Spotlight

Breeder: se giochi col fuoco ti ritrovi con un cacciavite nel petto

Con il Torino Film Fest andiamo in giro per tutta l’Europa, e questa volta approdiamo in Danimarca. Ebbene sì, il regista Jens Dahl ci porta nei paesi nordici con Breeder, un thriller virante all’horror che ci racconta abilmente una storia raggelante.

Come già abbiamo ribadito negli articoli del Ravenna Nightmare Film Fest, partecipare ai Festival ci permette di scoprire queste chicche che, ovviamente, portiamo prontamente qui sul MacGuffin zolo per voi.

breeder

Cominciamo, come mio solito, dalla trama (si maybe ci sono spoiler). Una rinomata azienda di integratori gestita dalla Dottoressa Ruben, una donna molto molto shtronza, sta selezionando (in realtà rapendo) giovani donne da inserire in un progetto sperimentale. Questo progetto è volto alla scoperta, attraverso la modificazione del DNA, del modo di offrire ai clienti dell’azienda la possibilità di fermare il loro naturale processo d’invecchiamento.

L’azienda è di proprietà di Thomas Lindberg, all’oscuro di tutto, ma poi ricattato dalla Dottoressa. Sarà poi la moglie Mia a portare a galla tutto il marciume illegale sottostante l’azienda. La ragazza, però, finirà per restare intrappolata in questa specie di “fabbrica di esseri umani”.

breeder

Teniamo ben presente che “breeder” significa letteralmente “allevatore“. E, in effetti, il titolo ha il suo più che giusto senso. Mia scoprirà infatti che varie donne sono tenute prigioniere nel seminterrato di quest’edificio, trattate come animali.

E non parlo in senso metaforico. Queste donne vengono sottoposte, tra le altre cose, alla merca, ossia il procedimento usato dagli allevatori (per l’appunto) per poter riconoscere i propri animali. Ogni allevatore registra il proprio marchio e lo pone, tramite marchiatura a fuoco, sull’animale. Già la merca è considerata da molti una barbarie sugli animali, figuriamoci sugli esseri umani.

Ma non è finita qui, in quanto le prigioniere vengono abusate, picchiate e maltrattate da due uomini al servizio della Dottoressa, che le torturano oltre ogni limite. Questi due, però, non hanno nomi, infatti noi li conosciamo come “Il Cane” e “Il Maiale“. Due animali a caso proprio.

breeder

Tra le cose che ho apprezzato molto di Breeder c’è sicuramente la fotografia. Molto calibrata, curata e ben bilanciata, ci accompagna dentro questa fabbrica di abusi e terrore con grande maestria. Da notare bene le luci, estremamente evocative ed espressive in certi casi.

Il montaggio, poi, permette di costruire una suspense che ci trascina in non pochi momenti di ansia. Ho apprezzato molto anche la scenografia, sia per quanto riguarda la casa di Mia e Thomas, che per l’edificio dove si svolge il resto della storia.

Poi, oltre agli elementi puramente tecnici, Breeder scioglie con discreta fluidità i vari nodi dell’intreccio narrativo. Lo spettatore non rimane con punti interrogativi, ogni cerchio che viene aperto nel corso della trama viene chiuso, anche con qualche colpo di scena che si apprezza volentieri.

breeder

Nonostante questo posto sia pieno di orrori, il regista inserisce l’elemento della maternità. C’è infatti una donna incinta, tra le altre rinchiuse nell’edificio, che partorisce proprio lì, portando un elemento di luce, appunto la nascita, probabilmente indicativa della speranza.

Breeder è sicuramente una denuncia verso lo sfruttamento lavorativo e verso politiche aziendali spregevoli. Ma è anche, e soprattutto, una denuncia verso la violenza sulle donne. Il film era infatti in programmazione il 25 novembre, data simbolo della giornata mondiale contro la violenza sulle donne.

Infatti, il film racchiude un messaggio molto forte, che si sprigiona in un finale decisamente empowerment. Ma l’elemento originale, a mio parere, è la Dottoressa Ruben. Si tratta di una donna non solo spietata, ma che non prova alcuna empatia o solidarietà verso le altre donne. Anzi, è lei stessa a utilizzarle per i suoi subdoli scopi personali. Questo sta a significare, probabilmente, che spesso sono le donne stesse a perpetrare violenza e a scagliarsi contro le altre donne, invece che con.

festival

Insomma, se non l’aveste capito mi è piaciuto. Quindi? Cosa aspettate a vederlo?

 

Martina Catrambone

Affetta da cinefilia sin dalla nascita, cresciuta a suon di film e cartoni. Sono andata al cinema per la prima volta a quattro anni e da lì non ho più smesso. Mi faccio tanti film mentali e studio cinema per provare a fare film reali.
Back to top button