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BlacKkKlansman, o come farsi detestare pur avendo perfettamente ragione

BlacKkKlansman, Spike Lee e la retorica nera senza vestito da sera

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Sono tanti i motivi per cui questo BlacKkKlansman mi ha fatto prima annoiare, poi incazzare e infine mi ha fatto sentire trattato come un poppante. Tutti e tre questi motivi dipendono per ovvie ragioni dal regista Spike Lee, autore di capolavori immensi come La 25ª ora, ma anche di schifi epocali come l’infausto remake di Oldboy (secondo capitolo della Trilogia della Vendetta di Park-Chan Wook) con Josh Brolin.

Fase 1 – L’insostenibile noia mortale

Ispirato a fatti realmente accaduti, BlacKkKlansman ci racconta la storia di Ron Stallworth (John David Washington), agente di polizia di colore operante a Colorado Springs verso la fine degli anni Settanta. Appena dopo essere entrato nel corpo di polizia Ron trova, quasi per caso, il modo di infiltrarsi tra le file del famigerato Ku Klux Klan, che minaccia non solo la libertà, ma anche l’incolumità della folta colonia nera (parecchio incazzata) della città. Per portare a termine il suo piano però avrà bisogno dell’appoggio di un collega bianco che si finga lui e la scelta ricade su Flip Zimmerman, ebreo interpretato dal grande Adam Driver (Il risveglio della forza, Silence, PatersonGli ultimi Jedi, La truffa dei Logan).

Cominciamo col dire che per partire il film ci impiega mezz’ora buona, mezz’ora buona durante la quale il regista ci mostra per sommi capi Colorado Springs e i personaggi che di lì a poco metterà in gioco, ma lo fa con un ritmo piatto e monocorde, con dialoghi abbastanza stiracchiati che fanno venire voglia di adagiarsi tra le placide braccia di Morfeo e sistemarsi la giacchetta a mò di copertina. I punti nodali sono chiari fin da subito: i razzisti sono idioti, i neri sono vessati e – sebbene molti di loro forse esagerino a restituire violenza alla violenza che subiscono – hanno ragione in tutto e per tutto.

Tutto giusto eh, sia chiaro, ma dove sta la novità?

BlacKkKlansman

Fase 2 – Il film che divenne groviera

(Da qui in avanti SPOILER, siete avvisati)

Ci sono tante cose che Spike Lee avrebbe potuto fare per rendere BlacKkKlansman più interessante e ben riuscito di quello che è venuto fuori, la prima sarebbe stata assicurarsi di avere tra le mani una sceneggiatura degna di questo nome. Partiamo da un presupposto: il film, al di là della denuncia sociale, del pistolotto sull’idiozia congenita dell’americano medio eccetera eccetera, è un giallo investigativo in cui due agenti si infiltrano nel Ku Klux Klan allo scopo di svelarne gli intenti criminosi. Ok la morale, ok i pochi accenni umoristici (quasi tutti affidati all’idiozia di quei decerebrati del KKK), ma santo cielo, esigo una sceneggiatura che non sia piena di buchi, errori logici e insensatezze che vado a sottolinearvi:

  • Partiamo dal finale, l’osceno, inutilissimo finale nel quale in fin dei conti non succede niente: tutto lo sbatti e i rischi che si sono presi Ron e Flip non conducono a niente, escluso l’arresto della moglie di Felix (la più inutile dell’intero gruppo) e a Ron che si diverte a sfottere Duke al telefono, mentre quegli ebeti dei suoi colleghi ridono alle sue spalle. Sti gran cazzi!
  • Qualcuno mi spiega la scena in cui Ron e Patrice che escono dalla stanza con le pistole in mano e vedono la croce in fiamme fuori dalla finestra? Cosa vorrebbe dire? Il Ku Klux Klan vivrà per sempre? La minaccia del razzismo non è stata estirpata grazie all’ (inutilissima) operazione sotto copertura di Ron e Flip? Lui e Patrice combatteranno per sempre contro i suprematisti bianchi? È nata una nuova coppia di supereroi? Non so, mi ha lasciato interdetto, mi sa tanto di scena finale da film di Batman old-school, in cui lui e Robin corrono in slowmotion verso il Bat-segnale. Boh. Solo boh.
    BlacKkKlansman
    “Qualcuno ha detto ‘buchi di trama’”?

     

  • Che senso narrativo ha far saltare la copertura di Flip quando il tizio che l’ha beccato e Felix, ovvero gli unici due che sanno la verità, prendono e se ne vanno circa tre minuti dopo? E poi che non-suspence provo io spettatore quando il tizio spunta a caso e dice “Ah sì, lui lo conosco, una volta mi ha arrestato”. Ma mostrarmi un flashback di venti secondi, magari all’inizio, in cui vedo tutto ciò? No? No. Scena inutile, che sfocia nel niente.
  • Ma soprattutto (e questo è un “soprattutto” abbastanza grosso, visto che è uno dei cardini dell’intero film) che senso ha far gestire l’operazione da due agenti, uno al telefono e uno che fa l’infiltrato, con la voce ovviamente diversa, rischiando di far saltare l’intera copertura? Una volta stabilito, in modo tra l’altro estemporaneo, il contatto col KKK non sarebbe stato meglio affidare l’intero caso (telefonate comprese) ad Adam Driver, invece che rischiare di compromettere il tutto con eventuali contraddizioni o imprevisti (nei quali in effetti hanno rischiato di incappare)? Non ci è dato sapere. Ok che il film è tratto da una storia vera, ma perché questo non viene spiegato? Non ha senso.
BlacKkKlansman
“Scriverla meglio ‘sta sceneggiatura no, eh?”

Fase 3 – Quindi mi stai dicendo che in America c’è ancora il razzismo?

So che questo è il punto più delicato, e so anche che c’è una pletora di perbenisti che nel poco spazio del loro cervellino svolgeranno la semplice equazione BlacKkKlansman è un film contro il razzismo, dunque se critichi BlacKkKlansman sei razzista”.

Ecco, no, signori, perché un film (come è BlacKkKlansman) può anche essere portatore e difensore di principi sani, ma se è fatto a culo è fatto a culo e questo è un buon esempio di film fatto a culo. Anzi, più che a culo, visto che è così perbenista e retorico da far vomitare. Vogliamo parlare delle scene di Charlottesville inserite completamente a caso sul finale?

Ho capito cosa voleva fare il regista: dirci che quella roba lì, il razzismo, il suprematismo bianco, il KKK, l’idiozia, la pochezza dell’essere umano, non è roba vecchia, ma la viviamo ancora oggi, sulla nostra pelle, sta sulla bocca di quelli che ci governano. Ok. Ma, casomai non avessi mai acceso un notiziario o non avessi mai letto un giornale, questo mi era chiaro fin dai primi 5 minuti di film. C’è già in ogni inquadratura, in ogni battuta di dialogo, in ogni scelta registica. Anzi, se io spettatore so chi è Spike Lee non c’è nemmeno bisogno di accendere il proiettore per sapere come la pensa sulla questione afroamericana.

Quei filmati sul finale mi hanno fatto capire che idea abbia il regista del suo pubblico: un gregge da educare, che non sa pensare con la sua testa, ma che ha bisogno della sua miracolosa dottrina per capire in che mondo vive. Mi sono sentito inutilmente imboccato da immagini di repertorio che non aggiungono assolutamente nulla al senso del film e che aggravano in modo eccessivo il peso della retorica del regista, già assai considerevole dopo la scena in montaggio alternato in cui il vecchio signore nero racconta la storia dell’amico linciato, mentre il KKK svolge una sua patetica funzione religiosa.

BlacKkKlansman

L’unico pensiero che non sono proprio riuscito a togliermi dalla testa durante l’intera visione del film era che tutto questo, tutto questo discorso sugli afroamericani, sul Ku Klux Klan e sulla sua assurdità, sull’insensatezza del razzismo e la cattiveria ignobile dei redneck, che spesso produce esiti involontariamente comici, l’aveva già trattata un altro regista, un regista infinitamente più dotato e tra l’altro insultato dallo stesso Spike Lee per la sua trattazione troppo frivola e cinematografica del dramma della schiavitù nera. Il regista ovviamente si chiama Quentin Tarantino e la scena in questione, tratta da Django Unchained, è la seguente. 

…Dopotutto cosa pretendere da uno che si è persino abbonato all’Inter?

Federico Asborno

L'Asborno nasce nel 1991; le sue occupazioni principali sono scrivere, leggere, divorare film, serie, distrarsi e soprattutto parlare di sé in terza persona. La sua vera passione è un'altra però, ed è dare la sua opinione, soprattutto quando non è richiesta. Se stai leggendo accresci il suo ego, sappilo.
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