
Basta che funzioni. Semplicemente Woody Allen, ma più cattivo che mai
Umorismo al napalm, dialoghi al vetriolo, un personaggio che è una bomba: Basta che funzioni
Ma qual è il significato di tutto? Niente! Zero! Nulla! Tutto finisce in niente, anche se non mancano gli idioti farfuglianti. Non parlo di me, io la visione ce l’ho, sto parlando di voi, dei vostri amici, dei vostri colleghi, dei vostri giornali, della tv. Tutti molto felici di fare chiacchiere, completamente disinformati. Morale, scienza, religione, politica, sport, amore, i vostri investimenti, i vostri figli, la salute… Cazzo, se devo mangiare nove porzioni di frutta e verdura al giorno per vivere… non voglio vivere! Io detesto la frutta e la verdura!
Boris Yellnikoff: Dio
Questo è solo un breve estratto del magistrale monologo iniziale di Boris Yellnikoff, protagonista assoluto e mattatore di questo Basta che funzioni, che arriva nel 2009, pronto a smentire le voci che giravano su un Allen stanco e ripetitivo.
Mi sento subito di dire che, insieme a Midnight in Paris, questa è certamente la sua miglior sceneggiatura dai tempi di Crimini e misfatti e ci regala uno dei personaggi meglio scritti dell’intera storia del cinema.
Boris è un concentrato letale di Nietzsche, Schopenhauer, Sartre, Kierkegaard, Leopardi e lo stesso Woody Allen ovviamente. Un po’ come buttare le Mentos nella Coca: boom!
Ecco, Boris è questo: boom!
Boris è un metaforico bombarolo zoppicante, un filosofo, scienziato, libero pensatore, scacchista, eccentrico genio newyorkese. La sua vita procede lenta e sempre uguale a sé stessa, tra sproloqui sulla vanità del tutto e sull’inutilità di questa “vergognosa, violenta, prevenuta, illetterata, sessualmente repressa, farisaica nazione”. Boris è un nichilista, misantropo, solitario, meravigliosissimo vecchio inacidito che odia tutto e tutti. Perché?
Il bello è questo, come ammette lui stesso non c’è motivo per pensare così male della vita e delle persone: dopotutto non se l’è passata così male durante i suoi anni. E allora che c’é Boris? Che ti angustia? Un cervello che lavora troppo forse?
Boris è condannato dalla sua intelligenza, dalla sua sottigliezza, un po’ come l’Alvie Singer che vediamo all’inizio di Io e Annie: lui lo sapeva già ai tempi della scuola che i suoi compagni erano fessi. O forse gli piace essere condannato in partenza: perché è molto meglio defilarsi e criticare tutto e tutti piuttosto che entrare in quelle acque limacciose e cercare di risolvere i problemi. Vai a sapere…
Gli insegnamenti di Gesù sono una meraviglia, così come lo sono in origine le intenzioni di Karl Marx. Ok? E come possono essere un male se tutti dividono equamente: non fate agli altri, democrazia, governo del popolo… Tutte grandi idee, sono tutte grandi idee ma… hanno tutte quante un fatale difetto.[…] È questo: sono tutte basate sul falso concetto che l’uomo sia fondamentalmente buono e che se gli dai l’occasione di essere onesto l’afferra, che non è uno stupido, egoista, avido, codardo e miope verme.
Basta che funzioni o Magic in the Moonlight?
Il link tra Basta che funzioni e Magic in the Moonlight mi viene pressoché immediato: un misantropo che vive una vita solitaria, che rifiuta anche solo l’idea dell’amore, della sessualità, troppo attorcigliato nei suoi contorti ragionamenti nichilisti, si trova ad avere a che fare con una ragazza semplice, allegra, giovane e deliziosa (e uso un eufemismo, perché tra Emma Stone e Evan Rachel Wood c’è solo da mettersi le mani tra i capelli) che gli fa riscoprire il valore intrinseco in quella marmaglia là fuori, che non ricorda nemmeno di tirare lo sciacquone al bagno pubblico.
La vera differenza tra Basta che funzioni e Magic in the Moonlight sta tutta nella caratura dei due personaggi protagonisti: tra il Boris di Larry David e lo Stanley Crawford di Colin Firth non esiste nemmeno paragone. Possiamo anzi dire che il secondo è una copia un po’ sbiadita del primo, troppo focalizzato su certi aspetti dell’umano, mentre invece Boris è universale. Con le sue massime, i suoi giudizi tagliati con l’accetta, i suoi insulti e le sue stranezze brucia e divora tutto ciò che gli sta intorno, dando adito a dialoghi gustosissimi, gag meravigliose, ma non fermandosi a un umorismo becero, dato unicamente dalla maleducazione. Boris va oltre, sempre e comunque.
Boris e Woody
Il personaggio di Larry David (in stato di grazia, inutile sottolinearlo) non è nient’altro che un simbolo di tutti quegli aspetti dell’Uomo-Woody Allen: quella stramba commistione tra regista/autore che ha una poetica e un personaggio creato ad hoc, che rimbalza da Io e Annie, a Provaci ancora Sam, Crimini e misfatti e via dicendo. Il solito codardo, nevrotico, un po’ misantropo, acidello, inetto intellettuale che guarda con sfiducia alla società e alle sue fissazioni. E Boris ne è semplicemente la versione Super Sayan God (per chi non comprende da questa parte, prego), la sublimazione ingigantita.
La visione d’insieme
Al di là di questo il film è godibilissimo, ci sono un sacco di personaggi secondari ben caratterizzati che contribuiscono a creare il tipico ambiente da commedia di Woody Allen: Brooklyn, i drink, gli sproloqui, le belle ragazze che si innamorano di uomini over-60, Freud, eccetera eccetera. Al centro di tutto però c’è Boris, c’è sempre Boris, che anche quando viene messo in secondo piano fa di tutto per riconquistare il palcoscenico, rompendo anche la quarta parete e parlando direttamente con le persone in sala che lo stanno guardando. Come in La rosa purpurea del Cairo Allen si fa beffe della quarta parete, stavolta per sottolineare la genialità di uno dei suoi personaggi meglio riusciti, l’unico – a detta sua – che ha la visione d’insieme delle cose.
E vi consiglio di non dissentire mai quando c’è Boris nei paraggi.