Film

Blood Simple – Sangue Facile: la superba prima volta dei fratelli Coen

Quando uscì Blood Simple – Sangue Facile, nell’ormai remoto 1984, Joel ed Ethan Coen avevano rispettivamente 30 e 27 anni. Un po’ troppi per un’opera prima, dite? Beh, io suppergiù viaggio su quella cifra e quando riesco ad aprire una scatoletta di tonno senza contestualmente dare fuoco alla cucina mi sento arrivata, quindi fate voi. I due fratelli per antonomasia, invece, hanno diretto un thriller che è un piccolo gioiello: strutturalmente perfetto, teso dall’inizio alla fine, senza sbavature. E, stranamente, senza alcuna concessione all’ironia; mentre il Crocevia della morte di qualche anno dopo sarà un mirabolante sfottò ai noir Anni Venti, Blood Simple – Sangue Facile sembra anticipare alcuni temi che esploderanno poi in Fargo: la banalità del male, la casualità degli eventi, l’etica e la morale che soccombono non tanto di fronte alla crudeltà, quanto piuttosto davanti a una grigia apatia.

Anche lo scenario per certi versi è simile: con Fargo eravamo nel gelido Minnesota, mentre Blood Simple – Sangue Facile è ambientato in un polveroso Texas. Cambiano i colori, ma non quello che si portano dietro: una squallida, desolata periferia americana, dove, come recita la voce fuori campo in apertura, nessuno riesce ad essere contento. Neanche Abby, una giovanissima e già strepitosa Frances McDormand, sposata con Julian (Dan Hedaya), un greco non particolarmente affascinante che gestisce un locale parimenti intrigante in mezzo al nulla, la quale per noia più che per amore finisce a letto con Ray (John Getz), dipendente del marito. Che a sua volta da buon mediterraneo è geloso come una bertuccia, sospetta qualcosa e assolda il detective privato Loren (M. Emmet Walsh) prima per scoprire la tresca, e poi per uccidere i due piccioncini. Peccato solo che Loren non sia un monumento alla virtù e all’integrità professionale.

 

Blood Simple – Sangue Facile è un manifesto di gran parte di ciò che saranno i fratelli Coen negli anni a venire: un giallo sempre sull’orlo del noir, e una riflessione sulla meschinità che però non sfocia mai in pedanti intenti didascalici. Al contrario, i nostri si limitano a fare un’analisi chirurgica della commedia umana che mettono in scena, senza mai giudicarla: sappiate che possiamo trasformarci anche in questo, sembrano volerci dire, e che non devono per forza esserci condizioni così straordinarie perché accada. Succede, semplicemente, perché così è la vita.

Blood Simple – Sangue Facile è perfetto perché, oltre a tutto questo, tiene lo spettatore sul filo del rasoio dall’inizio alla fine, in un crescendo di tensione che nelle battute finali raggiunge l’apice – il duello degli ultimi venti minuti è un omaggio a più di un film di Hitchcock; perché la vita, oltre che meschina, è adrenalinica, e spesso in pochi attimi accade più che in interi anni.

Per certi versi addirittura migliore di alcuni film successivi dei Coen, Blood Simple – Sangue Facile merita una visione per tanti motivi: perché è il primo di una lunga serie di piccoli e grandi capolavori, perché contiene già tutto quello che arriverà in seguito, perché è ideale per un viaggio nell’America profonda senza muoversi da casa. Perché è bellissimo, insomma.

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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