
Aspettando It, guardando La madre
Settembre, tempo di mele mature e horror che cadono dagli alberi. L’autunno sta arrivando, con una batteria di horror stuzzicanti nelle sale. Una generazione intera sta in fibrillazione aspettando che esca la nuova versione di It del maestro Stephen King, diretto dal regista Andrés Muschietti. Turbe di fan aspettano questo film sperando che finalmente le 1300 pagine del libro siano rese finalmente come Dio comanda, senza vedere mostri fatti col Didò. Nel mentre, gente a caso sta legando palloncini celebrativi alle grate dei tombini, facendo strizzare le chiappe ai passanti.
Intanto che aspettiamo, vi parlo del film La madre, lungometraggio del 2013 che ha fatto finire il signor Andrea a velocità da crociera nella mia classifica dei registi preferiti.
Prima della madre c’era Mamà
Correva l’anno 2008, e il cortometraggio Mamà già prometteva una bella dose di ansia e strizza over 9000. Muschietti lo definisce “un esercizio di stile”, ma quei tre minuti di inquietudine strisciante bastarono a convincere Guillermo Del Toro a passare dal bancomat e produrre il lungometraggio La madre. Noi tutti lo ringraziamo, e anche il suo commercialista, visto che il film costò 15 milioni di dollari e ne tirò su 146. Nel corto già abbiamo un primo assaggio dell’ottima mano dei fratelli Muschietti. Andrés e Barbara scrissero insieme la storia, e si affidarono ai loro incubi infantili per rendere al meglio il fisico da incubo della madre. Questo fantasma incazzoso e ricattatorio è nato infatti grazie a un senso di paura ispirato dai quadri di Modigliani, che terrorizzavano i due fratelli da piccoli. Come dargli torto, in effetti.
Piccola trama di La madre
La storia già parte con un clima da tragedia greca. Giorni nostri. Il giovane Jeffrey, padre delle piccole Lily e Victoria, si trova in mezzo a un licenziamento dovuto a un crollo economico dell’azienda dove lavora. Impazzito, uccide la moglie, rapisce le bambine e finisce in una casa in mezzo ai boschi, dove medita di uccidere se stesso e le bambine. Ma nel buio c’è qualcosa pronto a difendere le bambine…
Passano gli anni e finalmente le due bambine vengono ritrovate nei boschi, e affidate allo zio e alla sua compagna (la rossa/mora?? e sempre bravissima Jessica Chastain). Le piccole sono praticamente due selvagge, ma poco a poco riescono a condurre una vita più o meno normale con i nuovi genitori. Tuttavia continuano a parlare con “qualcuno”, con “madre”. Nessuno si spiega come delle bambine così piccole siano sopravvissute per tanto tempo nella foresta, a meno che qualcuno non si sia preso cura di loro. E quel qualcuno le ha seguite fino alla nuova casa.
L’affetto di una madre non muore mai
I fratelli Muschietti riescono a scrivere un ottimo horror senza cadere in facili jump-scare o soliti clichè del genere. La trama è solida, e anche se l’idea di base forse è già sentita, funziona a meraviglia. L’idea di un fantasma malvagio solo per il gusto di fare del male non convince più nessuno, e questo va avanti da tanti anni. Nel cinema abbiamo una lunga serie di presenze malefiche con dei risvolti tragici e molto umani. Se da un lato proviamo una certa compassione per queste presenze, dall’altro il tutto diventa ancora più terrificante. La madre di sicuro non era uno zuccherino neanche in vita, a causa di una malattia mentale che la rendeva pericolosa e imprevedibile. Tuttavia non si può rimanere del tutto indifferenti al dolore che prova quando, in circostante tragiche, viene separata dal figlio che aveva generato. In questo caso abbiamo un fantasma le cui emozioni vengono suggerite in modo soddisfacente. L’amore della madre per le piccole Lily e Victoria è pericoloso, ma comunque autentico e sincero. È la madre a salvare le bambine da morte certa, a nutrirle e ad aiutarle a sopravvivere nei boschi. Ma diventa una iena quando entra in scena la zia acquisita e si accorge che questa si sta affezionando alle bambine.
Istinto materno e favola gotica
I fratelli Muschietti non sono estranei agli incubi infantili, e nemmeno Del Toro. Vi ricordate Il labirinto del fauno? Vi ricordate che lo spacciavano per fantasy per bambini mentre in realtà c’erano dei fottutissimi traumi ogni cinque minuti di film? Vi ricordate White Man??
La madre è un ottimo esempio di come si possa raccontare un incubo infantile con la delicatezza e la brutalità degli occhi di un bambino. Una cosa non esclude l’altra. L’attenzione che viene data al mondo e alla fantasia di un bambino non ha nulla di compiaciuto o di melenso. Motivo per cui aspetto che Muschietti si occupi della psicologia del Club dei Perdenti. Siamo a una struttura da favola, anche se non classica: due piccole bambine, una principessa buona e maldestra, un fantasma malvagio (quasi), una sorta di incantesimo da spezzare. E poi la paura del buio, i mostri sotto il letto o nell’armadio… tutto questo si intreccia fino a un finale per niente scontato, che lascia gli occhi umidi.
Il corpo della madre
A questo punto devo fare una precisazione doverosa. La madre è reale. Il fantasma non è frutto di una caterva di CGI o di modelli. L’attore Javier Botet ha prestato il suo corpo (purtroppo deformato da una brutta malattia) alla presenza maligna di questo film. Non è la prima volta che Botet usa il proprio fisico per dare vita a degli incubi che camminano. È lui infatti che interpreta l’apocalittica creatura gigantesca e armata di martellone presente nelle ultime scene del bellissimo REC. Amo quest’uomo. Qui siamo a un uso del corpo di livello superiore. La madre è un oscuro riflesso di chi è stata in vita, le sue emozioni sono deviate, contorte e scheletriche come il suo aspetto. I movimenti sono secchi, deformi, pieni di perversità ipnotica. La madre ricorda un po’ gli alberi mostruosi di certe foreste da film horror, un concentrato di malvagità e sentimenti che nascono puri ma muoiono perversi.
In altre parole, un gioiellino di film e un gioiellino di fantasma.
Mentre voi lo guardate, io vado ad appendere qualche palloncino.