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Anthony Hopkins, giù il cappello

TUTTA LA NOSTRA RIVERENZA IN UNDICI PARAGRAFI

Illustrazione principale di Giulia Faconti (Instagram: @__pech)

Sarà un po’ banale, sarà un po’ scontato, ma è davvero impossibile scindere l’immagine di Hannibal Lecter da quella di Anthony Hopkins. Essere per sempre associati al proprio personaggio più iconico rimarrà la croce di ogni attore, ma in questo caso per noi è un punto di partenza, un primo mattone verso la scoperta di una figura fantastica che si è aperta la strada nel mondo del cinema facendo tutta la gavetta.

Sì, perché il Sig. Hopkins nasce in un sobborgo del Galles meridionale, non certo una zona fertile per chi vuole fare della settima arte la propria ragione di vita, e si fa spazio a gomiti larghi iniziando a recitare con i suoi coetanei, venendo ammesso prima al Welsh College of Music and Drama, poi, dopo il servizio militare, alla prestigiosa Royal Academy of Dramatic Art.

Tornando all’impersonificazione di Hannibal Lecter, il successo planetario ottenuto con Il silenzio degli innocenti ha forse oscurato quella che è la profonda immedesimazione che Hopkins ha sempre raggiunto nel cimentarsi in precedenza nei ruoli più disparati. Basti pensare al dr. Frederick Treves in The Elephant Man, o all’ammiraglio William Bligh ne Il Bounty

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Anthony Hopkins in The Elephant Man – David Lynch, 1980

Ma è proprio con Hannibal Lecter che tutta la sua musicalità viene fuori. Un personaggio che come lui, nelle dovute proporzioni, si è fatto largo partendo dal basso nella società d’élite, dal tatto raffinato e dal profondo carisma. La vita di Hopkins è sempre stata legata a un immaginario pentagramma, sin quando da ragazzino iniziò a imparare a suonare il pianoforte da solo e a farsi notare per l’innato senso per il ritmo, tanto che qualcuno parlò addirittura di orecchio assoluto (cosa pertanto smentita dal diretto interessato in età adulta).

Della sua performance ha un vivido ricordo Jodie Foster, che in una recente intervista ha dichiarato: “Non ho mai parlato con lui perché era troppo spaventoso. Dal primo all’ultimo giorno delle riprese non ho mai voluto parlare con lui, ero pietrificata. Siamo arrivati alla fine delle riprese senza avere una mai avuto una conversazione. L’ultimo giorno lui è venuto da me e con le lacrime agli occhi sono riuscita a confessargli le mie paure“.

Per questo resta davvero difficile scindere quella che è l’essenza più pura della sua interpretazione del dottore, con un codice di condotta morale altamente singolare tanto quanto rigido. Ed è proprio la morale a essere tema ricorrente in tante altre sue pellicole, come ad esempio Amistad e Il caso Thomas Crawford.

Anthony Hopkins ne Il caso Thomas Crawford - Gregory Hoblit, 2007
Anthony Hopkins ne Il caso Thomas Crawford – Gregory Hoblit, 2007

Con l’avanzare degli anni, la mimica facciale di Hopkins è cambiata, rivelandosi al pubblico come un attore completamente nuovo, in grado di fare tesoro dell’età e di abbinare autorità al classico faire du gringue che, per qualche ancora sconosciuto (ma non così tanto) motivo, fa presa su donne molto più giovani.

Vita privata, palcoscenico e set, tutto nelle giuste misure in una carriera che fino ad oggi si è dimostrata tra le più fruttifere dell’intera linea storica hollywoodiana. Tra le mille sfaccettature di una personalità altamente complessa fa sicuramente effetto la grande cultura e l’incredibile numero di interessi e passioni che il nostro buon vecchio Sir Philip Anthony è riuscito a coltivare in parallelo alla vita da attore.

Per inquadrare ancora di più il personaggio è sufficiente pensare al titolo di Baronetto, conferitogli ormai 23 anni fa, che sette anni più tardi entrò in collisione con il ricevimento della cittadinanza americana. Come è possibile che un idealistico Sir come lui si sia spinto ad abbracciare l’essere Yankee? Shock per l’intero Regno Unito.

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Per concludere, ci teniamo a raccontarvi un episodio della vita di Anthony Hopkins, perfetta metafora della straordinaria carriera di uno straordinario attore. Vi abbiamo detto come il piccolo Tony fosse bravo con il pianoforte, come la sua passione e il suo talento per la musica fossero già limpidi in tenera età. Beh, nel 2011 André Rieu, celebre violinista olandese, ricevette una proposta da una apparentemente sconosciuta ammiratrice.

Quell’ammiratrice si rivelò essere la Sig.ra Hopkins, Stella Arroyave, che stupefatta dal lavoro del marito decise di sottoporre all’attenzione del maestro una sua composizione del 1964: And the Waltz Goes On. Il tutto è sfociato in un album registrato in studio e diverse esibizioni dal vivo, tra cui una in particolare, in cui Anthony Hopkins, presente in platea, non può far altro che commuoversi. A voi la parola, passo e chiudo.

https://www.youtube.com/watch?v=h8QmV8wxEeE

Giuseppe D'Amico

Classe '93, venuto al mondo in una metropoli di 5000 anime sull'Appennino abruzzese. Da ragazzino ascolta musica, legge libri e soprattutto guarda un sacco di film con i suoi teneri amichetti in cameretta, proseguendo poi fino ai 23 anni. Osserva molto e scrive bene, almeno questo è quello che gli dice sua madre.
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