Film

Barriere: il recinto emotivo dei limiti umani

L’emancipazione razziale in America è sempre stata un tema duro e teso da affrontare, soprattutto nelle prime decadi del ‘900. Dopo lotte e sacrifici, però, anche le persone di colore progressivamente sono riuscite a farsi strada. Proprio questo è il leitmotiv attorno al quale si costruisce Barriere, andando a scavare con sensibilità nelle profondità dell’animo umano.

Diretto e interpretato da Denzel WashingtonBarriere è la trasposizione cinematografica dell’opera teatrale Fences del defunto drammaturgo August Wilson, la quale valse la vittoria del premio Pulitzer.

La pellicola racconta le vicende dell’afroamericano ex promessa del baseball Troy Maxson e della sua famiglia con la quale vive in quel di Pittsburgh. Troy è un padre autoritario e dispotico, strettamente legato alla questione razziale, che ritiene invalicabile. Questa ed altre delusioni accorse nello svolgersi della sua vita lo hanno reso inamovibile sulle possibilità che le persone di colore potevano crearsi in quel periodo, rinchiudendolo in una sfera di sfiducia per il miglioramento delle condizioni sociali delle persone appartenenti alla sua stessa razza. Succube di questa situazione è la sua famiglia, la quale subisce un vero e proprio indottrinamento da parte del padre/marito, in primis il figlio Cory (Jovan Adepo). L’unico elemento che perlomeno prova ad equilibrare questa personalità così forte e accesa è la moglie Rose (Viola Davis), la quale, mossa da un amore incontenibile per il marito e per la famiglia, cerca sempre di mantenere la situazione il più stabile possibile.

Grande punto cardine di Barriere è il contrasto tra statico e dinamico. Denzel Washington sceglie come dinamica rappresentativa il non allontanarsi dalla teatralità: infatti l’intero film si svolge prettamente in tre location con una struttura e uno svolgimento narrativo che è tipico del teatro. Scene lunghe e fisse, svolte nello stesso spazio narrativo, introducendo progressivamente i personaggi, i quali sembrano davvero “entrare in scena”. Da questo punto di vista il film si presenta statico, perché appunto non visivamente in movimento. Ma è su questa base di staticità che si sviluppa una trama che diventa secondo dopo secondo, minuto dopo minuto, tramite dialoghi travolgenti e trascinanti, sempre più fitta e profonda. I personaggi hanno tutti la caratteristica di essere incredibilmente dinamici: mentre la scena, la rappresentazione rimane ferma e statica, invece i personaggi evolvono in maniera sempre più incontrollabile, andando a creare un dramma emotivo degno di questo nome.

A coronare questa grande capacità di dare dinamicità ad una situazione statica si aggiungono le interpretazioni attoriali. Tutti gli attori, nessuno escluso (se non forse il solo primogenito di Troy, Lyons, interpretato da Russell Hornsbyche pare un poco forzato), mettono i brividi per la loro bravura e capacità di far trasparire ogni singola emozione che il loro personaggio sta provando. Denzel Washington e Viola Davis (che alla fine si è portata a casa l’Oscar 2017 per la miglior attrice non protagonista) sono incredibili: lui, Denzel, che ancora una volta coi suoi sorrisi sornioni e le sue mimiche facciali da capolavoro costruisce il suo personaggio in maniera ineccepibile. Lei, Viola, che con la sua sensibilità e il suo sguardo sempre tenero ma turbato fa commuovere e fa immedesimare come pochi attori sono capaci di fare. Attorno a loro, poi, completano il cast uno Stephen Henderson (amico di lunga durata di Troy) incredibilmente fraterno, un Jovan Adepo che trasforma la sua interpretazione per trasformare il suo stesso personaggio e infine un Mykelti Williamson (Gabe, fratello di Troy) che fa tenerezza al solo guardarlo.

Attori che danno l’anima a un film che fa del discorso emotivo la sua morale definitiva. Barriere non è solo il titolo della rappresentazione, ma anche il simbolo del secondo e importantissimo contrasto della pellicola. La barriera difatti non è solo lo steccato che Troy sta costruendo su richiesta della moglie, ma è quel limite invalicabile del sentimento umano e del senso di famiglia puramente affettivo. Lo steccato diventa il “dentro o fuori” di Cory e diventa la scelta di Troy, scelta della quale egli stesso deve farsi carico. Uno steccato che inizialmente tiene al riparo tutti gli affetti, ma che con lo svolgimento del percorso narrativo evolve insieme ai personaggi e diventa una vera e propria barriera per chi meriterebbe di uscire.

Dalla psicologia di Troy emerge un personaggio che non è in grado di lasciare andare chi, a differenza sua, avrebbe la possibilità e la capacità di cambiare. Nonostante ciò, la “paura” di Troy nei confronti del cambiamento è viziata da tutte le delusioni che egli ha dovuto sopportare e subire, le quali lo hanno fatto diventare una personalità statica ma invadente. Lui, uomo saldo e caparbio, si ostina a voler proteggere tutti finendo col dimenticarsi di proteggere sé stesso. Ma una volta resosi conto che anche lui merita protezione, finisce col distruggere tutto ciò che gli sta attorno, quel tutto che stava diventando troppo simile al suo creatore e che perciò trova nella ribellione l’unica via di fuga. Ed è poi quando il creatore smette di svolgere la sua funzione che il creato cade a pezzi rimpiangendolo.

L’insegnamento che Barriere vuole lasciarci è dunque che un essere umano non può essere giudicato da un altro essere umano. Un’interpretazione al limite tra il concreto e il divino ma che c’entra perfettamente l’essenza del personaggio di Troy, che in questo modo si fa metafora dei limiti dell’uomo. Il limite che, come uomini, ognuno di noi ha insito in sé e che il film spiega mostrando il forte condizionamento che i figli hanno ricevuto dal padre. Così i figli non sono più succubi come nella situazione iniziale, ma diventano ora parte del circolo vizioso della vita, la quale però, pur reiterandosi evolve, esattamente come evolve ogni singolo personaggio.

Barriere è in conclusione un film incredibilmente carico e denso, capace anch’esso di evolvere regalando a ogni sguardo una nuova chiave di lettura. Accompagnato da una sceneggiatura lucidissima e fluida lascia spiazzati di fronte a una sensazione finale di tristezza meditativa e speranzosa. La speranza che forse, al prossimo sguardo, qualcosa sarà cambiato.

Mario Vannoni

Un paesaggio in ombra e una luce calante che getta tenebra su una figura defilata. Un poco inutile descrivere chi o cosa sono io se poi ognuno di voi mi percepirà in modo diverso, non trovate?
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