Boardwalk Empire è una serie che volevo guardare da circa 7 anni. Ci ho messo un po’, ma alla fine sono arrivato; voglio dire, anche Gesù se l’è presa comoda.
Il motivo per cui ero così curioso di vedere Boardwalk Empire era uno e semplice: Martin Scorsese ha prodotto la serie – tra l’altro insieme a Mark Wahlberg: ma che cazz… – e ha diretto l’episodio pilota, nonché il più lungo di tutta la serie. E già questo mi sembrava un motivo sufficiente.
Il motivo per cui ho rimandato così tanto la visione, invece, è piuttosto oscuro. Il fatto è che sono uno che non è costante con le serie tv. Un sacco di volte sarà capitato anche a voi di iniziare una serie, guardarne un po’ e poi lasciarla lì, senza mai finirla.
A me per esempio è capitato con Madmen: l’ho iniziata qualcosa come tipo 5 volte, ma nel migliore dei casi non ho comunque superato la terza stagione. E Madmen è una serie tv spaziale, capiamoci.
Il problema credo sia che le serie tv, per essere apprezzate per davvero nella loro interezza richiedono costanza. Caso diverso è quello in cui seguite una serie tv passo passo con la messa in onda e allora siete “costretti” all’attesa dovuta alla produzione delle nuove stagioni.
Il fatto è che a me le serie lunghe hanno sempre fatto paura, proprio perché magari le inizi coi migliori propositi, ma poi succede qualsiasi cosa nella tua vita e perdi costanza. Sempre di più. E alla fine abbandoni. Sembra il racconto di una carriera sportiva agonistica.
Boardwalk Empire, comunque sia, è stata in qualche modo magnetica.
In realtà la prima stagione parte anche tutto sommato lenta. Ma lenta alla maniera di Scorsese: quindi, in pratica, non lenta per davvero.
Il pilota è spaziale ed è perfetto per introdurre lo stile che caratterizzerà la serie. Ma è perfetto anche per presentare il tema – e le conseguenze di esso – di cui si andrà a parlare: il proibizionismo.
Passo indietro. Boardwalk Empire è un caso un po’ borderline nel panorama della serialità televisiva, in quanto il suo soggetto è tratto da un saggio storico di Nelson Johnson, ispirato dalla vita di Enoch Johnson, che sarà il protagonista col cognome mutato in Thompson.
Questo è un punto fondamentale, perché, nonostante (ovviamente) la serie sia romanzata, la ricostruzione storica degli eventi e del contesto è precisa e accurata.
L’episodio pilota mostra l’approvazione del Volstead Act, l’atto con cui il governo statunitense rese il commercio e la distribuzione di alcolici illegale in tutto il paese, fenomeno meglio noto col nome di proibizionismo.
Come immagino sia evidente, Boardwalk Empire è una serie con protagonisti criminali e quindi è logico aspettarsi l’emergere di contrabbandieri. Nel pilota Scorsese dipinge il passaggio dell’atto che da il via al proibizionismo come un motivo di festa per le organizzazioni criminali. Anche una delle tagline della serie infatti recita
Atlantic City, 1920. Quando l’alcool fu messo fuorilegge, i fuorilegge divennero i re.
Di primo acchito ci si aspetterebbe il contrario e questa risulta dunque la prima presa di posizione di una serie che in qualche modo vuole essere politica e parlare di America, quella di ieri ma anche quella di oggi. Da qui la fondamentale ricostruzione storica.
Boardwalk Empire, lungo tutta la sua durata, insiste sul mostrare quanto il proibizionismo sia stato in realtà un clamoroso autogol da parte del governo statunitense, che diede il via libera alla proliferazione della criminalità, peraltro impossibile da arginare, vista la corruzione dilagante.
Inoltre pensate solo al fatto che, anche dopo l’abolizione del Volstead Act – e di conseguenza il tramonto del proibizionismo – per coprire tutta la domanda di alcolici il commercio legale impiegò qualcosa come 15 anni. Sostanzialmente una miniera d’oro per i criminali, che per circa 40 anni hanno avuto un commercio inesauribile tra le mani, a discapito degli introiti legali.
L’altro elemento che rende Boardwalk Empire una serie un po’ sui generis è proprio il contesto criminale.
Il rischio era ovviamente quello del già visto. Gli anni ’70 e ’80 ci hanno straordinariamente abituati al cinema legato alla criminalità e, infatti, la presenza di Scorsese come produttore della serie non è casuale. Quella di Mark Wahlberg molto di più.
Lo stile, le atmosfere che si respirano in Boardwalk Empire devono molto a film come Quei bravi ragazzi o Casinò, giusto per citarne due. Ma in generale si respira tutto il cinema gangster di quegli anni. Tra le altre grandi influenze non si può non citare Brian De Palma, in particolare per Scarface, ma soprattutto per Gli intoccabili, ambientato per giunta nello stesso contesto storico, ma all’apice del potere di Al Capone.
Poi è arrivata anche I soprano, serie stellare, definitiva, maestosa e da cui Boardwalk Empire ha preso tantissima ispirazione. Mi sento quasi di dire che senza I soprano Boardwalk Empire non sarebbe potuta esistere.
E comunque questa serie ha trovato il modo di essere originale e innovativa.
Il protagonista è Steve Buscemi, che interpreta Enoch “Nucky” Thompson. Steve Buscemi in questa serie è stellare, perfetto. Cioè Steve Buscemi è un figo sempre: Le Iene e Il grande Lebowski ce li ricordiamo? Ma questo è il suo ruolo definitivo. Un po’ come Tommy Shelby per Cillian Murphy.
Ecco. Boardwalk Empire è un Peaky Blinders prima che esistesse Peaky Blinders, meno figo ma più gangster, non so se mi spiego.
Peaky Blinders è una serie che punta molto sul suo aspetto cool. Questo non è per dire che sia una serie di merda, anzi. È solo per dire che punta molto sull’estetica e sull’aspetto in sé, seppur sia comunque piena di contenuto.
Boardwalk Empire è più equilibrata. L’elemento stilistico è fondamentale e imprescindibile anche qui. Voglio dire, la colonna sonora anni ’20 onnipresente è un elemento essenziale per conferire alla serie il suo tono caratteristico. E poi i costumi regà. Cioè Steve Buscemi è sempre stato brutto, ma quanto è figo quando indossa i gessati?! Quanto sono fighi tutti i personaggi di ‘sta serie coi loro abiti eleganti e indossati con uno stile che ti portano a provare attrazione sessuale verso di loro.
Il contenitore di Boardwalk Empire è poi riempito di un contenuto di livello altissimo.
Come in molte serie tv ci troviamo di fronte ad una narrazione corale. Ma il modo in cui è corale qui, su una scala che va da romanzo rosa che puzza a capolavoro definitivo di sceneggiatura, si avvicina molto alla perfezione.
Ogni personaggio in Boardwalk Empire funziona perché è perfettamente interrelato con gli altri. L’unico personaggio autonomo, in questo senso, è proprio Nucky Thompson, e non è un caso.
Perché Boardwalk Empire è una serie che, come molti soggetti gangster/malavitosi, parla di ambizioni personali in contrasto, in cui una fitta rete di interessi si incastrano tra loro e determinano il procedere degli eventi. In questo scenario Nucky Thompson sembra un demiurgo onnipotente capace di portare sempre la marea dalla sua parte. Ma tutto ciò ha un prezzo: la solitudine.
Nucky è sostanzialmente un uomo solo. Nonostante sia circondato da una moltitudine infinita di persone, queste lo circondano perché detiene il potere e perché gli conviene. Nei momenti del bisogno Nucky si trova a combattere da solo, viene tradito e lasciato in balia di se stesso, salvo rare eccezioni significative.
E anche questo è un altro punto di forza della serie: che presenta solo personaggi negativi. O meglio: ci sono personaggi non del tutto negativi, ma ciò non toglie che siano tutti, in qualche modo, macchiati da una sorta di peccato originale che corrode le loro esistenze dall’interno.
In questo senso il mio personaggio preferito è Richard Harrow, interpretato da un magistrale Jack Huston, di cui però non posso dirvi nulla per evitare gli spoilerz.
Vi lascio qui sotto un video che spiega perché Richard Harrow è uno dei migliori personaggi mai creati per una serie televisiva. Usatelo, come si suol dire, cum grano salis.
Sono rimasto sorpreso dalla capacità degli sceneggiatori nel tenere costante il livello di scrittura, cioè altissimo. Fa eccezione la quinta stagione, ma ci arriviamo.
Se è vero che Boardwalk Empire parte lento, è però anche vero che ciò è utile affinché la serie sia un crescendo continuo. Ovviamente le stagioni vivono del normale ritmo da serialità televisiva, che incalza costantemente lungo tutta una stagione per poi esplodere nel season finale. Ma le esplosioni di Boardwalk Empire lasciano strascichi incancellabili.
È come se, esplosione dopo esplosione, i personaggi venissero sempre più corrosi e distrutti, portandoli uno ad uno alla loro naturale conclusione. Tutto questo, nell’economia narrativa della serie, tiene il livello altissimo e setta dei ritmi di tensione costanti giocando splendidamente coi colpi di scena.
La quinta stagione è diversa. Si sente subito, non appena parte il primo episodio, che qualcosa è cambiato. Non sto parlando in termini di positività o negatività. Semplicemente la quinta stagione rallenta, respira, si prende spazi apparentemente incomprensibili (vista anche la lunghezza ridotta rispetto alle altre stagioni: 8 episodi contro i canonici 12) per narrare eventi che appaiono marginali per la risoluzione degli intrecci narrativi.
E invece alla fine torna tutto.
Perché Boardwalk Empire esplode di nuovo e assieme ad essa ‘stavolta esplodiamo anche noi. E l’esplosione ci lascia un vuoto, che non è il tradizionale vuoto da fine serie tv, quello per cui ti senti solo e abbandonato perché non hai più quel mondo di personaggi che popolava la tua mente da mesi ormai.
Il vuoto che lascia Boardwalk Empire è più simile al vuoto che probabilmente ha sentito Nucky Thompson lungo tutto il corso della sua età adulta. E che lui, come noi, si è illuso di poter riempire.