Noi del MacGuffin abbiamo visto Searching (thriller, 2018) in anteprima al Giffoni Film Festival, e lo abbiamo commentato con l’unico e inimitabile salvatore, ovvero il grande, necessario, si può dire anche filantropo moderno, Salvatore Aranzulla, presente alla Masterclass Classic durante la proiezione del film.
Ma procediamo con ordine.
Non so a voi, ma a me è successo parecchie volte di essere svegliata in piena notte da mia madre che tutta concitata mi chiedeva di visualizzare l’ultimo accesso su WhatsApp di mia sorella perché si era fatto tardi e ancora non era tornata a casa.
No, davvero. Li avete mai visti i vostri genitori su Facebook? Come scorrono i vostri amici e pigiano insistentemente sulla foto profilo di chicchessia per analizzare una faccia troppa ubriaca/strafatta, tatuata/impertinente? L’avete notata quell’ansia che li assale quando cercano di capire se il tizio che vi ha taggato nella foto ha tra le dita una signora canna invece che una sigaretta? E le 32 chiamate senza risposta alle 2:40 del mattino? Le avete mai ricevute da vostro padre in mutande mentre voi magari eravate già a letto da un’ora ma quello era in stato troppo apprensivo cronico per “sentirvi rientrare”?
Bene, Margot ha un padre così, ma lei fa parte di un film, per cui doveva sparire sul serio per giustificare l’ardore da detective che ogni bravo papà ha il terrore ma sogna di fare nel corso della sua carriera da genitore. Niente viaggi transoceanici, pistole e cazzotti, questa è una storia che non ha niente a che fare con Liam Neeson (motto “io vi troverò” a parte). In Searching il padre che cerca la figlia scomparsa lo fa a suon di tastiera, webcam, cronologia, iMessage e FaceTime.
Non fatevi fuorviare dalla locandina: non è un film horror e quello non è un richiamo a Paranormal Activity. Semplicemente è un padre che mentre dorme riceve una chiamata persa della figlia, ma quando la richiama lei non risponde più. Quello che conta davvero invece è quell’hashtag #trovaMargot, che tanto fa pensare a Chi l’ha visto? e compagnia bella.
Searching (nelle sale italiane dal 18 ottobre e distribuito da Warner Bros Entertainment Italia) è il film d’esordio di un giovanissimo regista, Aneesh Chaganty, che a soli 25 anni ha messo su un prodotto davvero interessante e che ha convinto con enorme entusiasmo i Giffoners della Masterclass.
Girato dalla prospettiva degli smartphone e delle webcam, si dimostra coraggioso non solo per la scelta (riuscitissima) di mostrare allo spettatore la realtà dalla prospettiva dell’occhio digitale (il voyeurista per eccellenza che ci guarda ogni santissimo giorno), ma anche perché mentre ce lo mostra ci sbatte in faccia ormai chi e come siamo diventati. La tecnologia, spiega anche Aranzulla in sala, ha cambiato del tutto le nostre vite. Le ha peggiorate? Può darsi. Le ha migliorate? Dipende. Qui, per esempio, il protagonista cerca di trarne i vantaggi durante la ricerca disperata della figlia, grazie alla scoperta della vita nascosta della stessa, rovistando tra le cartelle sulla sua scrivania virtuale, quel desktop di un computer che durante il procedere del film si incasina sempre di più con le “scartoffie” che il detective di una volta avrebbe tenuto appallottolate sulla sua scrivania reale.
E allora scattano le domande: quante tracce lasciamo di noi stessi sul web? Quanto davvero si conoscono i propri figli? Cosa si nasconde dietro un like? Cos’è una confidenza, un’amicizia, un rapporto intimo con qualcuno? Perché spesso sono gli sconosciuti a conoscere i nostri momenti di buio, a capire quando siamo tristi, e perché chi ci ha visto crescere non ci ha visto cambiare, anche solo semplicemente umore?
L’opera è raccontata in maniera assolutamente verosimile – commenta Aranzulla – questo film mi ha colpito per la sua aderenza ai lati oscuri dell’universo tecnologico, alle problematiche che potrebbero insorgere a causa di un utilizzo non consapevole dei social e dell’informatica.
Continua Oscar Cosulich, presente in sala insieme a Salvatore Aranzulla, Il sogno del Grande Fratello della schedatura di massa si sta avverando, solo che a schedarsi sono gli schedati stessi.
Possiamo citare diversi film girati dal punto di vista della macchina, dal fortunato caso di The Blair Witch Project, a Paranormal Activity, sino a Unfriended, molto più simile per la scelta ad esempio di consegnare allo spettatore le immagini spiate direttamente dalla webcam durante l’interazione sociale tra i protagonisti.
Ma è con la storia di David e del suo #trovaMargot che questa tipologia di sguardo sembra funzionare di più. Se il genere Horror mantiene il senso paranoico e inquietante dell’essere spiati, qui, un plot sulla ricerca e l’investigazione può convincere ancora di più, quanto meno per la credibilità connessa al senso assolutamente realistico della vita in diretta, fino a dimenticare che stai guardando un film, tanto sei abituato a guardare la realtà attraverso il tuo computer. Programmi tv sulle persone scomparse, streaming su commemorazioni e addirittura funerali, commenti necrologi, confidenze e sfoghi sui social, numeri di telefono googlati e vita morte e miracoli cercati e sputtanati sul web, fanno del genere thriller investigativo il più adatto, forse, ad essere rappresentato con questa coraggiosissima tecnica (#trovaLauraPalmer, immaginatevi Twin Peaks girato in quel modo).
Nel nostro contesto sociale della perenne diretta, infatti, possiamo ammettere che Searching non poteva essere guardato (e apprezzato) che in questo cazzutissimo modo.