
Beowulf – Puro esercizio di stile o rivoluzione in sordina?
La leggenda di Beowulf: l’esperimento visivo di Robert Zemeckis che da molti è già stato dimenticato
Un autore non autore
Se scrivi su un sito che parla di cinema bene o male con Zemeckis arrivi ad averci a che fare, e noi del MacGuffin non facciamo eccezione, basti vedere i nostri sproloqui a proposito della saga di Ritorno al Futuro, di Forrest Gump, Chi ha incastrato Roger Rabbit? e Flight. Robert Zemeckis non è mai stato uno di quei registi a cui si possa attribuire un’autorialità vera e propria, forse è troppo commerciale, forse si è dedicato a film troppo “di pubblico” e il suo stile è spesso stato molto vicino a quello del blockbuster nudo e crudo, ma una cosa bisogna dirla: ha sempre avuto la magia del cinema nella macchina da presa ed è sempre stato uno di quelli a cui piace sperimentare. Dall’innovazione incredibile del live-action mescolato al cartoon in Chi ha incastrato Roger Rabbit? alla “trilogia” animata in motion-capture che comprende Polar Express (2004), La leggenda di Beowulf (2007) e A Christmas Carol (2009).
L’esperimento nell’esperimento
Tra queste tre pellicole altamente innovative – non tanto sotto il piano narrativo, ma sotto quello della messa in scena – quella più originale e interessante è certamente il nostro La leggenda di Beowulf che, oltre ad avere un cast di tutto rispetto (Ray Winstone, Angelina Jolie, Anthony Hopkins, John Malkovitch, Crispin Glover e Robin Wright), osa dare corpo a un cartone animato assolutamente non per bambini. Sì, perché quello che viene fuori dopo i due anni di lavorazione è una trasposizione della saga nordica dell’eroe Beowulf come mai si era vista: sanguinaria, adulta, visivamente impressionante e con un finale decisamente non a tarallucci e vino. In Beowulf si scopa, partono teste, gambe, braccia, i soldati vengono trafitti e schizzano sangue, i mostri marini vengono sfilettati come trote d’acqua dolce. Insomma, bollino rosso e bimbi a nanna, anche se è un cartone animato.
Una buona impalcatura, ma con troppi scricchiolii
Il film è idealmente diviso in due parti: la prima che mostra la giovinezza dell’eroe e la sua ascesa, mentre la seconda parla di caduta, distruzione e della solita faccenda dei peccati di gioventù che prima o poi ti raggiungono. Beowulf non viene affatto presentato come un personaggio positivo: è vanaglorioso, arrogante, troppo sicuro di sé, violento, impulsivo e bugiardo. Dalla sua ha solo il fatto di essere un grande guerriero e di riuscire ad uccidere il demone Grendel, il terrore dei danesi, dei quali diventa poi sovrano.
Quali sono però i problemi che il film si porta dietro? Innanzitutto gli effetti visivi e, in generale, l’impalcatura in motion-capture che a noi oggi (quindi solo 9 anni dopo) appare un po’ datata. I personaggi sono molto videogiocosi, i movimenti non molto naturali, tanto che molto spesso l’epica perde di tono proprio a causa di questo problema non da poco. In secondo luogo il film presenta personaggi volutamente bidimensionali, ma li mette poi alla prova con temi forti, e che quindi meritavano di essere sorretti da figure certamente più corpose di quelle che vediamo in scena.
Lungo tutta la pellicola corre la sensazione di occasione mancata, di qualcosa che poteva essere rivoluzionario per davvero, ma che a causa di troppi piccoli difettucci è rimasto imbrigliato lì dov’era, che ne hanno fatto una triste raccolta di contraddizioni: un film d’animazione e quindi apparentemente non per adulti, ma che non può andar bene per i bambini; visivamente suggestivo, ma non straordinario al punto da rimanere immortale; affronta questioni veramente interessanti come la tentazione del potere, la consistenza effimera della vita, la questione della menzogna e delle sue conseguenze, ma presenta figure parecchio piatte, più adatte a un film-action più ignorante e basico di quello che in effetti è questo Beowulf.
Rimane comunque un film consigliato, soprattutto per dare uno sguardo a uno dei progetti più ambiziosi degli ultimi anni, certamente più interessante per le sue intenzioni che per il risultato finale.