Film

Black Panther: il cinecomic che ci prova e ci riesce (ma ne siamo sicuri?)

Il giovanissimo Ryan Coogler, dopo il bel Creed e l’ancor più bello Fruitvale Station (che, per chi se lo fosse perso, è disponibile su Netflix), con questo Black Panther ha ottenuto finalmente lo shot per il successo, e, premettendolo, ha dimostrato tutto il suo valore come regista. Il nuovo cinecomic targato Marvel, infatti, è esteticamente un ottimo film, pieno di personalità e carattere.

Ma andiamo per gradi, non vorrei perdere l’aura da cagacazzo che mi contraddistingue già da ora!

Black Panther ce l’ha, quindi, una trama? (SENZA SPOILER)

A grandi linee, perché ce ne interessa poco: c’è questo T’Challa, interpretato da Chadwick Boseman, che vi ricorderete per gli altri film Marvel precedenti a questo o per Gods of Egypt – e se non ve lo ricordate per quest’ultimo film, tranquilli, è solamente un bene – il quale è il figlio del re del Wakanda e quindi ascendente al trono, e veste i panni di Pantera Neratrovandosi a combattere contro Gollum (Andy Serkis) prima, e con il figlio di Apollo Creed poi (Michael B. Jordan, che ormai non va in bagno solo se accompagnato dal signor Coogler).

Ci sono poi vari personaggi di contorno ad accompagnare l’azione, come il Martin Freeman di Sherlock, che interpreta l’agente Ross, o il Daniel Kaluuya, candidato recentemente all’oscar per Get Out, che qui interpreta il Salvini di colore del Wakanda.

Come accennato, sotto il lato tecnico…

Black Panther è ottimo, sicuramente al pari di Doctor Strange e un pelino sotto i due film sui Guardiani della galassia: ha dei guizzi particolarmente vistosi come il piano sequenza alla Kingsman nel casinò, o ancora di più, l’intelligentissima inquadratura letteralmente capovolta che vuole indicare il sovvertimento della situazione precedente (e chi l’ha visto, sa di che situazione parlo). Le scene d’azione sono esaltanti, gestite bene, grazie anche al massiccio uso della CGI che è, ovviamente e purtroppo, inevitabile in pellicole del genere.

Dunque, c’è un “ma”: togliamoci questo dente.

Mentre scrivevo il precedente, mi sono reso conto di star riassumendo al massimo per arrivare a questa sezione, in cui cercherò di spiegare perché il film non mi sia piaciuto: per carità, non sono così presuntuoso da definirlo un film pessimo perché, nei fatti, non lo è e sarei incoerente a definirlo tale dopo averne tessuto le lodi.

Black Panther ha, però, un difetto per me non trascurabile: sin da quando ho iniziato a masticare cinema, la regola fondamentale che ho imparato è che per scrivere (sì, perché i film, prima di essere girati, si scrivono, categoricamente) è avere qualcosa da dire.  Il film di Coogler, da dire, ha davvero poco. Non vorrei passare per il nazista del cinema che non sono, ho anche io dei miei guilty pleasures ma, guardando questo lavoro, la sensazione di questo l’ho già visto o scommetto che ora succederà questo era davvero troppa.

Non mi basta un po’ di politica sulle minoranze portata avanti da Killmonger per accontentarmi e classificarlo come film sovversivo e critico, non è il fatto che si mostrino degli afroamericani che rovesciano un governo che mi permette di classificarlo come un film anti-Trump. Per quanto ci si sforzi, Black Panther non è e non può essere un film politico, perché l’ago della bilancia cade, inevitabilmente, sulla forma, su un intrattenimento che è fine a se stesso e che lo rende, semplicemente, un altro film di supereroi. E ciò, nei fatti, non è un difetto vero e proprio! Sarei più folle di quelli che annunciano la fine del mondo in strada a voler andare contro i film di supereroi, perché incassano, attirano e sono attesi, e l’industria, prima di tutto, è business. A parità di giorni di trasmissione, un film come Black Panther incasserà sicuramente il doppio rispetto ad un Chiamami col tuo nome qualsiasi, e non c’è da stupirsi, perché il grande pubblico da sempre è abituato a dividere senza alcun fondamento i film in base alla loro leggerezza o pesantezza (con quel piccolo puntino in mezzo rappresentato dai film di Nolan, che vanno visti da tutti per essere, necessariamente, distrutti).

Tiriamo le somme, con un po’ di SPOILER.

Il pregio maggiore di questo Black Panther è, in conclusione, l’essere un film della Marvel: sono abbastanza convinto che se si fosse chiamato Coglione che si veste da gatto e combatte per un’imprecisata e fittizia terra africana, la critica e le persone non lo avrebbero accolto come è stato accolto. Non tutti siamo capaci di ammettere di aver capito che l’esercito di M’Baku sarebbe accorso nonostante il rifiuto, che T’Challa avrebbe perso il primo scontro con Killmonger per tornare più forte di prima, che Zuri sarebbe morto, giustificando il tutto con ma è così anche nel fumetto! senza pensare che se, come si dice comunemente, esistono nel cinema sette storie, qui si è scelto di utilizzare quella più volte riciclata senza cambiarne nemmeno un particolare. E voler proporre questo Black Panther come un qualcosa di fresco e originalissimo, è un insulto all’intelligenza di noi spettatori.

L’ultimo lavoro di casa Marvel, dunque, va preso per quel che è: intrattenimento semplice e puro, impacchettato bene, per giunta.

Sta, ora, a voi decidere che tipo di intrattenimento vi piaccia.

Vincenzo Di Maio

Nasce in quel di Napoli nel 1998 ma è rimasto ancora negli anni '80. Spesso pensa di esser stato un incidente ma i suoi genitori lo rassicurano: è stato molto peggio. Passa la totalità della sua giornata a guardare film e scrivere, ma ha anche altri interessi che ora non riesce a ricordare. Non lo invitate mai al cinema se non avete voglia di ascoltare un inevitabile sproloquio successivo, qualunque sia il film.
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