
Brazil ci mostra il riflesso della contemporaneità del passato nel futuro
Aaaaaah, che bravo io eh? Mi scelgo sempre film facili di cui parlare, proprio quelli che non sono dei pilastri del cinema e sui quali quindi puoi liberamente esprimere la tua opinione. E invece no, a me piace duro. E mi piace anche Brazil a essere sincero, ma temo di averci visto giusto un paio di problemi in più rispetto a quanto le persone in genere non facciano. Questo mi rende speciale? No, mi rende un folle.

Cosa ha funzionato
Allora il punto, molto semplice, è che ci sono una categoria di cose (la maggior parte, in verità) che mi sono piaciute assai in Brazil, ma piaciute al punto da gridare come una checca isterica che ribadisce i suoi diritti in quanto essere umano. Se non vi è chiaro è perché non vi è mai capitata una situazione simile. Però ce ne sono altre (la parte minima, per fortuna) che non è che mi hanno fatto completamente cagare, ma che mi hanno fatto ruotare il naso di 30 gradi e che trovo abbiano sporcato un film che era molto vicino ad essere perfetto.
Vediamo prima le cose belle, d’altronde basta un poco di zucchero e la pillola va giù.
Ambientazioni e scenografie
Tanto di cappello. Di scenografie belle sicuramente ne esistono parecchie, ma mai mi è capitato di trovarmene davanti di efficaci come quelle in Brazil. Gilliam centra in pieno l’obiettivo: raffigura un mondo, di base evoluto tecnologicamente, ma lo rappresenta con macchinari e aggeggi che sembrano arrivare dalle due decadi precedenti al film e con un clima e delle ambientazioni stranianti al punto da far perdere il senso dell’orientamento. Il risultato è che davvero siamo “da qualche parte nel XX secolo” e non capiamo fino in fondo se quello che vediamo è futuro, presente o passato: forse la risposta migliore sarebbe tutti e tre contemporaneamente. Mi sembra poi inutile dire che quei tubi che dominano la scena in praticamente ogni inquadratura sono il tocco finale, anche concettualmente parlando.
Recitazione
Oggi sappiamo tutti chi è Jonathan Pryce, ma ai tempi non era un attore affermato, quindi Gilliam ha fatto una sorta di scommessa su di lui. Che poi giuro che mentre guardavo il film continuavo a scrutarlo dicendo “ma io questo l’ho già visto”, eppure non riuscivo a farmi venire in mente chi fosse. Ovviamente quando l’ho capito mi sono punito con forza. Jonathan Pryce è perfetto per il ruolo che interpreta in questo film: quell’espressione da uomo comune, ignaro, ma che inconsapevolmente è puro, non è contaminato, perché sogna ed è capace di evadere da quella realtà che Gilliam ha dipinto intorno a tutti gli altri.
Ma non è l’unico, praticamente tutti gli attori presenti nel cast danno corpo al giusto personaggio. E quindi gli uomini della burocrazia saranno freddi, come macchine che eseguono solo compiti, senza tradire neanche vaghe espressioni di umanità; mentre i ribelli saranno quelli strani da vedere, se collocati nell’ambiente straniante che abbiamo davanti, ma che in fin dei conti sono quelli con i comportamenti più umani. Il tocco di classe suprema è dato da un ottimo Robert De Niro, che non ha sbagliato neanche la mossa di un sopracciglio. Tra l’altro il nostro Robert in origine voleva interpretare proprio il ruolo che alla fine andò a Pryce, ma innamorato del film scelse di farvi parte comunque interpretando Tuttle: l’avevamo visto un sacco di volte nel ruolo di mafioso, ma mai in quello di “terrorista”.
L’odio per la burocrazia e la borghesia
Gilliam d’altronde è un visionario, ma è anche un comico, ma è anche un intelligente intellettuale. E come tutti gli intellettuali intelligenti è di sinistra. Pirandello perdonami. Mentre si guarda Brazil si ha nettamente la percezione di quanto fastidio dovesse dare la burocrazia a Gilliam. Che poi è comprensibile, per uno come lui che ha sempre avuto problemi con le varie produzioni dei suoi film (ultimo ma non ultimo il suo L’uomo che uccise Don Chisciotte), deve proprio odiare il funzionamento del sistema burocratico, che lo fa sentire ingabbiato, così come è ingabbiato ogni singolo personaggio di Brazil. Ma ovviamente il casino sorge se e quando decidi che il sistema non ti sta più bene, e il risultato è all’incirca questo. Messaggio chiaro.
I messaggi contro la borghesia non sono neanche da spiegare: basti pensare alla chirurgia estetica e alle feste eleganti.
Cosa non ha funzionato
Ci sono mille altre cose che mi sono piaciute del film, ma volevo giusto darvi un’idea. E soprattutto volevo evitare il mio martirio. Quindi ribadisco: il film mi piace tanto, quello che vado a dire adesso sono solo cose che, a mio avviso ovviamente, potevano e dovevano funzionare meglio. Non impalatemi.

In realtà ciò che non mi convince gira unicamente intorno ad una cosa sola: l’orientamento del distopico.
1984 1/2 e poi Brazil
Perché mioddio il distopico creato da Gilliam è fantastico, spettacolare, giusto, unico. Ma nel finale di film – nell’ultima mezz’ora – c’è questo continuo citare e fare riferimento ad Orwell che mi ha dato troppo fastidio. E non perché odio Orwell o cagate simili, ma perché il finale di Brazil è la precisa e sputata trasposizione del finale di 1984, a mio avviso senza rielaborazione, messa su schermo pedissequamente. E questo comunque non significa che concettualmente non sia rilevante o che sia brutto o fatto male, significa che chiunque abbia letto 1984 sa come finisce il film: ed è inevitabile. Il punto però è che questa non doveva essere una trasposizione del romanzo e quindi questo finale mi turba. Avrebbe potuto farlo finire allo stesso modo, ma arrivandoci per una via diversa rispetto a quella con cui ci arriva il romanzo di Orwell.
E poi che cazzo: siamo negli anni ’80 e manco ci fai vedere la scena di nudo quando scopano? Male Gilliam, molto male.
