Serie TV

“BETTER CALL SAUL”: è la fine di un’era

Better Call Saul è finito e con esso, a quanto pare, ha avuto fine anche l’universo Breaking Bad.

Non è facile scendere a patti con questa idea, soprattutto considerando che stiamo parlando di due serie che hanno ridefinito il modo di scrivere per la televisione e con cui sarà difficile competere, per molti anni.

Better Call Saul è uno spin-off che ha avuto una parabola molto particolare: partito in pompa magna, con ascolti altissimi perché si portava dietro la fama della serie madre. Andato poi incontro a un calo di interesse quando è diventato evidente che la semina e raccolto di questa storia sarebbero stati molto lunghi, che non ci avrebbero sbattuto davanti Walter e Jesse dalla prima stagione, che la serie non era una vetrina di fanservice di Breaking Bad ma qualcosa di autonomo e diverso.

Oggi, con l’ultimo episodio andato in onda martedì 16 agosto, abbiamo finalmente il quadro completo.

Breaking Bad e Better Call Saul sono due facce della medesima storia, una sorta di Yin e Yang che solo incastrato insieme dà un’immagine generale. È più di uno spin off, è piuttosto il grosso pezzo mancante che va a completare il senso della narrazione che già conoscevamo e amavamo. Il raccordo è stato rafforzato dal fatto che adesso, come Saul Goodman appare per la prima volta in un episodio di Breaking Bad dal titolo “Better Call Saul”, Walter White fa la sua prima comparsa nell’episodio di Better Call Saul intitolato “Breaking Bad”.

Walter e Saul diventano due personaggi simili ma anche opposti, tanto che fino all’ultimo episodio rimane il dubbio se il concetto di “Breaking Bad” (il lento, progressivo decadimento verso il male affrontato da Walter) possa applicarsi efficacemente anche a Saul Goodman, o se invece lui sia “sempre stato così”. Al punto che, anche se sono sei anni che seguiamo il suo personaggio così da vicino, fino alla fine non sappiamo minimamente prevedere come agirà.

Questa serie ci ha gabbati tutti, in un modo che però ci fa piacere: fino all’ultimo atto non abbiamo capito che è sempre stata fondamentalmente una storia d’amore. In Breaking Bad un grande motore degli eventi, delle scelte e delle cadute era il rapporto mentore-allievo tra Walter e Jesse. Parallelamente, in Better Call Saul al centro del discorso non c’è Saul, ma sempre Saul e Kim. È stato così fin da subito, solo che non ce ne eravamo accorti.

Kim Wexler, questo personaggio iniziato intenzionalmente in sordina, all’inizio pareva quasi una retcon vivente: della sua esistenza non c’era traccia in Breaking Bad, al punto che quando compare in scena le prime volte la crediamo un comprimario come tanti, destinata a essere spazzata via quando il gioco si farà pericoloso. E invece proprio Kim si rivela essere l’anello mancante che chiude la storia: non solo di Better Call Saul, ma anche di Breaking Bad. Il Saul Goodman di Breaking Bad, quella specie di caricatura vivente, era un Saul senza Kim, un’ombra vuota.

Questo tema del doppio inteso come due strade parallele che “detonano” nel momento in cui la fatalità le porta a incrociarsi è qualcosa di ricorrente in tutta la scrittura di Gilligan e Gould. Era già successo, in Breaking Bad, con la morte di Jane e tutto ciò che ne era scaturito come conseguenza, per esempio: due situazioni non direttamente correlate tra loro – la tossicodipendenza della ragazza, e Walter che vuoi caso si ritrovava in casa loro proprio nel suo momento di difficoltà – le quali conducevano verso una decisione orribile, tanto da diventare un punto di non ritorno morale per Walt.

Allo stesso modo tutto Better Call Saul è costellato di narrazioni parallele che esplodono quando entrano in collisione e sempre per, apparente, caso: avremo negli occhi per molti anni il finale dell’episodio 6×07.

L’universo di Albuquerque creato da Gilligan prende personaggi in apparenza comuni e li fa assurgere a una gravità da tragedia greca: tutto ruota attorno al concetto di colpa, alla domanda se pesi di più il rimorso o il rimpianto, a fino a dove si spinga la responsabilità di una persona nel compiere certe scelte e, a volte, proprio nel non compierle.

Come nel caso di Breaking Bad, siamo di fronte a una storia che decostruisce il “cammino dell’eroe” della teoria narrativa. Entrambi gli “eroi” entrano in un sistema credendo di dominarlo con le proprie capacità, in realtà distruggendolo e distruggendo se stessi a poco a poco. Ma se Walter quel cammino lo sovverte, Saul in un certo senso il suo viaggio, pur in maniera disfunzionale e piena di false piste, lo affronta fino in fondo.

Ciò che permette a Saul Goodman di essere qualcosa di diverso da Heisenberg, è Kim. Ogni volta in cui la storia di Saul incrocia quella di Kim, la strada dell’uomo sterza improvvisamente, si piega, trasforma quel cerchio narrativo perfetto in un poligono da scoprire. Il bello di Better Call Saul è proprio che non c’è nessuna “quadratura”.

Di fronte a una scrittura così puntigliosa, uno potrebbe infatti sognare come migliore delle ipotesi di finire la stagione con un: “oh, non poteva terminare in altro modo che così, bravi”. E invece no, troppo facile. Da spettatore resti col fiato sospeso, fino all’ultimo ogni strada sembra ancora percorribile. E alla fine quello che pensi è solo: “che cosa bella ho avuto il privilegio di guardare”.
Come nella vita reale e a differenza che nella tragedia greca, nel mondo di Gilligan e Gould non esiste un destino. Esiste al massimo il caso beffardo, ma forse nemmeno quello: il caso è solo uno dei tanti capri espiatori che si usano mentre si sta tessendo il proprio percorso con le proprie stesse mani. Ma proprio perché è così ogni singola variabile, ogni farfalla che sbatte le ali, ogni nuova decisione, può cambiare l’epilogo.

Ci mancheranno tutti: Walter, Jesse, Saul, Kim, Mike, Gus “Pollos” Fring, Hector Salamanca, Lalo, Nacho, Hank e Marie. Stavolta non è un arrivederci.

Francesca Bulian

Storica dell'arte, insegnante, fangirl, cinefila. Ama i blockbusteroni ma guarda di nascosto i film d'autore (o era il contrario?). Abbonata al festival di Venezia. "Artalia8" su YouTube, in genere adora parlare di tutto ciò che di bello e sopportabile gli esseri umani sono capaci di produrre.
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