostro protagonista Mike Vargas (Charlton Heston) si lancia verso il luogo dell’esplosione, solo per trovare la macchina… su un lato? Ma che, davvero? Eppure era caduta su tutte e quattro le ruote. Orson, ok che avevi l’incazzatura facile, ma odiavi già così tanto la produzione da spostare la macchina con il pensiero? Che poi, visto come ti eri ridotto (purtroppo), magari ti è bastato un rutto. Ho già sbeffeggiato due mostri sacri del Cinema, l’inferno mi aspetta. Ma gli errori di edizione non perdonano.
La camicia a righine (Il padrino – Parte II, Francis Ford Coppola, 1974)
Io ve l’avevo detto che erano dieci piccoli errori di edizione in grandi film. Nessuno è al sicuro. Nemmeno Coppola, che sa benissimo di averla fatta grossa piccola. Perché nella seconda parte della sua trilogia mafiosa si sono persi una camicia. E non una camicia qualsiasi, ma quella di Hyman Roth (Lee Strasberg). La scena in questione è a Cuba, quando le famiglie si spartiscono casinò, alberghi e quant’altro. Il capitalista ebreo dimostra la sua fede juventina… con due camicie diverse. Sì perché da un’inquadratura all’altra cambiano righe, colletto e bottoni. Fateci caso, la differenza è minima. Il motivo? Coppola ha spiegato che quella scena è stata estenuante come numero di giorni per girarla e, quando hanno dovuto rifarne una parte, quella camicia non si trovava più. Nel panico più totale un povero cristo dei costumi si è messo a disegnare tutte quelle linee con un pennarello nero. Coppola l’avrà sicuramente perdonato, dopotutto sei Oscar valgono una camicia persa, no?
Il carrello finale (Lo specchio, Andrej Tarkovskij, 1975)
Se volete un film che sia poesia pura allora Lo specchio è quello che fa per voi. Poi dovrete riguardarlo almeno altre ventisette volte per capirci qualcosa, ma non è quello il punto. Perché Tarkovskij imprime su pellicola tutto il suo amore per il Cinema, emanando suggestioni sensoriali tramite le sue immagini. C’è un però, una leggera sbavatura finale. Perché proprio nella chiusa del film, con la macchina da presa che si inoltra a ritroso negli alberi immergendosi nel buio della natura, ecco che appare un binario del carrello. È lì, non ci si può fare niente. Qualcuno sarà sicuramente finito in un gulag per questa gaffe (semicit.).
Le foche diverse (Gli ultimi fuochi, Elia Kazan, 1976)
L’addio al mondo del Cinema di Elia Kazan è uno struggente omaggio alla Settima arte, una storia metacinematografica retta da uno splendido De Niro, un ultimo inchino alla sala. Ma noi qui cerchiamo gli errori di edizione come maiali nel fango, quindi chissenefrega della poesia. Il produttore Monroe Stahr (De Niro) e Kathleen Moore (Ingrid Boulting) si stanno bevendo un drink sulle spiagge della California. Nel bar c’è una simpatica foca che va a salutare i due avventori. Peccato che, una volta tornata sulla sua sedia, sia cambiata radicalmente. Niente più striature o macchie, pelo più lucido e uniforme. Sono palesemente due foche diverse. Oh, magari la prima sapeva solo scendere e la seconda solo salire, che ne sappiamo.
La Coca-Cola (o era Pepsi?) birichina (Velluto blu, David Lynch, 1986)
Caro David, tocca pure a te. Che poi con tutta la follia che permea i tuoi film magari quelli non sono nemmeno errori di edizione. Erano voluti, perché la Loggia Nera eccetera eccetera. Non divaghiamo, qua non si parla di ragazze morte imbustate. Siamo in Velluto blu, scena iniziale con la macchina da presa che scava nel terreno, quartiere apparentemente lindo e pinto, una pistola che prima o poi sparerà, un orecchio mozzato. Insomma, Lynch. Fatto sta che Dale Cooper Jeffrey Beaumont (Kyle MacLachlan) e Sandy Williams (Laura Dern) sono ad un diner, intenti a progettare l’irruzione nell’appartamento della Rossellini. Il problema è che Jeffrey non tocca la sua bibita durante la conversazione, mentre il ghiaccio sparisce e la bevanda si riempie da sola. Pure la cannuccia cambia lato da un’inquadratura all’altra. David, ti perdono dai.
La maschera facciale rapida (I protagonisti, Robert Altman, 1992)
Lasciamo perdere per il momento quanto I protagonisti sia un dannato capolavoro. Non è facile, ma ci proviamo. Perché nemmeno Altman sfugge agli errori di edizione. La storia del film è quella di Griffin Mill (Tim Robbins), produttore cinematrografico perseguitato da lettere minatorie. Nelle sue varie peripezie incontra una graziosa donzella, June (Greta Scacchi), della quale non vi dirò il cognome (chi sa, sa). Comunque, i due se ne vanno a fare i fanghi in qualche spa californiana. Griffin si infila nella terrosa vasca con la faccia spalmata di quelle robe che mi fanno venire l’orticaria. Il piccolo problema è che la maschera si asciuga troppo in fretta, perché da un’inquadratura all’altra naso e bocca sono già secchi. E no, non è passato del tempo nonostante lo stacco, perché nel mentre la voce fuori campo di un cameriere gli annuncia che c’è una telefonata per lui. Gioco, partita, incontro, caro Robert.
Il sanguinamento precoce (Braveheart, Mel Gibson, 1995)
Va bene, va bene, cercare gli errori di edizione in Braveheart è come sparare alla croce rossa con le gomme a terra. Però oh, è comunque un film della madonna che ancora mi causa brividi alla spina dorsale, dovevo prenderlo un po’ in giro. La scena in questione è la celebre alzata di kilt seguita da chiappe volanti (mooning, se vogliamo essere precisi), prima della battaglia di Stirling. Il piccolo problema è che il povero cristo ritratto nel fotogramma sanguinava già prima che la freccia gli facesse un secondo ano non funzionante. Cioè, il sangue è pure già raggrumato sulla gamba. Non si fa Mel, non si fa mica, poi noi spettatori perdiamo la sospensione dell’incredulità e libertàààààààà!!!
La spada magica (Il gladiatore, Ridley Scott, 2000)
Anche qui vale lo stesso discorso per il Cuore impavido di prima. Errori di edizione a profusione. Brutta rima, scusate. Ridley, non me ne volere, ma questo è uno sfondone bello e buono. Massimo Decimo Meridio ha appena ammazzato con giuoia l’ultimo gladiatore nemico durante la rievocazione della battaglia di Zama. La macchina da presa lo segue da dietro mentre brandisce con la mano sinistra il gladio insanguinato. Fatta una bella giravolta a 360 gradi per sboronare con la folla, ecco che riappare di fronte alla macchina con la spada appena uscita di fabbrica e nella mano destra. Spettacolo.
Sam, sai dov’è la mia cicatrice? (Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re, Peter Jackson, 2003)
Io vi giuro che queste scene rischiano ancora di farmi piangere. Non posso portare l’Anello per voi, ma posso portare voi! Da ripetere all’infinito. Prendo un attimo un fazzoletto e torno. Comunque, Sam e Frodo sono sul Monte Fato e la cicatrice del caro Baggins è sulla sinistra del suo volto. Poi Gollum attacca i due hobbit e magicamente cambia lato del viso (e pure un po’ forma già che ci siamo). Si vede perfettamente quando Frodo sta per (non) lasciar cadere l’Anello. Edoardo, ma è l’invisibilità delle cicatrici, dai! Ma certo, ma certo.
Bene gente, se siete stati così folli da arrivare fin qui avete vinto un mappamondo. Potete ritirarlo l’anno scorso, bravi tutti. Basta errori di edizione per un po’. Cioè fino al prossimo film che guardo, maledetto me. Voi invece non fate i cagacazzo come il sottoscritto, vivetela semplice che non fa mai male e… oddio, le lezioni di vita da Pomeriggio 5 no, finiamola qui.
Ciao belli.