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Black Mirror 4 – Togliete Black Mirror dalle mani di Netflix [NO SPOILER]

Black Mirror:  la quarta stagione, Netflix e il declino di un prodotto pressoché perfetto


I figli, si sa, bisogna concepirli, accudirli, nutrirli, farli crescere e badare che non vengano rovinati dalle brutte compagnie. Le brutte compagnie possono essere disastrose. Ebbene, papà Charlie Brooker non ha vigilato bene, perché Netflix è stato disastroso per il suo Black Mirror

La serie distopica per eccellenza, partita in sordina sulla BBC nel 2011, è certamente uno dei risultati più alti raggiunti dalla serialità negli anni Duemila. Cruda e crudele, fantascientifica, ma allo stesso tempo quasi Verista, graffiante, Black Mirror tramite l’esagerazione della realtà ha (aveva) la possibilità di far sentire lo spettatore come la peggior forma di vita mai partorita sul globo terracqueo. Filo conduttore in una serie di episodi completamente slegati tra loro è (era), da sempre, la riflessione su come la tecnologia stia influendo negativamente sull’umanità, rinchiudendola nel suo recinto di certezze fasulle e insulsi bisogni da appagare.

Le prime due stagioni (2011, 2013) erano riuscite a proporre una durissima critica alla civiltà moderna, mettendo sotto la lente d’ingrandimento (ustionandole) l’onnipotenza dei mass media (1×01, The National Anthem), l’insaziabile desiderio di celebrità a tutti i costi che ci logora (1×02, 15 Millions Merits), la deriva del populismo (2×03, The Waldo Moment), la malvagità innata dell’uomo che gode della sofferenza altrui (2×02, White Bear) e moltissimi altri elementi che si stanno insinuando sotto la coperta di Linus che tutti i giorni utilizziamo per ripararci dalla vista dell’evidenza del Vero. Ok. La pianto con le metafore. Scusate.

Poi però è arrivata mamma Netflix, nuova comare di quartiere cresciuta nel mito di nonna Disney. Che è successo? Che Netflix si è comprata la gallinella delle uova d’oro, facendosi fecondare da Charlie Brooker (scusa Charlie, non so che mi prende oggi) e partorendo una nuova stagione, la terza, che già aveva manifestato qualche scricchiolio. La puntata d’apertura, ad esempio, (Nosedive) presentava uno strambo finale pseudo-consolatorio non di certo in canone col resto di Black Mirror; la 3×02 (Playtest) poi aveva poco mordente, dove stava la critica sociale tanto agognata? In fondo però il vero punto di non ritorno era stata la tanto osannata (e da me detestata) San Junipero. Per quanto storia intensa, commovente e ben narrata, San Junipero tradisce completamente lo spirito originale della serie, innestandosi in quel filone nostalgico degli anni Ottanta riportato alla ribalta da prodotti palesemente citazionisti come Stranger Things (altra produzione originale Netflix). Caso strano della terza stagione San Junipero è stato l’episodio più gradito dal pubblico beone e quindi via, sarabanda, ciao ciao critica alla contemporaneità.

A parte un paio di eccezioni non sfolgoranti questa nuova stagione presenta storie scialbe, con poco mordente e prive di quella forza sovversiva, quella cattiveria che caratterizzava Black Mirror. Chiariamoci, gli episodi sono sempre di qualità eccelsa: effetti speciali, attori, regia, montaggio, il comparto tecnico è ineccepibile, i plot interessanti, ma questo non è Black Mirror, o meglio, è Black Mirror nella sua versione più educatina e rispettosa, la sua versione sedata ed edulcorata, che non spezza l’anima, ma agguanta consensi dal grande pubblico, proprio quello da cui doveva stare alla larga un franchise come questo.

Molti episodi di questa quarta stagione sono fini a loro stessi: ottime storie raccontate superbamente, ma che lasciano il tempo che trovano, non graffiano. Nel caso di altre serie fantascientifiche – come la recente Philip K. Dick’s Electric Dreams – ci si potrebbe anche accontentare di questo, voglio dire, è come chiedere a Padoin di fare il Cristiano Ronaldo della situazione, ma se per Padoin posso accontentarmi, da Ronaldo voglio lampi e prodigi, dai fenomeni pretendo i miracoli e questa quarta stagione di Black Mirror è tutt’altro che miracolosa, dimenticabile piuttosto.

Viene da rimpiangere i tempi in cui Black Mirror era prodotto dalla assai più libera (anche se certamente meno ricca) BBC, che non imponeva paletti creativi a Brooker, lasciandolo libero di sfogare tutta la sua cattiveria e sfiducia nel presente, cattiveria e sfiducia con le quali ci faceva soffrire, ci bastonava. E a noi piaceva molto di più farci bastonare dalle fantasie malate di un superbo showrunner come Brooker, piuttosto che blandire dalle moine di mamma Netflix. C’era un tempo in cui Black Mirror era Black Mirror, impossibile da inscatolare in un genere: adesso, con questa quarta stagione, Black Mirror è diventato semplice fantascienza, il ghigno malefico che ci faceva intravedere sui nostri schermi neri si è trasformato in una banale emoticon.


Fine della parte spoiler free. Da qui in avanti si parla degli episodi nello specifico.


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4×01 | U.S.S. Callister | Regia di Toby Haynes | Voto ●○○○○

Ci risiamo, il citazionismo ottantino ormai regna sovrano, costringendoci a una storia che sa di già visto e che regala pochissime sorprese. Un uomo crea un videogioco che si basa su una realtà aumentata dove può trasporre le persone che conosce semplicemente carpendo in qualunque modo il loro DNA. All’interno del gioco l’uomo è praticamente onnipotente (circa) e si diverte a farla pagare a tutti coloro i quali si comportano male con lui nella vita vera, dove ovviamente è un sottomesso sociopatico. Episodio debole, con un lieto fine che risulta quasi grottesco se si pensa a cosa dovrebbe essere questo franchise.

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4×02 | Arkangel | Regia di Jodie Foster | Voto ●●○○○

Leggermente migliore rispetto al precedente. In un futuro assai prossimo viene inventato un prototipo di chip da impiantare nel cervello dei bambini in modo che i genitori siano sempre informati sul loro stato di salute, sulla loro posizione abbiano la facoltà di vedere quello che i loro figli vedono. Una mamma apprensiva dà il permesso di sperimentarlo sulla figlia, creandole così, una volta adolescente, un marasma di problemi che ovviamente porteranno a conseguenze spiacevoli.

Episodio più prevedibile dell’esito di Barcellona-Fidelis Andria, al Camp Nou con la Fidelis in dieci e sotto di otto gol all’ottantaseiesimo minuto. I presupposti per fare qualcosa di decoroso ci sarebbero anche, ma il tutto si risolve in un banale conflitto madre-figlia, che non soddisfa fino in fondo.

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4×03 | Crocodile | Regia di John Hillcoat | Voto ●●●○○

Diretto da John Hillcoat (The Road, Lawless) Crocodile dei primi tre è certamente il migliore. Cinico e pessimista, nonostante la tecnologia non sia l’elemento scatenante della critica all’essere umano, riesce a imbastire una storia di sangue e vendetta, che si dimostra perlomeno in linea con le storie di Brooker. Una coppia investe per sbaglio un ciclista e per evitare la punizione getta il cadavere in un lago. Anni dopo, lui va da lei dichiarando di voler scrivere una lettera ai familiari del defunto. Lei reagisce uccidendolo e dando inizio a una spirale di violenza dalla quale non riuscirà più a sottrarsi.

Ottima regia, ottimi interpreti, buona storia, ma anche qui manca qualcosa: la tecnologia (peraltro già vista) in Crocodile è la soluzione, non il problema.

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4×04 | Hang the DJ | Regia di Tim Van Patten | Voto ●●●○○

In assoluto uno dei due migliori episodi della stagione, forse proprio quello che meglio si ricongiunge alla linea tracciata dalle prime due stagioni dello show. In un mondo distopico le persone vivono sotto il controllo di un Sistema che organizza per loro incontri amorosi dalla durata prestabilita, al termine della quale dovranno lasciarsi per forza. Due giovani però, nonostante si frequentino per poco, si innamorano per davvero e vogliono ribellarsi alla schiavitù a cui sono soggetti.

Nel mirino di Brooker ci sono qui le app di dating e, più in generale, tutti quei sistemi che provano a surrogare l’amore, che tendono a ridurlo a un mero incrocio di statistiche, quasi si stesse parlando di calciatori su FIFA, invece che di persone.

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4×05 | Metalhead | Regia di David Slade | Voto ●○○○○

L’episodio peggiore. Insulso, completamente avulso da ogni discorso socio-politico. Metalhead si limita a raccontare una storia vista e rivista in qualsiasi film di exploitation post-apocalittico, senza riuscire ad offrire nulla se non quello che si vede sullo schermo: una donna che scappa da un robot assassino. Tecnicamente ineccepibile, un bianco e nero meraviglioso, ma nient’altro. Vuoto.

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4×06 | Black Museum | Regia di Colm McCarthy | Voto ●●●●○

Auto-referenziale, pieno di fanservice, con derive più fantasy che fantascientifiche, ma questo è stato decisamente il mio episodio preferito. Una giovane donna va a visitare il Black Museum, un luogo dimenticato da Dio che conserva cimeli di esperimenti scientifici finiti male. Oltre a intravvedersi molti dei congegni infernali che abbiamo conosciuto durante gli episodi passati, il sinistro custode racconta alla giovane tre casi particolari, tre racconti di incubo e perdizione, tutti caratterizzati da un (ab)uso sconsiderato di nuove tecnologie, usate per il proprio godimento personale senza ragionare sulle conseguenze.

Follia e dolore, vendetta e violenza psicologica: finalmente il vero Black Mirror, finalmente quella sensazione di malessere psicofisico che, masochisticamente, i fan di questa serie tanto desiderano e che per la maggior parte di questa nuova stagione non hanno avvertito o, se lo hanno fatto, in modo blando, educato, ripulito, senza mordente.

Brooker e Netflix, ridateci un Black Mirror come quest’ultimo episodio.

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Federico Asborno

L'Asborno nasce nel 1991; le sue occupazioni principali sono scrivere, leggere, divorare film, serie, distrarsi e soprattutto parlare di sé in terza persona. La sua vera passione è un'altra però, ed è dare la sua opinione, soprattutto quando non è richiesta. Se stai leggendo accresci il suo ego, sappilo.
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