
Arrivederci ragazzi, quando un ricordo d’infanzia diventa film
«Sarà il solito film francese lentissimo e palloso…»: questo il mio primo pensiero quando mi regalarono Arrivederci ragazzi (1987).
Ammetto che per molto tempo rimase indisturbato sullo scaffale: conoscevo vagamente l’argomento e, sebbene di solito mi getti a pesce in amenità simili, questo film in particolare non mi attirava granché, forse a causa del suo Paese di provenienza. Ah, il pregiudizio…
Un giorno mi sono fatta forza, forse perché il professore di Storia ne aveva parlato bene, ho inserito il DVD nel lettore e beh, devo dire che non me ne sono affatto pentita.
E qualche lacrima sono pure riuscita a versarla, per cui successo pieno.
Fontainebleau, 1944: Julien Quentin/Gaspard Manesse, 12 anni, viene mandato in un collegio di Carmelitani Scalzi insieme al fratello François/Stanislas Carré de Malberg, per proteggerli dai bombardamenti che infuriano su Parigi.
Julien però non va d’accordo con i compagni di scuola e soffre di nostalgia: François, più grande e consapevole, medita di entrare nella Resistenza, e poco si dedica al fratello minore.
Tutto cambia quando Padre Jean, il direttore dell’istituto, accoglie tre ragazzini di religione ebraica per salvarli dalla deportazione: dopo un’iniziale ostilità, Julien e Jean Bonnet/Raphaël Fejtö stringono un’amicizia molto intensa.
La guerra sembra lontana e la vita in collegio scorre tranquilla fino quando Joseph/François Négret, lo zoppo sguattero di cucina, non viene accusato di furto e licenziato: da questo momento diventa una spia dei tedeschi e il segreto della scuola non è più al sicuro.
Arrivederci ragazzi è fortemente autobiografico: il regista, Louis Malle, si ispira ad un episodio realmente accaduto nel collegio da lui frequentato durante l’occupazione tedesca.
Attraverso Julien, il regista introduce il tema dell’antisemitismo e dell’accettazione del diverso: il ragazzo infatti impiega un bel po’ ad accogliere il nuovo arrivato, sia perché ne teme la bravura (Jean è infatti uno studente brillante ed un potenziale rivale), sia perché, una volta scopertone il credo religioso, non riesce a liberarsi subito dai pregiudizi nei confronti degli ebrei.
Superati i preconcetti, nasce una bellissima amicizia che li isola dal resto della classe, dipinta come mediocre, che non capisce cosa stia accadendo là fuori. Interessante a questo proposito la figura di François, l’intellettuale e aspirante partigiano fratello di Julien, l’unico che, saltuariamente, lo spinga a ragionare con la sua testa e ad andare oltre ciò che gli viene propinato a scuola.
Scuola descritta come un ambiente chiuso e bigotto, gestito da religiosi (chiamati irrispettosamente dai ragazzi “sottane”) ipocriti e poco attenti ai bisogni reali dei ragazzi: il collegio rimane comunque un’oasi sicura, una roccaforte di difesa dai terribili avvenimenti che infuriano nel mondo esterno.
Il solo modello positivo tra gli adulti è Padre Jean, che, per quanto compaia poco, si propone come esempio di tolleranza, accogliendo in un collegio cattolico tre ragazzi appartenenti alla “razza deicida”, invitandogli studenti ad accoglierli e trattandoli come gli altri.
Arrivederci ragazzi ha uno scorrimento piuttosto uniforme, senza grossi coup de théâtre, a eccezione della parte finale: tutto ciò ha senso se si imposta il film come una cronaca della vita quotidiana di una scuola, che solo per caso conosce un evento straordinario.
Non vi aspettate quindi angoscia e tremori ricorrenti alla Schindler’s List: è tutto molto tranquillo, anche gli argomenti importanti, quali la guerra, la persecuzione contro gli ebrei e la povertà sono accennati in modo casuale, buttati lì durante una banale conversazione. Come facciamo noi del resto, che parliamo di attacchi terroristici tra una fermata del bus e l’altra: è il brutto/bello del tran-tran giornaliero.
Ciò non toglie che si riesca a piangere, come la sottoscritta, e anche parecchio.
In estrema sintesi, vi consiglio Arrivederci ragazzi perché:
- È la storia dell’amicizia tra un ragazzino cristiano saccente e un timidone ebreo che però lo sfotte alla grande. Ed è una storia vera.
- Tratta di comprensione dell’altro e di tolleranza, temi che sono sempre attuali.
- Gli attori sono molto bravi e la regia è impeccabile, tanto da aver vinto il Leone d’oro a Venezia.
- I personaggi sono così normali che potresti avere l’impressione di vedere il tuo compagno di scuola, il vicino di casa o il fratello bono della tua amica.
- A me e mia madre è piaciuto moltissimo.