Film

Biutiful: tra amore e tragedia nelle strade di Barcellona

To my children, Maria Eladia and Elisio… the brightest lights in the darkest night.

Così Iñárritu chiudeva, nel 2006, quel piccolo gioiello che era Babel, disegnando un ponte per il suo lavoro successivo, Biutiful, appunto.

Uxbal è un uomo in caduta libera, e sta per trascinare con se’ i suoi figli, Ana e Mateo. Lavora, tra le strade di una Barcellona che sa poco di Gaudì e sangria, a stretto con tatto con gli immigrati, ha un tumore e, paradossalmente, riesce a comunicare con i defunti.

Solo queste sono le premesse da fare riguardo alla trama, perché tutto il resto risulterà essere frutto della comprensione dello spettatore: la macchina da presa segue pedissequamente Javier Bardem, che regala un’interpretazione magistrale, e poche sono le scene in cui lui non è presente.

Papà! Come si scrive “beautiful”?

Così, come lo pronunci.

La scena è: una cena di famiglia, si mangia il solito pesce che a Mateo proprio non va giù, lui vorrebbe un hamburguesa con patatas fritas, e Uxbal, di tutta risposta, lo accontenta, mettendo nel suo piatto dei cereali (l’hamburger) e dello zucchero (le patate), aggiungendo persino del latte (un milkshake), e anche Ana vuole delle salsicce, che, ovviamente, corrispondono a dei cereali. Ai ragazzi, ora, la cena va bene, se non fosse per Mateo che non la smette di dare calci al tavolo facendo scattare Uxbal di rabbia.

Il regista dipinge un quadretto che porta lo spettatore a sorridere, amaramente, per ciò che sta vedendo, il che è nulla in confronto all’escalation di eventi che condurrà, poi, al finale. Il film è, come si può notare, introspettivo, lento, con molti punti che tendono a soffermarsi su dei particolari che all’apparenza possono sembrare inutili, ma a noi piace così: quando Uxbal cammina, mentre si trova in una foresta innevata (molto simile a qualla di The Revenant, tra l’altro) o mentre si aggira nei vicoli di Barcellona, Iñárritu, non senza l’abilità nei long take che lo contraddistingue (vedi Birdman), lo tallona, gli sta alle calcagna, tanto che, durante la visione, allo spettatore sembra di entrare sempre di più in confidenza con il personaggio, arrivando a empatizzare con lui per il dramma che sta vivendo.

La capacità di parlare con i defunti, però, è il tema più affascinante della pellicola.

Uxbal sa di dover morire, ma gli spiriti che vede non sono un collegamento con l’aldilà: più terreni che paranormali, questi simboleggiano i fantasmi del protagonista, rappresentati con un artificio visivo da film horror, quale il corpo del defunto che fluttua in aria, inquietante per noi, ma, soprattutto, per il personaggio, che non vuole abbandonare questa terra e diventare uno spirito errabondo. Non perché ci tenga alla vita, anzi, ma per il fatto che l’Universo non paga l’affitto per Ana e Mateo.

Questa capacità, però, non è ingombrante e non è ciò su cui l’opera verte. Non si parla di redenzione, né, tanto meno, di vendetta, ma di elaborazione del lutto.

Il protagonista deve preparare tutto per andarsene, saldare i conti col suo passato, allontanare dai suoi figli ciò che gli fa male, e donargli qualcosa che possa farli andare avanti in sua assenza. Questa oppressione costante è il fulcro della pellicola: non è frenetico il montaggio, ma il cambiamento di scenografia. Uxbal viene sbalzato da un luogo all’altro continuamente e ha a che fare sempre con persone differenti ad eccezione dei suoi figli, ed è proprio sul finire della sua vita che riesce a trovare, fugacemente, dei momenti di straniamento, in cui osserva cose normali, comuni, dando ad ognuna di esse un significato nuovo e diverso, trovandone un senso, soffermandosi sui particolari e assaporando una libertà che non aveva mai toccato con mano.

Ne allego un esempio, il mio preferito.

Marambra, amore mio. Quelle che vedi non sono stelle, è il tuo sistema nervoso.

Marambra è l’altro grande centro di Biutiful: ex moglie di Uxbal, affetta da disturbo bipolare. Il personaggio di Bardem la ama, ma sa di non potere, in quanto un male per lui e per i due ragazzi, in particolare il piccolo Mateo, vessato continuamente dalle punizioni della donna.

L’attrice che la interpreta non è una modella ne’ una diva di Hollywood: anzi, è una donna normale con i suoi difetti, ed è proprio questo che rende il personaggio perfetto. Lo spettatore la odia, poi la comprende per poi detestarla di nuovo. L’amore tra lei e il suo ex marito è sincero, ma nocivo, in quanto Uxbal sa benissimo di non poter gestire una persona del genere, senza, però, riuscirne a fare mai realmente a meno. Lei è uno dei pochi motivi che lo lega ancora alla vita terrena, ed è questa continua lotta all’interno del protagonista che rende interessante il rapporto tra i due. 

Biutiful è, per me, un capolavoro.

Ho evitato di citare l’anello, il padre, la sottotrama di Hai e Liwei, solamente perché sono dell’idea che, qualora non l’abbiate visto, Biutiful è da recuperare immediatamente, e, per quanto possa essere non conosciuto come gli altri lavori del regista, rimane uno dei miei preferiti.

Qui da me è tutto, giuro che in occasione del prossimo articolo tornerò un cazzaro, come sempre.

Vincenzo Di Maio

Nasce in quel di Napoli nel 1998 ma è rimasto ancora negli anni '80. Spesso pensa di esser stato un incidente ma i suoi genitori lo rassicurano: è stato molto peggio. Passa la totalità della sua giornata a guardare film e scrivere, ma ha anche altri interessi che ora non riesce a ricordare. Non lo invitate mai al cinema se non avete voglia di ascoltare un inevitabile sproloquio successivo, qualunque sia il film.
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