All’alba del primo pomeriggio di un ozioso 27 Dicembre, Netflix decide di rilasciare il trailer che fa esplodere l’Internet: al mondo viene presentato Bandersnatch, il famigerato film interattivo realizzato per la saga Black Mirror, direttamente dalla mente di Charlie Brooker.

Ora… non sono proprio la persona adatta per parlare di Black Mirror; credo (e affermo con certezza) che ci sia un netto Prima e un ben definito Dopo dallo sbarco della serie britannica sulla piattaforma streaming più famosa al mondo. Io, ovviamente, sto dalla parte del Prima: in poche parole, trovo che la saga si sia commercializzata molto negli ultimi anni; si è persa quella cattiveria (fin eccessiva) di fondo, la sensazione di vuoto e disperazione lasciato da episodi come Orso Bianco o Bianco Natale. Le nuove stagioni hanno ben poche storie capaci di far riflettere a fondo sul lato oscuro dell’evoluzione tecnologica e il rapporto tra uomo/futuro/macchina. Insomma, fanculo San Junipero!

Anche questo progetto della puntata interattiva, una volta annunciato, mi ha fatto parecchio storcere il naso: sotto questo punto di vista mi considero un purista, e un film sulla carta non concluso o troppo aperto allo spettatore va troppo oltre il concetto di libertà artistica, diventando un non-film e uccidendo il Cinema. È un concetto difficile da spiegare, vorrei quasi invitarvi a bere un caffè insieme e parlarne a quattrocchi.
Eppure, dopo questa premessa polemica e pedante, ho deciso di infognarmici e capire se Bandersnatch fosse o meno un prodotto valido. Quantomeno recensibile, visto le molteplici combinazioni di storie e intrecci. Ora proverò a parlarvene globalmente, rigorosamente NO SPOILER.
In bilico tra realtà e delirio
Il “film” si ispira a un omonimo videogioco mai pubblicato dalla Imagine Software a causa di un fallimento della stessa casa sviluppatrice; in una tiepida estate inglese dell’84, un giovane programmatore inglese (Stefan) sta realizzando un videogioco interattivo a scelta multipla (A o B) di nome Bandersnatch, in cui il giocatore può decidere in prima persona il destino del suo personaggio. Acciderboli, come mi suona famigliare. E pensare che questi giochini li facevo qualche tempo fa anche su Topolino.

Da una premessa decisamente interessante, si snoda un gigantesco diagramma invisibile in cui siamo noi a guidare Stefan: dalla scelta dei cereali la mattina, alla colonna sonora fino a ottenere un differente finale per ogni risposta data. Circa.
In un’annata videoludica che ha visto uscire Detroit: Become Human (gioco pressoché identico nel “gameplay”, anche se molto più articolato), questo tipo di quick time events non mi trova impreparato. Dovrete rispondere ad ogni bivio entro un tempo prestabilito con il vostro telecomando, mouse o controller se foste su console. Ma io non avrei dovuto recensirvi un film? O sbaglio?!

Narrativamente e cinematograficamente parlando, Bandersnatch funziona sì e no: se da una parte lo spettatore è coinvolto, immerso e chiamato a cogliere ogni sfumatura di quello che succede sullo schermo, dall’altra si perde molto dal punto di vista di dialoghi e spessore dei personaggi. Inoltre, nonostante la storia sia “divertente”, nel riavvolgersi continuamente su se stessa perde di coerenza in più punti. Insomma, troppe vie da percorrere tutte insieme. D’altronde, manca un unico vero grande punto finale.
Filosofia spiccia e poco altro
Bandersnatch prova a far uscire,da sotto la pelle di film innovativo, il più classico spirito blackmirroriano: ossessioni, paure e fallimenti mettono in risalto le frustrazioni di un ragazzo adolescente alle prese con la realizzazione dell’agognato Bandersnatch. Spesso in bilico tra lucidità e follia, ruotando attorno al concetto di determinismo, Stefen è una cavia e come ogni giovane depresso e complessato che si rispetti si approccia a filosofie di vita intrecciate alla logica del gaming. Tutto il discorso fatto su P.A.C. Man (Projected and Controlled) sotto effetto di acidi è l’unico momento davvero da esplosione di cervelli. Alla faccia dei terrapiattisti.

Purtroppo però, tolte alcune trovate interessanti, rimane poco altro: Bandersnatch è un esperimento altezzoso, che tenta di essere troppe cose tutte insieme e che finisce per perdere il filo del discorso. L’abuso di flashback, una struttura narrativa non particolarmente precisa e la mancanza di una vera e propria chiusura a ogni differente “film” sono tra le pecche più evidenti.
In mezzo a tutto questo, il più grande rimpianto è da imputare proprio all’elemento cardine: le scelte. Queste non danno quella piena sensazione di libertà all’interno della storia; fidatevi, quando vi dico che il vero criceto in trappola è lo spettatore: uno schema ripetitivo, abbozzato e pieno di sé che finisce per implodere. Bandersnatch è solo un’idea “innovativa”, che deraglia verso i lidi dello stereotipo e del “déjà vu”.

Si sarebbe dovuta scrivere la storia, invece…
Se il gioco intriga e si lascia finire senza troppi intoppi, il roleplay non riesce a essere altrettanto coerente o abbastanza profondo; i temi sono grattati solo alla superficie e la smania di stupire a tutti i costi rovina le più rosee premesse create.

Sarebbe dovuta essere la data in cui si scriveva la Storia con la S maiuscola, eppure siamo qua a parlare ancora una volta dell’ennesimo fumo (e niente arrosto) sfornato da Netflix. Se questo è il futuro del “Cinema interattivo” sulle piattaforme streaming siamo fottuti. Invece, se questa è la nuova strada del gaming… siamo fottuti uguale.