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Big Little Lies: sesso debole a chi?

Avete presente i dibattiti pseudo-intellettuali che vanno di moda ultimamente, quelli sul ruolo delle serie tv, su come siano cambiate negli anni e sul perché non esistano più le sit-com? E vi ricordate di Desperate Housewives, apripista del noir al femminile in più puntate, ancora un po’ acerbo ma con potenziale da vendere? Benissimo: frullate le due cose e avrete Big Little Lies.

È singolare ritrovarsi a scriverne nella settimana probabilmente più incasinata della vita di Harvey Weinstein, il produttore cinematografico che ogni giorno che passa viene accusato di molestie e abusi di potere da un’attrice diversa; perché Big Little Lies sembra la nemesi del sedicente sesso forte. Un inno al femminismo, in pratica, che proprio perché non viene apertamente dichiarato acquista più forza ad ogni fotogramma. Com’è possibile? Beh, scritturate Nicole Kidman e Reese Witherspoon e la cosa vi verrà incredibilmente facile.

Siamo a Monterey, California, che proprio come la Wisteria Lane delle casalinghe disperate sembra essere il perfetto teatro per il sogno americano: cittadina di trentamila abitanti bellissimi e ricchissimi, affacciata su un oceano livido, dotata delle scuole pubbliche migliori del paese – d’altronde siamo negli Stati Uniti, quel luogo fatato in cui sanità e scuole mediamente fanno rima con sifilide e carcere. Tutto va come dovrebbe: i bambini imbastiscono recite scolastiche, le mamme si trovano un qualche interesse pur di non impazzire o fingono di amare un lavoro che le logora, le rondini svolazzano e i pettegolezzi si infiammano.

La telecamera segue in particolare quattro dive di Monterey: Madeline Mackenzie (Reese Witherspoon), aspirante mamma perfetta un po’ sovrappeso e nevrotica, Celeste Wright (Nicole Kidman), algida ex avvocato con una famiglia da Mulino Bianco, Renata Klein (Laura Dern), insopportabile manager più puritana di quanto vorrebbe dare a vedere, e Bonnie Carlson (Zoë Kravitz – sì, è la figlia di quel Kravitz), bambolina tutta yoga-meditazione-bacche-di-goji e nuova fiamma di Nathan Carlson (James Tupper), ex marito di Madeline. Ovviamente non esiste paesino senza fazione: il duo Madeline – Celeste è impegnatissimo nel dare filo da torcere alle modernissime Renata – Bonnie in terreni di scontro che vanno dagli spettacoli teatrali alle feste di compleanno dei pagoli.

E i padri? Signore e signori, eccovi il mastodontico, fondamentale insegnamento di Big Little Lies: gli uomini sono dei bambocci. Assenti, insicuri, narcisisti, egocentrici: viene da pensare che il XXI secolo non sia poi questa grande era in cui vivere. Oltre al già citato Nathan, più preoccupato della piega dei capelli che dell’adolescente irrequieta che ha messo al mondo, vediamo sfilare Gordon Klein (Jeffrey Nordling), sciapo uomo d’affari completamente succube della moglie, Ed Mackenzie (Adam Scott), tanto premuroso quanto insignificante, e Perry Wright (Alexander Skarsgård), affascinante, gelosissimo e premuroso padre di famiglia.

Fin qui, la Monterey di Big Little Lies sembra una perfetta oasi di noia e sicurezze; finché non irrompe Jane Chapman (Shailene Woodley), che non è né ricca né bionda né sposata, con il figlioletto al seguito e un passato non esattamente sereno a scompaginare gli equilibri.

Agli Emmy Awards del 2017 Big Little Lies si è portato a casa una cinquina di premi invidiabile: miglior miniserie, miglior regia, miglior attrice protagonista, miglior attrice non protagonista, miglior attore non protagonista. E d’altronde: la prima puntata si apre con un gruppo di personaggi upper class vestiti da Elvis Presley e Audrey Hepburn sgomenti alla vista di un cadavere; la HBO ha affidato la regia di tutte e sette le puntate a uno come Jean-Marc Vallée; Laura Dern è una perfetta isterica di mezza età, capace di suscitare astio alla prima battuta; e Alexander Skarsgård è tanto bello quanto spaventoso.

Eppoi lei: Nicole Kidman, talmente brava da far dimenticare quanto sia splendida – e quando si cala nei panni di Colazione da Tiffany è qualcosa di ultraterreno. Calmissima anche nelle situazioni più terrificanti, innamorata al punto di annullarsi, vittima, ma mai rassegnata: le sue conversazioni e le sue contraddizioni sul lettino della psicologa sono da manuale del cinema, e pure dei sentimenti. Fortuna che a darle una mano c’è Reese Witherspoon, pure lei meritevole di premio: che ha tutte le carte per risultare fastidiosa, ma che in qualche modo riesce a rendersi adorabile.

È questa la bellezza di Big Little Lies: le protagoniste sono quanto di più lontano dalla perfezione ci possa essere. E anche i loro figli, e i loro mariti. Però, nonostante i dissapori, le battaglie, le scenate, sono capaci di fare squadra; e di restarlo, anche quando non è più necessario. Big Little Lies è una storia al femminile, ma non lasciatevi ingannare dalla definizione raccapricciante: non c’è nulla di stucchevole, nulla di superfluo. Sono donne spossate, affamate, soprattutto arrabbiate; una rabbia che traspare nella musica, nei paesaggi, nelle corse sfrenate sulla spiaggia.

big little lies

Giallo, noir, commedia rosa: il cocktail di generi è fatto con il misurino. Recitazione magistrale, regia quasi troppo perfetta, fotografia impeccabile: non stupisce che stiano già girando i rumors sulla seconda stagione. Avete tempo fino al 2018 per recuperare.

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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