Serie TV

Bosch – Dalla città degli angeli, con furore

Allora, cari ragazzi e ragazze del quartiere, qual è la miglior serie di libri portata sul piccolo schermo?

Già sento arrivare i The Song of Ice and Fire del nostro simpatico serial killer letterario di quartiere G. R. R. Martin, e poi nelle retrovie qualcuno che aggiunge alla carta stampata anche i fumetti e quindi The Walking Dead e Fear of the Walking Dead.

E se vi dicessi che non è così? Che, a parere di chi scrive, esiste un prodotto persino migliore, con meno alti, bassi e vuoti narrativi. Una serie che dal primo all’ultimo episodio si mantiene altissima e che, forte di un castone-one-one e di un protagonista non appariscente – sicuramente lo riconoscerete, perché Titus Welliver ha una carriera costellata di comparsate di lusso qui e là, e senza ruoloni da protagonista spezza-schermo – ma enormemente umano, riesce sempre ad essere convincente ed emozionante.

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Trattasi di Bosch, figlia televisiva della serie di romanzi che Michael Connelly dedica al suo detective della omicidi di Los Angeles, come sempre fra luci ed ombre, ma stavolta a ritmo di jazz. Proprio così, perché se è vero che i libri possono dipingere immagini vivide quanto e a volte quasi più dello schermo, un procedural con una colonna sonora così calda proprio non mi viene in mente. E chissenefrega della musica, potreste dire. Beh, insomma: stupire, rendere memorabile, far sì che qualcosa rimanga ben scolpito nella memoria è una roba parecchio complessa. Deve colpire tutti i sensi possibili, e se è vero che la vista dovrebbe essere appagata in primis essendo un prodotto televisivo, e dato che di rado uno tende ad assaggiare i DVD/lo schermo, l’udito vien subito chiamato in causa per creare una esperienza completa. E beh, da amante del jazz, nonché dei buoni accostamenti, i ritmi caldi della musica noir per eccellenza si sposano benissimo con la fotografia di questa serie.

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Sulle strade di una Los Angeles più noir del noir prima ancora di prendere respiro e di ambientarci siamo nel vivo dell’azione, seguendo il nostro detective in un arresto che però non si conclude nel modo sperato trascinandolo in una pesante indagine disciplinare. È tosto Bosch, non le manda a dire: il suo passato e la sua infanzia l’hanno reso quel che è e fra una risposta incazzosa e un flirt anche voi vi chiederete perché faccia così, perché non chini la testa o semplicemente perché a volte non la pianti di fare cazzate. Ma è così, Harry, vi conquista come Amazon Prime ha conquistato me e mi ha spinto a rinnovare senza proprio pensarci su, ma manco per un secondo (non faccio marchettazze a quelli là, è proprio riconoscenza dovuta ad una meraviglia di serie).

È uno stronzo, un ruvido stronzo che non spiega mai troppo di quel che sta facendo, una testa calda forgiata dall’esercito e da una fede incrollabile nella polizia. E a fargli da contraltare c’è un villain coi controcazzi: Jason Gedrick in forma smagliante; splendido, complesso, fuori come un balcone pur senza cadere costantemente nell’overacting del pazzo-pazzo-pazzissimo che vi ha fatto amare quelle due schifezze cinematografiche che son stati i Joker di Ledger e Leto. *ciao haterzzzz, ciao Nolan, ciao mondo ciao*

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Uno dei grossi lati a favore di Bosch, oltre al budget stanziato da Amazon che la rende non solo un procedural incredibilmente ben fatta, è proprio la perfetta trasposizione dei libri sullo schermo.

E qui so bene di entrare nel paradiso dei pasdaran: è perfetta perché è uguale ai libri?

No. Due media diversi non possono incorporare lo stesso esatto contenuto perché il pubblico è diverso e sottostanno a diverse regole.

Quindi perché, secondo te, è perfetta?

Perché incarna alla perfezione l’idea, il messaggio, il Bosch che Michael Connelly ha creato nel (Dio, come mi sento vecchio) quasi lontano 1992.
Certo, il Bosch cartaceo ha combattuto in Vietnam e Connelly stesso fa dire ad uno dei personaggi che assomiglia al Dr. House di Hugh Laurie, non proprio il gemello perduto di Welliver. Ma, come dicevo, non è quello il punto.

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Insomma vi sarà impossibile non affezionarvi al lavoro impressionante che Titus fa per portare sullo schermo questo spigoloso, scostante ma allo stesso tempo splendido personaggio, che proprio per il suo essere estremamente reale e realistico secondo il modestissimo parere di chi scrive supera di gran lunga l’overacted Rust Cohle, mai realistico e mai credibile in una pazzia che di lucido ha forse la fronte unta del periodo carcerario.

Alessandro Bruce Bruschi

(Fuori)classe '89, testa fra musica, libri, fumetti, film e nuvole. Segni particolari: Christopher Nolan gli sta sulle balle più di quelli che mangiano roba puzzolente sulla Northern Line. Bestemmie in diretta da Londra.
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