
Angoscia, una brutta traduzione per un elegantissimo thriller del 1944
Mamma, 2002 circa: “Dai, vediamo Angoscia!”
Io, in piena fase Harry Potter e Disney Channel: “Figurati se guardo un film con un titolo del genere!”
Chi ha vinto secondo voi? Ça va sans dire lei, la dittatrice cinematografica di casa.
E ancora una volta ci ha preso, la vecchia (sì ok, la matura) volpe. Ma vi giuro che il titolo italiano è una pessima traduzione di quello originale, ovvero Gaslight. Dopo vi spiegherò perché.
Paula/Ingrid Bergman, nipote di Alice Alquist, celebre cantante lirica, si trasferisce in Italia da Londra dopo l’omicidio, rimasto insoluto, della zia: qui conosce un pianista squattrinato Gregory Anton/Charles Boyer, e lo sposa.
La giovane non ha ancora elaborato il lutto per la morte dell’amata zia: ciononostante il novello sposo la convince a tornare a vivere nella bella villa londinese e di nascondere in soffitta tutti gli effetti che le possano ricordare Alice.
Tutto sembra andare bene finché Paula non inizia a comportarsi in modo strano: perde gli oggetti, li sposta senza ricordarsi di averlo fatto, sente dei misteriosi passi in soffitta e quando questo succede, le sembra di vedere la luce a gas affievolirsi.
Si convince anche che la sprezzante cameriera, Nancy/Angela Lansbury, la consideri pazza: preoccupato per gli atteggiamenti maniacali della moglie, Gregory le vieta di uscire di casa.
Il fatto che Paula sia tornata a Londra però non sfugge al giovane investigatore Brian Cameron/Joseph Cotten, conosciuto ad una serata di società: ammiratore della cantante defunta e insospettito da ciò che vede, si decide a riaprire il caso Alquist, la cui soluzione è più vicina di quanto si pensi.
Angoscia è un raffinato thriller psicologico del 1944, diretto da George Cukor (The Philadelphia Story, My Fair Lady), regista noto per le commedie brillanti: qui invece si approccia al giallo e riesce a ottenere un risultato davvero eccellente.
Ma non è solo il regista a dar lustro a questo grande classico: c’è il cast, tra cui ovviamente la meravigliosa, strabiliante, fantastica Ingrid Bergman (la AMO), che fluttua per le stanze avvolta in ingombranti abiti con le maniche a sbuffo, con un’espressione eternamente allucinata che le frutta il primo Oscar della sua carriera.
Tremebonda, diafana, tormentata dal terrore della pazzia, alla mercé di un marito che adora ma che la considera una squilibrata, in un’epoca in cui le donne sono viste come bamboline fragili e inclini alle intemperanze per costituzione.
Già, il marito: Charles Boyer, non bello in modo convenzionale ma elegante, dai modi impeccabili, come il suo personaggio, un uomo raffinato e pieno di segreti. Coniuge perfetto o bugiardo perfetto? Chissà.
Ottimo Joseph Cotten, qui nel ruolo di poliziotto-salvatore. Come Boyer, un attore ingiustamente dimenticato dalla nostra generazione, eppure appare anche in Quarto potere, tanto per dirne uno, mica in una telenovela argentina.
Angoscia è anche il trampolino di lancio della nostra adorata Angela Lansbury, che grazie a Nancy e alla sua faccia da schiaffi – ragazzi, io ve lo dico: dimenticate Jessica Fletcher, Pomi d’ottone e manici di scopa o Mrs. Bric, in questo film è splendidamente odiosa – si guadagna la prima nomination all’Oscar.
Tirando le somme, perché consiglio Angoscia?
- È un giallo ben congegnato: non tanto perché sia difficile trovare la soluzione al caso ma per come si dipana l’intreccio, di stampo teatrale più che cinematografico, e il ruolo che ha in esso la pazzia, quasi una protagonista come i personaggi in carne ed ossa.
- George Cukor è un grande regista, noto per la grandissima attenzione che presta all’attore e, soprattutto, all’attrice. Non a caso è soprannominato “il regista delle donne”, teso com’è a valorizzare l’interprete femminile.
- Il cast, che ho già elogiato ma che è davvero ben amalgamato: alla tragica Paula fa da contraltare la volgarotta Nancy, all’impeccabile Gregory si contrappone lo scanzonato Brian.
Dimentico qualcosa?
Ah già, perché la traduzione del titolo è orrenda: beh, non posso dirvi di più per non rovinarvi la visione ma vi butto lì che in psicologia il termine gaslighting, ossia il far dubitare un’altra persona della propria sanità mentale attraverso dei “dispetti”, ha origine proprio da questo film.
A buon intenditor…